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Marianna Manduca, 32 anni, geometra, mamma. Uccisa con 12 coltellate dall’ex marito che lei aveva denunciato 12 volte

Palagonia (Catania), 3 Ottobre 2007


Titoli & Articoli

Corriere della Sera – 5 ottobre 2007


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In memoria di

Una nuova vita a Senigallia per i bambini della donna uccisa dal marito in Sicilia (Vivere Senigallia – 19 aprile 2008)
Marianna Manduca, geometra di 32 anni di Pagonia, Catania aveva denunciato suo marito Saverio Nolfo ben 12 volte per percosse e minacce, tutte avvenute in pubblico, ma l’autorità giudiziaria non ha mai preso provvedimenti. Poi 12 coltellate hanno posto fine alla vita della donna. Ora i suoi tre figli, di 3, 5 e 6 anni, sono affidati ad una famiglia senigalliese.La storia di Marianna Manduca ha dell’incredibile. Dopo la separazione dal marito, Saverio Nolfo, 36 anni, tossicodipendente, è iniziato un vero e proprio inferno. Nolfo l’ha picchiata più e più volte, tanto che la donna ha presentato ai carabinieri ben 12 denuncie. Il presidente del tribunale ha in un primo momento affidato i tre figli della coppia al marito, nonostante fosse nullatenente e tossicodipendente mentre Marianna aveva un lavoro fisso.
Dopo una difficile e lunga battaglia legale la donna è riuscita a riprendere i bambini in via temporanea. A pochi giorni dalla sentenza che le avrebbe affidato i figli in via definitiva e le avrebbe quindi permesso di trasferirsi lontano, a Milano dove aveva dei parenti, il marito la tampona con l’auto, per costringerla a fermarsi, poi accoltella il padre della donna ed infine la uccide con 12 coltellate.
Spesso la legge non tutela le donne, ma in questo caso anche quelle previste non sono state applicate – denuncia l’avvocato Corrado Canafoglia – è incredibile che 12 dodici aggressioni avvenute in strada, pubblicamente e alla presenza di testimoni l\’uomo non sia stato allontanato. Non appena sarà nominato il nuovo Ministro Guardasigilli chiederemo un ispezone ministeriale per sapere chi non ha svolto il proprio dovere e per intrapprendere un’azione giudiziaria“.
Per rendersi conto dell’incubo vissuto dalla donna possiamo leggere alcune delle sue parole: “Ho riferito circostanze precise in merito all’ultima vile aggressione (non saprei definirla diversamente) perpetrata nei miei confronti culminata addirittura a colpi di sedia.
Aggressione, che mi ha costretto ad abbandonare la residenza familiare per evitare ben più gravi conseguenze. In quella occasione i sanitari della guardia medica mi refertarono acchimosi in tutto il corpo. Ancora oggi porto i segni di tale aggressione. Purtroppo però quella non è stata l’unica volta che ho subito violenze. Mi ha sempre minacciato di morte se avessi raccontato a chiunque quello che mi faceva e a causa di ciò ho sempre temuto per la mia incolumità e per quella dei miei figli.
Capisco che è difficile, a chi non ha mai vissuto nulla di simile, comprendere tutto ciò, soprattutto comprendere come sia possibile patire tutto e sempre in silenzio, ma avevo molta paura e il clima in cui vivevo era davvero pesante. Non ho mai raccontato prima di ora questi gravissimi episodi solo ed esclusivamente per paura ed anche perché mio marito minacciava ritorsioni contro i miei figli
“.
Dopo l’omicidio Nolfo è stato earrestato ed i tre bambini sono stati affidati a Carmelo Calì, cugino di Marianna e residente a Senigallia. “Quando siamo andati a prendere i bambini, nell’ottobre del 2007, pochi giorni dopo l’omicidio di mia cugina, è stata necessaria la scorta delle forze dell’ordine, tale era il clima a Pagonia. Oggi i bambini stanno bene a casa mia, insieme ai miei due figli. Vorrei ringraziare il Comune di Senigallia per il sostegno: non è facile mantenere 5 figli, in particolare l’assessore Volpini e il dirigente Mandolini”. La necessità di una scorta fa pensare che in questa storia non sia estranea la mafia, tanto che Calì ha anche oggi, a Senigallia, ha paura di ritorsioni. (di Michele Pinto)

