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Loredana Colucci, 41 anni, addetta alla macelleria, mamma. Uccisa davanti alla figlia tredicenne dal marito e padre denunciato già 3 volte per tentato omicidio e mai arrestato

Albenga (Genova), 2 Giugno 2015

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Delitto annunciato: esce e uccide la moglie. La vittima, Loredana Colucci, era perseguitata dal marito

Commozione alla marcia per Loredana Colucci, la madre: “La magistratura si faccia sentire”
“Le donne si fanno sentire, ora tocca alla magistratura farsi sentire”.C’era anche Lucia Robertone, la mamma di Loredana Colucci uccisa una settimana fa ad Albenga dall’ex marito, alla marcia contro il femminicidio di Albenga.
E’ stato il sindaco Giorgio Cangiano a leggere, con tanta commozione in gola, una lettera del fratello di Loredana, Fabio Colucci: “Io e mia sorella eravamo simili come il sole e la luna che non si assomigliano, ma non possono stare uno senza l’altra. Ora ti cercherò nei miei pensieri e nel mio cuore”.
Tantissime donne sono scese in piazza davanti al Comune di Albenga per poi marciare verso piazza Corridoni dove si è consumato l’efferato delitto di una settimana fa. Tutte insieme per far sentire forte il loro grido di aiuto visto che in Italia ogni due giorni viene uccisa una donna, l’ultima ieri sera a Roma. C’erano anche Nadia e S. le due figlie della donna originaria della Puglia. C’erano anche le associazioni locali, la croce bianca, quindi le volontarie dello sportello Artemisia Gentileschi, quindi i sindaci di Alassio Enzo Canepa e di Garlenda Silvia Pittoli.
E a distanza a Castellana Grotte Fabio Colucci, fratello di Loredana, che in esclusiva per IVG ha sottolineato come “Loredana ha pagato con la vita il suo diritto alla libertà e soprattutto si è ribellata per non essere di proprietà di un uomo che la odiava tanto da ucciderla”. Inoltre ha voluto ringraziare la comunità del comprensorio albenganese. “Solo sette giorni fa l’Italia si ritrovava per l’ennesima volta scossa dall’ennesimo caso di femminicidio più volte annunciato e passato inascoltato alle orecchie della giustizia italiana – spiega Colucci – Oggi Castellana Grotte, Albenga e Alassio, tre cittadinanze si sono ritrovate unite idealmente e concretamente in una marcia silenziosa per gridare “no” alla violenza sulle donne, per dire “basta” alla leggerezza con quale il quadro politico italiano gestisce questo disagio sociale e culturale che colpisce tutti noi e per questo vanno ringraziate”.
Colucci si augura che “manifestazioni come questa non smettano di esistere e che non passino inosservate agli occhi di chi ha il dovere di difendere le nostre madri, le nostre sorelle, le nostre figlie che come Loredana ha pagato con la vita la sua voglia di vivere da donna libera. Il femminicidio purtroppo non si arresta. Ieri a Roma un’altra donna è stata uccisa. Questa strage non ha fine e sono solo passati 7 giorni dall’assassino di mia sorella Loredana. Il DDL sul femminicidio ha mostrato tutte le sue crepe – sottolinea il fratello della vittima di Albenga – Mia sorella ha creduto nello Stato. Non è stata ascoltata ma soprattutto non è stata difesa. Non è bastato un tentativo di omicidio e la condanna a 2 anni del marito. Lo hanno scarcerato dopo 40 giorni! La certezza della pena deve esistere. Il disagio di chi attraversa queste tragedie deve essere non solo ascoltato ma difeso. Le donne non possono essere lasciate sole”.

Uccisa da ex, giudice negò tre volte arresto: indagine interna in Procura
Loredana Colucci, 41 anni, è stata massacrata martedì dallʼex marito, già condannato per stalking e per averla aggredita
Una storia che rivela troppi errori, tali da far aprire un’inchiesta interna alla Procura di Savona. E’ quella di Loredana Colucci, la 41enne uccisa martedì ad Albenga dall’ex marito, il marocchino Mohamed El Mountassir. Stando a quanto emerso, dopo le numerose minacce contro l’ex moglie, per l’uomo era stato chiesto l’arresto per tre volte e per tre volte lo stesso giudice lo aveva rifiutato.
Secondo quanto riportato da “Il Secolo XIX”, la nomina del magistrato che ha negato l’arrestato era stata osteggiata dai colleghi, per carenze “attitudinali”. Lo stesso giudice inoltre era stato denunciato per stalking. Ora, oltre all’inchiesta interna alla Procura, a Savona potrebbe arrivare anche un‘ispezione del ministero della Giustizia.
“È necessario guardare dentro questa storia – spiega uno degli investigatori a “Il Secolo XIX” -. Perché il dolore e il senso d’impotenza che si respirano oggi nel palazzo di giustizia di Savona, non possono farci dimenticare che il sistema ha palesato molte falle e dobbiamo interrogarci per colmarle il più possibile. Ricordando tuttavia che errare, purtroppo, è umano”.

