Federica De Luca, 30 anni, arbitro Fivap, mamma. Massacrata di botte, strangolata e soffocata dal marito che poi uccide anche il figlio di 4 anni
Taranto, 7 Giugno 2016
Titoli & Articoli
Strage di Taranto, Federica disse all’amica: “Mio marito è violento e fa il pazzo, voglio lasciarlo” (la Repubblica – 10 giugno 2016)
Alfarano ha ucciso prima la moglie, di vent’anni più giovane di lui, e poi il loro bambino prima di togliersi la vita. Un anno fa aveva patteggiato un anno e otto mesi per violenza sessuale su una 19enne
In un messaggio inviato a una cara amica a fine aprile, Federica De Luca scrisse di essere ormai intenzionata a separarsi dal marito, Luigi Alfarano, il cinquantenne promotore dell’Ant che ha soffocato la moglie dopo averla picchiata, poi ha ucciso con un colpo di pistola alla testa il figlio Andrea, quattro anni non ancora compiuti, e si è poi tolto la vita. Quel giorno di aprile tra i due c’era stato un litigio così forte che Federica aveva deciso di lasciare casa e andare a mangiare da un’amica. Poi si era sfogata al telefono: “Ho cercato di tirare ancora per Andrea, ma non è cosa. [Luigi] fa il pazzo davanti al bambino. Gridava così tanto stamattina che Andrea gli ha detto che gli stava facendo male all’orecchio”.
Secondo alcuni amici, la coppia era in crisi da almeno un anno. Alfarano era spesso fuori città per lavoro. Federica si era concentrata sul benessere di suo figlio e sulla pallavolo, la sua grande passione, sport di cui era arbitro federale e formatore di giovani direttori di gara. Di tanto in tanto usciva con le amiche. I due avevano iniziato progressivamente ad allontanarsi fino a fare vite separate.
Federica sospettava di essere stata tradita, anche se lui negava, mentre il marito probabilmente per il timore di perdere moglie e figlio stava lentamente cadendo in un abisso di follia, esploso nel peggiore dei modi in un corto circuito mentale impossibile da comprendere. Probabilmente sui dissidi tra marito e moglie ha avuto anche un peso la vicenda giudiziaria del maggio 2015 che coinvolgeva Alfarano per violenza sessuale e violenza privata. L’uomo ha patteggiato un anno e otto mesi di reclusione per aver molestato una collaboratrice assunta a tempo determinato dall’Ant di Taranto. Secondo quanto denunciato dalla 19enne, a maggio 2014 lui l’aveva convocata nella villa di Chiatona, la stessa in cui ha ucciso il figlio Andrea e poi si è tolto la vita. Lì anziché parlare di lavoro Alfarano aveva tentato un approccio con la giovane collaboratrice. Questa lo aveva respinto e poi denunciato tutto alle forze dell’ordine.
“Sembra così calmo e tranquillo”, le scriveva il giorno del litigio di fine aprile l’amica sul telefono, stupita degli atteggiamenti violenti che emergono dalle confidenze di Federica, che forse per la prima volta parla dei suoi problemi di coppia. “Sembra”, risponde lei. “Lasciarlo no?”, le chiedva l’amica. E Federica rispondeva: “Sì'”. Entrambi erano molto riservati. Molti amici e parenti hanno scoperto che si stavano separando solo dopo la tragedia. A maggio i rapporti sono ulteriormente peggiorati. A un’altra amica Federica raccontava che il marito era irascibile, urlava sempre e stava diventando violento. In un’occasione aveva perfino scosso il figlio con le braccia, facendolo spaventare.
Secondo gli investigatori la dinamica della strage è ormai chiara: martedì t giugno alle 17 i due coniugi avevano appuntamento da un avvocato per definire i termini della separazione, ma nessuno dei due si è presentato. Forse a quell’ora Federica era già stata uccisa nella casa di via Galera Montefusco. Andrea era in casa e potrebbe aver assistito all’aggressione. La donna è stata picchiata e poi soffocata con un cuscino. Alfarano ha poi portato via di casa il piccolo Andrea su una Peugeot bianca. Ha percorso la statale 106 ionica fino alla villa di Chiatona. Nel garage ha puntato la pistola alla tempia del bimbo e ha fatto fuoco. Poi ha rivolto l’arma contro di sé. (di Vittorio Ricapito)
La villa della strage all’Ant, fiori e strazio ai funerali (la Gazzetta del Mezzogiorno – 11 giugno 2016)
«Luigi aveva una bella famiglia è stato il demonio che si è messo in mezzo perché non vuole la nostra gioia». Sono parole insolite quelle usate da don Tonino Nisi, parroco di San Pasquale che ieri pomeriggio ha celebrato i funerali di Luigi Alfarano, il 50enne che la sera del 7 giugno ha ucciso la moglie Federica De Luca e il figlio Andrea di 3 anni, prima di togliersi la vita. Nella sua omelia ha scelto parole di fede per mostrare vicinanza alla madre del 50enne. E Maria Letizia Zavatta Prete, madre dell’omicida, a fine celebrazione, ha manifestato l’intenzione di trasformare la villa in cui è avvenuto il delitto in un centro Ant.