 

Uccisa dopo denunce non ascolate. La Cassazione: i pm risarciscano gli orfani (il Giornale – 13 settembre 2014)
La Suprema corte dà il via libera al riconoscimento della responsabilità civile delle toghe che non diedero seguito alle segnalazioni di Marianna Manduca, assassinata dall’ex marito nel 2007 a Palagonia (Catania). Accolto il ricorso dei figli minorenni della donna
È importante perché, mentre divampano le polemiche sulla riforma della giustizia e sulla responsabilità civile dei magistrati, stabilisce che le toghe, se riconosciute negligenti, devono pagare. Ed è anche importante perc hé riconosce il diritto di accedere al risarcimento agli orfani, minorenni, della vittima, che aveva presentato ben 12 denunce contro il suo ex marito, che poi l’ha assassinata. È una sentenza storica quella con cui qualche giorno fa la Cassazione ha accolto il ricorso degli orfani di Marianna Manduca, vittima ante litteram di quello che oggi si chiama femminicidio, ammazzata a coltellate nel 2007 dall’ex marito, Saverio Nolfo a Palagonia (Catania).
La Suprema corte ha accolto il ricorso con il quale lo zio, tutore dei tre adolescenti che vivono con lui nelle Marche, ha chiesto di ribaltare il verdetto dei giudici di Messina, che avevano detto che il ricorso alla legge Vassalli sulla responsabilità civile era impossibile perché erano trascorsi più di due anni dalla morte della donna, il 3 febbraio del 2007. La Suprema corte, invece, ha dato ragione agli orfani, rappresentati dall’ex avvocato antimafia Alfredo Galasso, stabilendo invece che il ricorso dei figli della donna è ammissibile.
Un delitto annunciato, quello di Marianna Manduca, 32 anni, il 3 ottobre del 2007. Molte aggressioni da parte dell’ex marito, con cui era in lite per l’affido dei figli, erano avvenute in pubblico. E lei, ripetutamente, le aveva denunciate. Purtroppo senza esito. Il delitto in strada. Nolfo l’ha aggredita a coltellate, ferendo anche gravemente il padre di lei. L’uomo, per l’omicidio della moglie e il tentato omicidio dell’ex suocero, è stato condannato a vent’anni.
Ad intentare la causa contro i giudici che non hanno dato seguito alle denunce di Marianna Manduca un cugino della donna, lo «zio» che ha accolto in casa come figli i bambini della coppia e che dal 2010 è il loro tutore. L’inghippo adesso risolto dalla Cassazione sta proprio nelle date. I giudici di Messina, cui l’uomo si era rivolto in prima battuta, avevano detto che la richiesta di risarcimento in virtù della legge del 1988 sulla responsabilità civile dei magistrati, presentata dagli orfani non era ammissibile perché erano trascorsi più di due anni dalla morte della madre. La Suprema corte ha invece riconosciuto che non si poteva rispettare tale termine, visto che lo zio è tutore dei tre bambini solo dal 2010. La Cassazione ha stabilito che l’azione risarcitoria è «legittimamente» esercitabile, e parla, riferendosi alle toghe che non hanno dato corso alle denunce, di «negligenza inescusabile». Soddisfatto l’avvocato Galasso, che difende i tre orfani con l’avvocato Licia D’Amico: «Come prevede la legge – dicono i due legali – sarà lo Stato a pagare per la tragica negligenza della procura di Caltagirone. Tuttavia, la decisione segna una svolta in un momento in cui è in discussione il disegno di legge del ministro Orlando proprio in materia di responsabilità civile dei magistrati. Finalmente, anche in questa direzione, un atto di giustizia».