Uccisa dall’ex davanti alla figlia adolescente: il Gip disse tre volte no al suo arresto
Potrebbero arrivare gli ispettori del ministero della Giustizia nel tribunale di Savona, dopo le polemiche divampate in queste ore per l’omicidio suicidio di Albenga. Secondo quanto anticipato da La Stampa e dal Secolo XIX, infatti, la richiesta del pm di arrestare Mohamed El Mountassir, il marito di origini marocchine che ha ucciso Loredana Colucci e poi si è tolto la vita, sarebbe stata ignorata per tre volte dal gip nonostante le nuove denunce presentate dalla vittima.
Loredana Colucci, secondo quanto ricostruito dai due quotidiani, lascia il marito nel dicembre 2014. A gennaio, l‘ex marito afferra per il collo la ex davanti al supermercato dove lavorava e lei lo denuncia, e per questo El Mountassir finisce in carcere. A marzo, il legale dell’uomo ottiene gli arresti domiciliari e il divieto di avvicinamento alla donna, ma dopo venti giorni anche l’obbligo domiciliare viene meno e il marocchino deve solo tenersi a distanza dalla ex.
Contemporaneamente nell’ufficio gip si insedia il magistrato Filippo Maffeo e sarà proprio lui a respingere per tre volte la richiesta del pm di arrestare El Mountassir per le nuove denunce e atti di violenza nei confronti della vittima.
Era pendente presso il tribunale civile una richiesta di protezione contro gli abusi familiari presentata dall’avvocato di Loredana Colucci. I funerali della donna si sono tenuti stamattina ad Alassio. Davanti alla bara la madre della donna uccisa, Lucia Robertone e le figlie di 14 e 20 anni.

I magistrati litigano su Loredana Colucci uccisa dal marito: “Il GiPp Filippo Maffeo rifiutò per tre volte di arrestare l’ex”
Quella di Loredana Colucci, accoltellata ferocemente dall’ex marito, era una morte annunciata. E sulla vicenda ora si accapigliano i magistrati della Procura di Savona, dove il gip Filippo Maffeo rifiutò per tre volte di arrestare l’uomo che perseguitava Loredana, Mohamed El Mountassir, perché non accettava la fine del matrimonio.
Il femminicidio è avvenuto il 2 giugno nella casa di Albenga, El Montassir ha ucciso la Colucci davanti alla figlia di 13 anni. Al quotidiano La Repubblica il procuratore capo di Savona si sfoga contro Maffeo, il quale era stato trasferito nel 2009 in Toscana dopo una denuncia per stalking da parte di una collega: “Io, rispetto a quanto accaduto ad Albenga, mi sono fatto una convinzione, che tanti colleghi del mio ufficio condividono, ma penso che quando uno fa il magistrato, sia che si occupi di penale che di civile, deve dimostrare di avere i coglioni. Quando invece fa vedere che lui non c’entra nulla e cerca di scaricare la responsabilità sugli altri, a me non piace”, ha detto Francantonio Granero riferendosi alle interviste che Maffeo ha concesso in questi giorni alla stampa per spiegare le ragioni per le quali non ha mai acconsentito all’arresto di El Mountassir. Dal ministero della Giustizia sono già stati inviati gli ispettori, mentre del caso si occuperà il Csm.
Rimane il fatto che Loredana, nonostante le continue denunce a carico dell’ex marito, non ha ricevuto la protezione adeguata dalla magistratura.
L’ultimo esposto risale allo scorso dicembre per maltrattamenti e violenze, i carabinieri di Albenga arrestarono il 51enne che dopo la scarcerazione tornò a tormentare la donna. A marzo l’avvocato dell’uomo di origine marocchina chiese il patteggiamento, il pm si oppose perché preoccupato di quanto sarebbe potuto accadere. A quel punto arrivò Maffeo nella veste di gip, che si oppose continuamente alle richieste di un nuovo arresto di El Mountassir e, anzi, all’ultima udienza concesse la decadenza della pregiudiziale sulla condizionale: l’ex marito di Loredana in questo modo ha avuto anche la libertà di avvicinarsi alla casa della donna e della figlia, senza che nessuno potesse fare nulla per fermarlo.

