Elvira Bruno, 52 anni, badante, mamma. Strangolata dal marito
Palermo, 17 Aprile 2019
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Uccisa dal compagno perché si è rifiutata di fare sesso: “L’ho strozzata con tutta la forza” (Palermo Today – 17 aprile 2019)
L’omicidio in zona Notarbartolo. Ecco come è morta Elvira Bruno, 52 anni: Naili Moncef, avrebbe tentato un approccio mentre si trovavano nella camera da letto. Di fronte al suo rifiuto lui avrebbe insistito, ma non riuscendo a vincere le sue resistenze l’ha strangolata. La confessione davanti agli investigatori
Un mese fa lei avrebbe avviato le procedure per mettere fine alla loro storia. Tanto che da tempo tra i due c’era un clima da “separati in casa”. Dopo una nottata di lavoro lei, Elvira Bruno, 52 anni, che faceva la badante, sarebbe tornata nel loro appartamento alle prime luci dell’alba. Il suo compagno, il tunisino di 53 anni Naili Moncef, avrebbe tentato un approccio sessuale mentre si trovavano nella camera da letto. Di fronte al suo rifiuto lui avrebbe insistito, ma non riuscendo a vincere le sue resistenze l’ha strangolata mentre si trovavano nella camera da letto. Lì dove poi la donna è stata trovata morta e dove il suo carnefice si è consegnato alle forze dell’ordine.
Sarebbe questa la dinamica dell’omicidio avvenuto stamattina in via Antonino Pecoraro Lombardo, a pochi passi dalla stazione Notarbartolo. Maturato nel silenzio. “Era una coppia abbastanza silenziosa e stamattina – raccontano i vicini ancora sotto shock – non abbiamo sentito nulla. Né un litigio né un urlo”. A chiamare il 113 è stato lo stesso tunisino, un cuoco che lavora in un ristorante in zona Palagonia. “Le ho stretto le mani al collo con tutta la forza che avevo”, ha confessato Moncef davanti agli investigatori della sezione Omicidi della Squadra Mobile e al procuratore aggiunto Annamaria Picozzi.
Secondo una prima ricostruzione, sulla quale la polizia sta cercando riscontri, l’omicidio sarebbe avvenuto tra le 7.30 e le 8. A lanciare l’allarme è stato lo stesso cuoco tunisino, ma sembrerebbe che abbia telefonato al 113 circa un’ora dopo averla strangolata. Perché? Stava pensando a cosa raccontare ai familiari e alla polizia o ha avuto bisogno di tempo per realizzare quello che aveva fatto? Intorno alle 10 la stradina, solitamente desolata, si è riempita di vicini, curiosi, poliziotti e carabinieri.
Poco dopo è arrivata una delle due figlie della vittima, con ancora lo zaino sulle spalle. Dopo un breve colloquio con uno degli agenti, ha appreso la tragedia: sua mamma non c’era più, il compagno l’aveva portata via.
“Li vedevamo qui nella zona. Lui – raccontano ancora i vicini – andava a comprare la frutta da un ambulante vicino casa. Sembravano due persone molto tranquille, non abbiamo mai percepito nulla di preoccupante”.
Elvira Bruno e Naili Moncef, stavano insieme da qualche anno. Nel 2016 il matrimonio, il secondo per la vittima. Negli anni il loro rapporto si sarebbe lentamente sgretolato e per questo lei, tra scenate e episodi di gelosia, avrebbe deciso di separarsi. Notizia che il tunisino avrebbe appreso proprio stamattina. Quindi, accecato dalla rabbia, ha stretto le sue mani intorno al collo della compagna per ucciderla. Circostanze che l’uomo avrebbe confessato poco dopo assumendosi la responsabilità di questa morte. Terminati gli accertamenti la Procura ha emesso per lui un decreto di fermo con l’accusa di omicidio volontario aggravato da futili motivi.