Oggi intanto le esequie della moglie de del figlio. Al passaggio dei feretri il silenzio commosso della folla per l’ultimo saluto a Federica De Luca, di 30 anni, e suo figlio Andrea, di 4, uccisi martedì sera da Luigi Alfarano, di 50 anni, dipendente dell’Ant (Associazione nazionale tumori). In migliaia hanno partecipato alla messa concelebrata da don Ciro Alabrese, don Luca Lorusso, don Emanuele Ferro e don Gino Romanazzi.
Le due bare erano ricoperte di fiori: rose rosse per la donna, margherite bianche per il bimbo, davanti alle quali – sull’altare – sono state adagiate le loro foto. In prima fila i genitori di Federica e nonni di Andrea, Pino e Giuseppina. Poi gli altri parenti, amici e conoscenti. E i colleghi della Fipav di Federica, che era arbitro di volley. Durante l’omelia, don Ciro Alabrese ha citato il passo del capitolo 21 del libro dell’Apocalisse. «Colui che sedeva sul trono disse: Ecco, io faccio nuove tutte le cose”: ha ripetuto spesso questa frase don Ciro, sottolineando che un giorno non ci saranno più la morte, il pianto, la violenza. «Un bimbo di 4 anni – ha detto il parroco – oggi avrebbe dovuto fare la recita con la sua mamma. Ho pensato alla vita di Federica, che si è distinta per le sue attività che svolgeva con passione: il volontariato e il volley. A lei che era un promettente arbitro ora chiediamo un time out per noi in questo spazio in cui siamo schiacciati nel dolore».
«Spesso cerchiamo il colpevole senza cercare il problema. Il problema è la violenza. Oggi celebriamo questo rito funebre, l’altro ieri a San Giorgio Jonico un altro funerale legato a un episodio simile. Non possiamo rimanere indifferenti. C’è qualcosa che non va» ha sottolineato con Ciro. «Federica – ha aggiunto – era arbitro di volley ma faceva anche volontariato. Aveva la capacità di donarsi agli altri. Ognuno di noi deve cercare di fare bene in ogni settore in cui opera. Dobbiamo fare gioco di squadra».
Il sacerdote ha parlato del dolore e della rabbia che accomuna tutti in questo momento. «Chiediamo a Federica – ha detto ancora don Ciro – di continuare ad arbitrare la partita della nostra vita. Di aiutarci a portare avanti la voglia di vivere e d’amare, che lei ha portato nel cuore e ha donato al piccolo Andrea. Come arbitro continua a farci capire l’importanza di non litigare per qualche centimetro». «Dobbiamo vivere – ha concluso don Ciro – con una speranza testarda, come ha sottolineato il nostro arcivescovo Santoro. La speranza di chi non sta a lamentarsi. Non lasciamoci vincere dal male. Il male si vince con il bene. Andrea con la sua mamma farà il tifo per noi» (di Nicola Pepe)
Federica ed Andrea insieme per sempre (Corriere del Giorno – 11 giugno 2016)
Oggi il piccolo Andrea avrebbe avuto la sua recita a scuola a cui la sua adorata mamma teneva tanto ed era orgogliosa del suo bambino, ed invece quella salma innocente era in una bara bianca, accanto a quella della madre Federica, salutati con amore ed affetto struggente non solo dai parenti, dagli amici di famiglia, dalle maestre di scuola, rappresentanti del Comune di Taranto e gli arbitri della Fipav , e tante persone della città presenti, tutti accorsi a salutare in una una chiesa stracolma quelle due innocenti vittime della strage di martedì scorso. In prima fila Pino e Giuseppina i genitori di Federica e nonni di Andrea,
Un manto di fiori, rose rosse per Federica, margherite bianche per il piccolo Andrea, avvolgeva le due bare sulle quali davanti all’altare della chiesa sono state adagiate le loro foto. A celebrare la messa don Ciro Alabrese, don Emanuele Ferro, don Luca Lorusso, don Gino Romanazzi, che invitando ad abbassare i toni hanno detto “Vinci il male con il bene è questa la partita che vogliamo giocarci. E avremo un grande arbitro” rivolgendosi a Federica, ed alla sua grande passione per uno sport “sano” come la pallavolo .