A Messina la causa contro i giudici che non fermarono l’assassino di Marianna Manduca (Tempo Stretto – 25 aprile 2016)
La 32enne di Palagonia fu uccisa dal marito nel 2007, dopo 12 denunce inascoltate. Il tutore dei 3 figli ha chiesto ai giudici il risarcimento per la “mancata tutela” della vita della donna. Saranno i giudici di Messina, adesso, a decidere se ha ragione o no.
Sará celebrato a Messina il processo per la responsabilitá civile dei magistrati che si occuparono di Marianna Manduca, uccisa a 32 anni dal marito dopo 12 denunce. Una morte annunciata, quella di Palagonia, un caso di femminicidio classico e drammatico, dove la violenza di un uomo non ha trovato alcun argine nella giustizia. Quella stessa giustizia che prima e dopo la morte di Marianna ha reso ulteriormente difficile anche la vita dei suoi tre figli.
Oggi il più grande ha 14 anni, il più piccolo 11 e vivono a Senigallia con un cugino di Marianna, che li ha accolti in famiglia, nel 2007, malgrado avesse giá tre figli. L’uomo oggi, un piccolo imprenditore edile, sente la stretta della crisi e il peso della famiglia allargata, e racconta i paradossi di una legge che dimezza gli aiuti economici, in casi come questi, quando ad adottare i figli della vittima sono parenti della stessa.
Dietro la richiesta di risarcimento c’è altro dalla ricerca di un pur più che sacrosanto ristoro economico: “Vivevo a Senigallia e solo alla morte di mia cugina ho conosciuto la sua storia assurda. Com’è possibile che malgrado le denunce, malgrado i tanti testimoni delle minacce e delle violenze che subiva, nessun giudice ha fermato il marito? Addirittura un magistrato, nel corso della separazione, ha affidato i figli a lui, malgrado fosse tossicodipendente, malgrado poco prima si fosse allontanato con i bambini arbitrariamente e senza dare sue notizie“. “Mi hanno spesso detto di lasciar perdere – racconta ancora l’uomo – perché la mia, anche se contro lo Stato, é di fatto un’azione contro dei magistrati. Ma davvero dobbiamo rassegnarci a ragionare così, anche di fronte a storie così drammatiche, anche di fronte a vite spezzate?”.
L’oggi padre di sei figli, appena ha avuto la tutela legale dei tre maschi della cugina, ha quindi fatto causa alla giustizia ingiustizia, e soltanto nel 2014 la Corte di Cassazione ha stabilito che la domanda risarcitoria nei confronti dei pm che si occuparono del caso di Marianna, e che forse hanno sbagliato, è ammissibile e che sì, la causa intentata nei loro confronti va trattata.
E la causa finalmente è iniziata, qualche giorno fa davanti la corte d’appello di Messina, 9 anni dopo il femminicidio di Palagonia. Ma anche qui è servita tutta la tenacia degli avvocati Alfredo Galasso – ex pm antimafia – e Licia D’Amico perché si aprisse la prima udienza, a rischio dell’ennesimo rinvio per pastoie procedurali. Giunti a Messina, ai tre è stato detto che il fascicolo non era ancora arrivato in Corte d’Appello. La strenua opposizione dei due legali ha fatto sì che il fascicolo fosse acquisito in tempo utile. Iniziata l’udienza, uno dei giudici si è accorto di essere incompatibile – circorstanza che poteva essere rilevata prima dell’udienza, e la causa stava per essere rinviata ancora una volta. Stavolta anche il ricorrente ha protestato, e il Presidente del collegio, in via “straordinaria”, ha sostituito il giudice in tempo utile e l’udienza si è aperta regolarmente.
A sua volta il fascicolo é arrivato alla Suprema Corte dopo che due giudici, a Caltagirone e Messina, lo han dichiarato inammisibile. La legge del ’98 sulla responsabilità civile dei giudici, infatti, limitava entro due anni dai fatti la possibilità di fare ricorso. Ma due anni dopo la morte di Marianna, il cugino non era ancora il tutore legale dei figli e i bambini, minorenni, non potevano certo agire. I precedenti giudici avevano quindi respinto l’istanza, senza trattarla affatto. La Suprema Corte ha invece “spostato” in avanti il termine dei due anni, facendolo appunto decorrere da quando l’uomo ha ottenuto la piena custodia dei ragazzi. Si torna in aula a fine giugno.
Saverio Nolfo, l’uxoricida, e in carcere per scontate la sua pena a 20 anni. Dopo aver ucciso Marianna con 6 coltellate al petto e ferito il padre intervenuto per difenderla, è andato a costituirsi consegnando il coltello che aveva mostrato alla ex moglie decine di volte dicendole: “io con questo ti uccideró”. (di Alessandra Serio)