Strangolò e uccise la moglie che voleva lasciarlo: un cuoco dovrà scontare 30 anni di carcere (Palermo Today – 27 aprile 2022)
La Cassazione conferma la condanna di Naili Moncef per l’omicidio di Elvira Bruno, avvenuto il 17 aprile 2019. L’imputato, che raccontò di aver ammazzato la donna perché lei l’avrebbe respinto, è riuscito ad accedere all’abbreviato: commise il delitto due giorni prima che entrasse in vigore la legge che ha escluso questa possibilità
I poliziotti la trovarono vestita, nascosta sotto una coperta, senza vita. A strangolare Elvira Bruno, 51 anni, la mattina del 17 aprile del 2019, fu suo marito Naili Moncef, un cuoco di origine tunisina, dal quale la donna si stava separando, che dopo aver fumato un paio di sigarette e bevuto un caffè aveva lui stesso chiamato il 113 dicendo che aveva appena ammazzato la donna. Adesso per lui la condanna a 30 anni di carcere, rimediata con il rito abbreviato, diventa definitiva: la Cassazione ha infatti dichiarato inammissibile il suo ricorso.
La sentenza emessa afebbraio del 2020dal gup Walter Turturici ha quindi retto integralmente in tutti i gradi di giudizio. Nel processo si erano costituiti parte civile i parenti della vittima, a cominciare dai suoi figli, e l’associazione “Le Onde”, rappresentati dagli avvocati Enrico Tignini, Dario Gallo, Rosalia Caramazza e Maddalena Giardina, ai quali sono stati riconosciuti complessivamente poco più di 80 mila euro di provvisionale. Moncef era riuscito ad accedere al rito alternativo (evitando quindi l’ergastolo) soltanto perché commise il delitto due giorni prima dell’entrata in vigore della norma che ha stabilito che nel caso di reati puniti con l’ergastolo non sia più possibile ricorrere all’abbreviato ed ottenere benfici e sconti di pena.
Le indagini sul delitto, che avvenne nella casa che la coppia condivideva in via Antonino Pecoraro Lombardo, vicino alla stazione Notarbartolo, furono coordinate dal procuratore aggiunto Annamaria Picozzi e dal sostituto Federica La Chioma, che individuarono il movente nel desiderio di indipendenza della vittima, che lavorava come badante. Elvira Bruno ha pagato con la vita la scelta di lasciare il marito e la voglia di essere libera, autonoma anche economicamente. I pm contestarono anche l’aggravante dei futili motivi (che non ha retto però sin dal primo grado) all’imputato, ritenendo che Moncef avrebbe ammazzato la moglie per questioni economiche: lei lavorava e portava avanti la famiglia, mentre lui era rimasto senza un’occupazione.
L’imputato agli inquirenti raccontò un’altra storia. Parlò infatti di un rapporto sereno con la moglie, ammettendo soltanto che gli sarebbe pesato il fatto di non conoscere le persone che da badante assisteva anche di notte. Inoltre aveva spiegato che quella mattina, dopo aver visto la donna uscire dalla doccia solo con un asciugamano addosso, si sarebbe avvicinato e l’avrebbe sfiorata. Elvira Bruno, però – sempre a dire dell’imputato – lo avrebbe respinto brutalmente, graffiandolo anche, e dicendogli che non avrebbe mai più dovuto toccarla. Per questo Moncef avrebbe stretto le mani intorno al collo della moglie, fino ad ucciderla.
Questa versione, in prima battuta, aveva convinto l’allora gip Fabrizio Molinari che al momento dell’arresto dell’imputato gli aveva riconosciuto infatti l’attenunante della provocazione. La Procura non ha invece mai creduto alle dichiarazioni del cuoco perché prive di riscontri: la vittima, per esempio, fu ritrovata completamente vestita e l’asciugamano di cui ha parlato Moncef non è stato mai ritrovato. Inoltre i rapporti tra i coniugi, secondo l’accusa, sarebbero stati tutt’altro che sereni, tanto che la vittima era intenzionata a separarsi, come hanno confermato i figli avuti da un precedente matrimonio.