Nella sua omelia il parroco don Ciro Alabrese ha detto : “Spesso cerchiamo il colpevole senza cercare il problema. Il problema è la violenza. Oggi celebriamo questo rito funebre, l’altro ieri a San Giorgio Jonico un altro funerale legato a un episodio simile. Non possiamo rimanere indifferenti. C’è qualcosa che non va . Federica era arbitro di volley ma faceva anche volontariato. Aveva la capacita’ di donarsi agli altri. Ognuno di noi deve cercare di fare bene in ogni settore in cui opera. Dobbiamo fare gioco di squadra“.
“A questo arbitro chiediamo un time out per loro – hanno detto i parroci – che non possono più giocare e per noi, che siamo qui schiacciati dal dolore. Poi, un riferimento alla cronaca recente. Il problema è questa violenza che aumenta, c’è qualcosa che non va, non possiamo rimanere indifferenti, dobbiamo fare un gioco di squadra. Basta alibi”. concludendo “A Federica chiediamo di continuare ad arbitrare questa partita che è la nostra vita. Di aiutarci a portare avanti la voglia di vivere e d’amare, che lei ha portato nel cuore e ha donato al piccolo Andrea. Come arbitro continua a farci capire l’importanza di non litigare per qualche centimetro. Dobbiamo vivere con una speranza testarda” “La speranza – ha concluso don Ciro Alabrese – di chi non sta a lamentarsi. Non lasciamoci vincere dal male. Il male si vince con il bene. Andrea con la sua mamma farà il tifo per noi”.
All’uscita delle due bare dalla chiesa si sono alzati in volo dei palloncini bianchi ed è esploso un lungo straziante applauso pieno di dolore e di amore che hanno accompagnato Andrea e Federica, uniti nel loro ultimo viaggio. La mamma ed il figlio uniti ed accanto, per sempre, per tutta la vita.
Sfila in piazza per la figlia Federica: “Così suo marito l’ha uccisa a botte. Se avete un mostro accanto, scappate subito” (HuffPost – 9 luglio 2016)
Rita Lanzon è la madre di Federica De Luca, 30 anni, uccisa il 7 giugno a Taranto dal marito Luigi Alfarano, 50 anni, impiegato dell’Ant (Associazione nazionale tumori) che, dopo aver freddato con un colpo di pistola il figlio Andrea, di 4 anni, si è tolto la vita. Lei, assieme a suo marito Enzo, giovedì ha sfilato per le vie di Taranto in una marcia silenziosa, mostrando le foto del volto di sua figlia, sfregiato dalla violenza del marito.
Repubblica li ha sentiti: «È stata una decisione sofferta, ma vogliamo che queste cose non accadano più. La nostra scelta, la decisione di mostrare l’immagine del volto di nostra figlia, martoriato dalle percosse, vuole essere un monito, un messaggio soprattutto per le ragazze: se avete un mostro accanto, scappate subito». Rita Lanzon è la madre di Federica De Luca, 30 anni, uccisa il 7 giugno a Taranto dal marito Luigi Alfarano, 50 anni, impiegato dell’Ant (Associazione nazionale tumori) che, dopo aver freddato con un colpo di pistola il figlio Andrea, di 4 anni, si è tolto la vita. «Questa volta è successo a noi, alla nostra unica figlia e a nostro nipote. Ma ora basta: Federica era una ragazza forte, lo facciamo anche e soprattutto in suo nome questa battaglia, so che avrebbe voluto così».
«Non è stato facile: partecipare alla fiaccolata, mostrare e rivedere il volto di mia figlia in quelle condizioni. Lui l’ha massacrata, non posso neanche ripensare a com’era ridotta quando l’ho vista nella camera mortuaria. Eppure aprire la marcia con queste foto ci è sembrato il modo più giusto per dare più forza al nostro messaggio. Io sono impegnata con l’Avo, l’associazione Volontari ospedalieri. Un’attività che mi ha portato a vedere tante ragazze: arrivano in ospedale dopo aver subito violenza e non trovano il coraggio di denunciare. È alle donne soprattutto che mi rivolgo, mostrando la foto di mia figlia dico: vi prego, denunciate, ribellatevi».