Corriere della Sera – 14 giugno 2017

 

Corriere della Sera – 22 marzo 2019

 

 

Corriere della Sera – 9 aprile 2020

 

Lo Stato risarcirà i figli di Marianna, uccisa dal marito (Avvenire – 25 novembre 2020)
L’intervento del premier Conte: lo Stato deve saper riconoscere gli errori. Ai 3 orfani era stato revocato l’indennizzo. Ora lo riavranno, insieme al risarcimento. La donna era stata uccisa nel 2007
Nella Giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne, dal premier Giuseppe Conte arriva la notizia che tanti avevano chiesto e si aspettavano: i tre figli di Marianna Manduca, la trentaduenne assassinata nel 2007 dal marito Saverio Nolfo (dopo aver denunciato il coniuge 12 volte in un anno alla procura di Caltagirone), avranno la somma dovuta alla loro mamma, indennizzo che era stato revocato dai giudizi su iniziativa del Governo, e anche un cospicuo risarcimento del danno non patrimoniale da parte dello Stato. Carmelo, Stefano e Salvatore, tredici anni fa erano ancora minorenni. “Certo, non riavranno più la loro mamma, giovane e bella, ma lo Stato sottoscriverà un accordo transattivo – dice il premier Giuseppe Conte, parlando a Palazzo Chigi – perché deve essere in grado di riconoscere i propri errori”.
Il presidente del Consiglio usa parole chiare: “È una storia ordinaria di ingiustizia. I tre figli hanno passato un calvario giudiziario per vedere riconosciuti i loro diritti, perché la madre più volte aveva denunciato le violenze e si sono ritrovati nella incresciosa posizione di restituire una somma a lei riconosciuta a titolo di risarcimento del danno. Dobbiamo evitare che si completi il quarto grado di giudizio, la vertenza giudiziaria avrà termine perché lo Stato può finalmente sottoscrivere un accordo transattivo”.
E il premier cita Aldo Moro: “Uno Stato non è veramente democratico se non ha come fine supremo la dignità, la libertà, l’autonomia della persona umana. Lo Stato deve avere il coraggio di riconoscere i propri errori e trarne tutte le conseguenze assumendosi tutta la responsabilità. Una donna vittima di violenza non deve mai provare vergogna, mai più sentirsi sola”. Solo qualche giorno fa il ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, aveva chiesto a Conte di occuparsi della vicenda: “Oggi il premier ha dato una risposta che rende questo 25 novembre non solo un simbolo”, ha sottolineato Provenzano.
Lo scorso 19 marzo la Corte d’appello di Messina aveva revocato l’indennizzo per danno patrimoniale nei confronti dei figli della vittima, ma il successivo 8 aprile la Cassazione ha bocciato la decisione dei giudici, stigmatizzando un “percorso argomentativo in contrasto con le regole che governano l’accertamento del concatenarsi degli eventi”. La Corte d’appello di Catanzaro si sarebbe dovuta pronunciare sul caso il prossimo 9 dicembre.
Il marito di Marianna – che per il delitto è stato condannato in abbreviato a 21 anni di carcere – ha inferto numerose coltellate contro la moglie, in strada, a Palagonia, nel Catanese, davanti ai passanti e al padre della vittima. Era il 3 ottobre 2007. Marianna, che si stava separando dal marito, aveva denunciato di essere stata più volte minacciata con un coltello, ma la Procura non ordinò alcuna perquisizione né il sequestro dell’arma. Secondo i giudici d’appello, “l’omissione addebitabile alla Procura” sarebbe stata “eziologicamente insufficiente” nel determinare la morte di Marianna. La Cassazione stabilì che il modo di argomentare dei giudici d’appello era “contraddittorio” e non condivisibile. Il ricorso alla suprema corte era stato presentato da Carmelo Calì, il cugino di Marianna, che con sua moglie ha adottato i tre ragazzi. Calì si era costituito in giudizio contro la Presidenza del Consiglio che aveva ottenuto la revoca dell’indennizzo e che oggi ha completamente cambiato rotta.

 

 ASSOCIAZIONE “INSIEME A MARIANNA”