“Non sono Frate Indovino: ho solo applicato la legge”
«Come vuole che ci si senta, quando ci sono stati due morti? Uno ci pensa tutta la notte, si chiede se ha sbagliato qualcosa. Però non ho sbagliato, ho fatto il massimo che la legge mi permettesse». Filippo Maffeo, 65 anni, è giudice del tribunale di Savona. È il magistrato che, il 28 aprile, ha accettato il patteggiamento a due anni di Mohamed Aziz el Mountassir, il marocchino che ad Albenga ha ucciso a coltellate la moglie Loredana Colucci davanti agli occhi della figlia di 13 anni, per poi togliersi la vita. Dopo il patteggiamento per maltrattamenti in famiglia Mohamed, incensurato, è tornato in libertà per la condizionale. Era finito sotto processo, dopo poco meno di due mesi di carcere, per aver aggredito e messo le mani al collo alla moglie, dopo che quest’ultima aveva deciso di andarsene di casa. Prima del processo gli era stato ordinato di non avvicinarsi a meno di 100 metri da Loredana. Dopo, nemmeno più quel vincolo.
Dottor Maffeo, non poteva almeno decidere qualche limitazione in più, rispetto a una totale libertà di movimento per quell’uomo?
«Non potevo. Bisogna conoscere le cose, prima di parlare. Il giudice applica la legge e la legge, stavolta, è chiara» . Sfoglia, Maffeo, il codice di procedura penale, articolo 300: “Le misure perdono efficacia se la pena irrogata è condizionalmente sospesa”.
Vuol dire che, anche in questa situazione, la giustizia aveva le mani legate?
«Dico che il giudice dell’udienza preliminare si trova ad affrontare un caso di cui sa i dettagli quella mattina stessa. Era un caso singolo, il reato applicato, quello di maltrattamenti in famiglia, è un reato grave. E una pena di due anni con il patteggiamento è una pena alta, se si tiene conto dello sconto».
Non poteva, sostiene lei, essere più severo.
«Il giudice deve giudicare su quel che si sa, su quel che è stato chiarito. Non su quello che potrebbe essere oppure che sarà. Non è Frate Indovino. Diciamo la verità: nemmeno ora si conosce, con esattezza, che cos’è accaduto in quella casa, quella della tragedia».
Pensa che la legge non tuteli abbastanza le vittime?
«In generale, temo che contro la follia umana anche la giustizia possa far poco. Ragionassi da “sbirro”,potrei dire: lo arresto e lo metto dentro comunque. Ma poi? Per quanto? Per tutta la vita? E sulla base di quale legge? E poi, siamo sicuri che un divieto di avvicinamento possa davvero servire a qualcosa?».
Il rammarico?
«Il rammarico è umano. Ma io sono un uomo di legge e di giustizia e queste sono le armi che ho e che rispetto. Anche se la giustizia mi ha maltrattato».
Qui il discorso prende un’altra piega. Perché Filippo Maffeo è il magistrato che, nel 2009, è stato protagonista di un caso finito al centro delle cronache. Trasferito d’ufficio in Toscana dalla procura di Imperia dopo una querelle con un’altra collega. Lui puntò il dito contro la sua incompatibilità, perché aveva una sorella avvocato che esercitava nello stesso distretto giudiziario. Lei reagì sostenendo che si trattava di una reazione di stizza. E parlò di una lunga serie di sms ricevuti da Maffeo, un tambureggiamento quotidiano che aveva turbato la sua serenità. Il testo di quei messaggi non è mai stato rivelato. Lo è oggi, almeno secondo la denuncia presentata allora dalla pm ai superiori gerarchici: «Sei una donna di intelligenza superiore, di cultura, di splendido intelletto»; «Dimmi dove vai a correre oggi e ti raggiungo»; «Se devi andare a Genova ti accompagno io, devo parlarti di una cosa importante»; «Non mi merito il tuo silenzio»; «Allora sparisco per sempre». Lei parlò di una situazione di grave imbarazzo. Il Csm decise per un doppio trasferimento. Lei a Sanremo. Lui in Toscana. E’ tornato a Savona lo scorso 23 marzo.
Dottor Maffeo, come qualificò il Csm il suo comportamento?
«Come stalking».
Lo fu?
«Dico solo una cosa: ritengo di non aver mai travalicato un semplice rapporto di confidenza tra colleghi. E’ stato preso per oro colato quel che è stato detto. Secondo lei sono mai stato esaudito, nella mia richiesta di controllare i tabulati e i telefonini per sapere quando avrei scritto quei messaggi? No. Preso e trasferito, perché “la vicenda era finita sui giornali”. Sono stato anche accusato di “identificarmi con l’ufficio”. È una colpa?».
Ritiene che la giustizia sia stata ingiusta con lei?
«So che un’indagine che stavo conducendo, culminata nel sequestro della discarica di Ponticelli, è finita nel nulla quando sono stato trasferito. Quasi tutti i reati sono ormai prescritti. Lì vedo l’origine dei miei guai».
La vicenda di stalking di cui è stato accusato, sia pure in sede disciplinare, evidentemente le pesa se ne parla ancora. Lei è stato sereno nel giudicare un episodio come quest’ultimo?
«Sereno, sulla base di quello che ho conosciuto e ho potuto appurare. Ho fatto quello che un giudice poteva fare».


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