Ma cosa è successo? Sempre su Repubblica si legge: «Federica è stata massacrata di botte. Mio nipote ucciso con un colpo di pistola alla testa, siamo stati noi a trovarlo ormai privo di vita. Io ed Enzo siamo stati presenti sempre nella vita di nostra figlia, se penso che ci sono sfuggiti quei minuti, gli ultimi minuti, non mi do pace. Ma ripeto non c’erano state avvisaglie. Luigi non sembrava un uomo aggressivo, ma molto chiuso questo sì: un aspetto del suo carattere che, forse, ho sottovalutato. Federica era molto innamorata. Lo aveva visto per la prima volta da bambina, a 13 anni, quando, dopo la morte di un’amica, pensare com’è la vita, aveva voluto fare un’esperienza di volontariato all’Ant. Poi si erano incontrati nuovamente. Io non ho mai accettato di buon grado il loro matrimonio e non per la differenza di età. Ora non lo so, non riesco a spiegare, ma forse queste cose una madre le sente ».
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In memoria di
Femminicidio, parla Rita, la madre della vittima (Vanity Fair – 20 novembre 2022)
C’è una forma di abuso che non si manifesta con lividi o scenate, ma passa dal controllo di chi gestisce le risorse economiche in casa. Come è successo a Federica De Luca, con una passione per il volley che voleva diventasse un mestiere. Il marito saldava i conti, ma il più alto, alla fine, è toccato a lei
Federica e Luigi si erano conosciuti quando lei faceva la volontaria all’Ant (Associazione Nazionale Tumori) e lui lavorava lì. All’epoca del loro primo incontro lei aveva solo 13 anni, lui 34. Era ovvio che le loro strade si dividessero. Anni dopo, nel 2010, quando a Federica mancavano tre esami alla laurea, si incontrarono nuovamente e da quel momento ripresero i contatti. Si sposarono il 21 marzo 2012, lei aveva 25 anni». A raccontare, oggi è Rita, la mamma di Federica. Ci dice che la figlia era innamoratissima di quell’uomo, ma questa, purtroppo, non è una storia romantica.
Luigi era un bell’uomo, di buona famiglia, c’era da stare tranquilli: dipendente amministrativo di un’associazione benefica di Taranto, lo conoscevano tutti in città. Federica l’aveva sposato, nonostante mamma Rita e papà Enzo non ne fossero entusiasti: non era solo per i 21 anni d’età, di differenza, «era una questione di pelle, una di quelle sensazioni che si fanno fatica a spiegare», racconta Rita. «Le avvisaglie – ad averle capite – c’erano state da subito», ricorda. «Lui ci teneva sempre molto, direi troppo, ad andare al supermercato con Federica: riempivano due carrelli, non badavano ai prezzi e alla fine pagava sempre lui, ostentando il potere del suo denaro. A mia figlia non dava mai i soldi da gestire, se non pochissimi euro, giusto per le cose quotidiane». Luigi pensava anche a pagare l’asilo del piccolo Andrea. Non c’era neppure bisogno di sborsare nulla per l’affitto: la casa era di proprietà, nessun mutuo da estinguere.
Federica non si manteneva da sola, non aveva un lavoro: si doveva ancora laureare in intermediazione linguistica e, prima di finire gli studi, era rimasta incinta. Aveva così dilatato un po’ i tempi per la tesi ed era riuscita a portare a casa il diploma di laurea a 29 anni. Intanto si occupava del suo piccolo Andrea, che adorava andare in missione con il nonno Enzo, quando lui, pensionato Ilva, faceva l’allenatore di pallavolo. E anche Federica aveva la passione per il volley: le piaceva fare l’arbitro durante le partite. Ci sapeva fare, aveva arbitrato anche in serie B. Per quello, però, non veniva pagata: era previsto solo il rimborso spese. Ma lei sperava, un giorno, di farne un mestiere «vero»: il suo sogno era quello di diventare arbitro ufficiale della Fipav (Federazione Italiana Pallavolo) e si erano presentate le prime occasioni ai tornei internazionali, anche se Luigi non era entusiasta e preferiva occuparsi lui del sostentamento economico della famiglia, come una volta, in fondo, facevano tanti uomini: «In realtà a casa nostra non ha mai funzionato così», ci tiene a precisare Rita, «io ho sempre lavorato in banca, anche se mio marito avrebbe potuto consentirmi di stare a casa».
Federica era cresciuta in una famiglia benestante, che avrebbe potuto aiutarla, ma chiedere la mancia a mamma e papà, quando ormai era un’adulta e con una sua famiglia già formata, non le andava. Chissà, un misto di orgoglio e pudore: «Però un giorno, lo ricordo benissimo, lei era in difficoltà: avrebbe voluto comprare delle scarpine ad Andrea. Suo marito era spesso assente e lei non aveva soldi in tasca, nemmeno un bancomat. Timidamente mi chiese allora se per caso avessi potuto comprare io quelle scarpe. Le scocciava, ma in fondo non problematizzava più di tanto il fatto di essere a corto di soldi. Capitava di parlarne, ma non ci siamo mai soffermate troppo». E invece quello era un segnale importante: la verità era che Federica non aveva alcuna autonomia, dipendeva da Luigi e lui aveva il controllo finanziario su tutto. «Lei non sapeva nemmeno quanto lui guadagnasse davvero: mi aveva detto 2 mila euro al mese, in realtà si è poi scoperto che erano 5 mila». Federica era pure all’oscuro che lui avesse venduto la loro barca a vela: «L’ha scoperto solo d’estate, molti mesi dopo, quando aveva proposto di fare un giro in mare e così lui era stato costretto a dire che non ce l’avevano più». E la stessa cosa era successa per la macchina e per la moto. Aveva poi saputo, e non da lui, che la loro casa era stata pignorata: «Un giorno si presentò alla porta un ispettore dell’Agenzia delle Entrate e per lei fu uno choc», continua a raccontare Rita, «lui si faceva bellamente i fatti suoi e lei non aveva nessuna possibilità di controllare i movimenti in banca».
Luigi aveva una vita parallela. E Federica l’aveva scoperto nel modo più banale possibile: nel suo smartphone aveva trovato dei filmini hard. Di lui, con altre. Tutto per Federica cominciava a diventare meno sopportabile: il fatto di non avere un soldo in tasca, di non essere autonoma, di dipendere da lui per ogni minima cosa. Aveva deciso di separarsi e Luigi sembrava consenziente. Rita aveva rassicurato la figlia che dall’avvocato ci sarebbero andate insieme, che non si sarebbe dovuta preoccupare. «Però il giorno che avevamo appuntamento dall’avvocato Federica non è arrivata. All’inizio ho pensato a un ritardo, anche se era strano che non mi avesse avvisata. Ho iniziato a preoccuparmi. Al telefono non rispondeva. Doveva essere successo qualcosa».
Eh sì, era successo qualcosa: nel frattempo, mentre mamma Rita aspettava sua figlia dall’avvocato, Luigi aveva massacrato Federica di botte, le aveva deturpato il volto con un punteruolo, l’aveva soffocata con un cuscino. Uccisa, con rabbia. Probabilmente, stando alle ricostruzioni fatte poi, il piccolo Andrea aveva visto tutto: chi l’aveva incontrato dopo con il papà, aveva detto che era come imbambolato, con lo sguardo perso. Luigi, finita l’esecuzione, aveva preso suo figlio e l’aveva portato nella villa che avevano in campagna, poco fuori Taranto. Non era una fuga, la corsa finisce lì: Luigi parcheggia, entra in casa e spara un colpo alla nuca di Andrea, che non aveva compiuto nemmeno quattro anni. E poi tocca a lui, che si ammazza accanto al figlio. «Li abbiamo trovati così», racconta Rita, «e della mia Federica ancora non sapevo nulla. Avevo sperato che in qualche modo fosse scampata». E invece no. «I carabinieri hanno sfondato la porta, ma Federica era già morta».
E chissà, Rita, da dove oggi riesce a prendere tutta quella forza che la spinge, insieme al marito, a incontrare ogni anno, da quel maledetto 2016, centinaia di ragazze nelle scuole della Puglia: «Racconto loro la storia di mia figlia. Federica era una ragazza forte eppure giustificava quell’uomo, aveva un mostro accanto, sarebbe dovuta scappare subito. Non si era ribellata al fatto che lui la tenesse sotto scacco dal punto di vista economico, che non la aiutasse a coronare il sogno di lavorare. Quella di Luigi era una forma di violenza: la chiamano “violenza economica” e nasconde un abuso di potere, una volontà di controllo, un’assenza di rispetto. Le donne devono imparare a riconoscere i segnali di un rapporto tossico e devono ribellarsi, denunciare. L’amore non è possesso». (di Valeria Vantaggi)
Federica De Luca e il figlio Andrea uccisi a Taranto, una casa dello sport ora ha il loro nome: “L’amore ritorna” (la Repubblica – 30 maggio 2023)
La donna vittima di femminicidio: il marito uccise anche il loro bambino di quasi 4 anni. Federica, laureata in lingue, era un’arbitra di volley e lo sport era la sua vita: il suo sorriso e la dolcezza del piccolo Andrea campeggiano adesso nella “Casa dello Sport di Federica e Andrea” nata a Taranto nella sede Abfo, dell’Associazione benefica Fulvio Occhinegro
“L’amore, come le lacrime, nasce dagli occhi, arriva alle labbra e poi scende nel cuore”. Scriveva così Federica De Luca. La tragedia e la violenza inferta a lei, 30 anni, e al figlio, Andrea di quasi quattro anni, barbaramente uccisi, nel 2016, per mano del marito da cui la donna si stava separando, sono diventati oggi una speranza per i bambini e i ragazzi di Taranto. Federica, laureata in lingue, era un’arbitra di volley e lo sport era la sua vita: il suo sorriso e la dolcezza del piccolo Andrea campeggiano adesso nella “Casa dello Sport di Federica e Andrea”, una struttura nata a Taranto nella sede Abfo, dell’Associazione benefica Fulvio Occhinegro, e dedicata proprio alla giovane mamma e al suo bambino, vittime della spietata brutalità.
Una testimonianza di amore, quella di Federica, portata avanti dai genitori della donna. Enzo De Luca e Rita Lanzon, con dignità e forza, cercano di dare un senso a quel peso infinito e allo strazio di quella strage, attraverso la solidarietà e opere di beneficenza. La palestra intitolata alla figlia e al nipotino è il raggiungimento dell’ultimo obiettivo importante e positivo. Era stato papà e nonno Enzo, anche lui giocatore di volley, poi arbitro ed allenatore, a trasmettere la passione alla figlia Federica. L’obiettivo che si prefigge oggi è “strappare dalla strada bambini e bambine” attraverso il valore educativo e sociale dello sport, “continuare l’opera in questa palestra dedicata a Federica e ad Andrea”.
Da sette anni, i due coniugi, invece di chiudersi nel proprio dolore, hanno girato scuole, palestre, centri antiviolenza, chiese e piazze, incontrando migliaia di ragazzi in tutta la Puglia e portando avanti tra gli alunni progetti di prevenzione contro la violenza. Per mamma e nonna Rita è “il rispetto reciproco alla base di tutto” e anche la nascita della Casa dello sport è “l’amore che ritorna”. Commozione, ma anche gioia, per l’inaugurazione della struttura, voluta dalla famiglia Occhinegro, che guida l’associazione Abfo e sposata dall’amministrazione comunale. Presenti alla cerimonia, insieme ai genitori, Andrea Occhinegro per l’Abfo (ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, onorificenza conferita a marzo dal presidente Sergio Mattarella, per le iniziative e l’opera di solidarietà) e gli assessori comunali Gianni Azzaro, Gabriella Ficocelli e Fabiano Marti.
La “Casa dello Sport di Federica e Andrea” si compone di alcuni locali, una palestra – campo da gioco in cui si potranno svolgere le attività sportive. Spiega l’Abfo: “Ci è capitato tante volte di presentare nuovi progetti e ogni volta ci è piaciuto poter dire di aver provato sensazioni bellissime. L’inaugurazione di “Casa dello Sport di Federica e Andrea”, svoltasi nella sede Abfo, è stata un concentrato di sentimenti ed emozioni uniche, come mai in precedenza. Più di qualcuno non ha potuto trattenere le lacrime, ma al tempo stesso è stata grande la gioia per aver messo le basi per un progetto sportivo dai forti connotati sociali”. Intanto, la “Casa dello Sport, dedicata al piccolo Andrea e alla sua mamma, Federica De Luca, sarà un luogo in cui i bambini e i ragazzi dovranno imparare che il rispetto e l’amore verso il prossimo sono valori dai quali nessuna società civile può prescindere e i messaggi che i genitori di Federica stanno portando avanti in questi anni, da oggi avranno uno strumento in più”.