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Elena Lonati, 23 anni, studentessa. Strangolata, legata e imbavagliata con del nastro adesivo, chiusa in un sacco nero e lasciata morire per asfissia sotto le scale del campanile, dal custode della chiesa

Brescia, 18 Agosto 2006

Sognava di fare la maestra

 

 

 

 

 


Titoli & Articoli

Segni di soffocamento sul collo.
Il corpo della giovane, 23 anni, era avvolto in sacchi di plastica. Sospetti sul sagrestano cingalese, coetaneo della vittima
BRESCIA – Non era la sua chiesa, ma ci è entrata lo stesso per accendere una candela, come chiesto dalla madre. E vi ha trovato la morte. Una studentessa bresciana di 23 anni è stata trovata morta da carabinieri e vigili del fuoco in una chiesa di via Ambaraga, a Mompiano, nella periferia bresciana. Elena Lonati era sparita da venerdì. Di lei nessuna notizia fino al macabro ritrovamento effettuato sabato sera alle 22 e 30 da carabinieri e vigili del fuoco. Il suo corpo, con una ferita alla nuca, legato alle mani e ai piedi, era avvolto in tre sacchi di plastica bianca, piegato e incastrato nell’angusta scaletta di un vecchio pulpito da tempo inutilizzato. Sul collo segni di strangolamento e lesioni alla base del cranio. La ragazza aveva nastro adesivo sugli occhi e sul collo. Secondo i medici sarebbe stata chiusa nei sacchi ancora viva e prima di morire avrebbe sofferto per almeno un’ora. Per tutta la giornata di sabato, i fedeli che si sono recati per le funzioni o per la preghiera nella chiesa di Santa Maria sono passati a pochi metri dal cadavere. Già da sabato pomeriggio, mentre era in corso la messa del vespro, i carabinieri avevano concentrato la loro attenzione sulla chiesa. Poi, più tardi, durante un’accurata ispezione, è stato scoperto il cadavere nascosto nella scala del pulpito.
SOSPETTI – Gli investigatori stanno cercando Wimal Chamil Ponnamperumage, un immigrato cingalese, sagrestano della chiesa e coetaneo della vittima, fortemente sospettato dell’omicidio. Chamil, conosciuto nella parrocchia come Camillo, viene descritto nel quartiere come un ragazzo «che è sempre parso tranquillo e a posto». Sarebbe stato lui ad avvertire lo zio con una telefonata, prima di sparire. Secondo quanto riferito da don Cesare Verzelletti, il giovane ha raccontato al familiare che la ragazza tra le 11 e mezzogiorno di venerdì era entrata in chiesa. Ma lui doveva chiuderla, secondo le disposizioni. L’aveva invitata a uscire e lei aveva opposto una certa resistenza. A questo punto ci sarebbe stata una colluttazione. «È caduta e ha battuto la testa – avrebbe raccontato Chamila allo zio -. Mi sono accorto che non c’era più nulla da fare e ho nascosto il corpo». Una versione che contrasta decisamente secondo gli inquirenti con i segni di violenza presenti sul corpo della ragazza. Solo il giovane cingalese aveva la chiave di quel vano scala del pulpito. Lo zio di Chamila ha subito avvertito i genitori di Elena. A questo punto i genitori sono corsi dal parroco e insieme hanno cercato di rintracciare il giovane, che però era già fuggito. Le ricerche dei carabinieri si sono dirette alla chiesa, dove il cadavere è stato scoperto. «Avevo visto Elena qualche volta – ha raccontato il sacerdote – ma non la conoscevo bene perché lei è di una parrocchia vicina». Quanto al cingalese sospettato del delitto, don Verzelletti lo descrive come «un ragazzo mite», che suona in un gruppo con strumenti tradizionali cingalesi. «Non l’ho mai visto parlare con una ragazza di qui – ha proseguito il sacerdote -. Proprio venerdì era stato in Posta per inviare una raccomandata e chiedere il permesso per la sua ragazza, perché potesse venire in Italia».
LA MADRE – «Avevo mandato io mia figlia in chiesa ad accendermi una candela, venerdì. Elena è morta per un caso tragico» ha raccontato la madre di Elena, Caterina Mutti, parlando con il parlamentare bresciano dei Ds Franco Tolotti, vicepresidente della commissione Economia della Camera, unico finora ad essere accolto a casa Lonati, che resta con i cancelli sbarrati. «Ho incontrato una famiglia davvero straordinaria, di una compostezza e dignità assoluta – ha detto Tolotti -. Una famiglia turbata anche dalle tante notizie che parlano di un movente passionale. Movente che i familiari hanno escluso in maniera lucida e certa».
LA ZONA – Il quartiere di Mompiano, nel quale si trova tra l’altro lo stadio di Brescia, è un’ampia zona residenziale alla periferia nord della città. È zona abitata per lo più da famiglie benestanti, con scarsa presenza di immigrazione straniera, e nella quale non si ricorda siano avvenuti in questi anni gravi fatti di cronaca.
A 10 anni dalla morte di Elena Lonati: “Non perdono chi l’ha uccisa”
Il 18 agosto 2006 veniva uccisa a Brescia la 23enne Elena Lonati, trovata senza vita sulla scala che porta a un vecchio pulpito della piccola chiesa di san Gaudenzio, nel quartiere cittadino di Mompiano. Per l’omicidio è stato condannato a diciotto anni e quattro mesi il giovane sagrestano cingalese Wimal Chamila Ponnamperumage, conosciuto come Camillo e coetaneo della vittima.

L’assassino di Elena Lonati presto in semilibertà. Oggi l’uomo ha 32 anni, è detenuto nel carcere di Brescia e dal prossimo anno potrà godere della semilibertà.
«Per me quella persona non esiste, non posso perdonarlo», ha detto, a distanza di dieci anni, Aldo, il padre di Elena Lonati. «Vivo in Italia e rispetto le sentenze anche se per chi ha ucciso mia figlia la giustizia è stata troppo clemente», ha aggiunto il padre di Elena Lonati. Il sagrestano ha sempre detto di aver spinto la ragazza, di averla fatta cadere e, convinto fosse morta, si sarebbe fatto prendere dal panico e avrebbe così nascosto il corpo. La ragazza sarebbe morta successivamente per soffocamento.
Elena Lonati era scomparsa: il suo cadavere, legato e infilato in sacchi di plastica, fu trovato nascosto all’interno del campanile della chiesa, periferia verde di Brescia. Il cingalese, custode della chiesa, a delitto avvenuto e prima di darsi alla fuga, avrebbe parlato allo zio di un “incidente”. Una versione che non convinse gli inquirenti perché sul collo della vittima c’erano segni di strangolamento. Secondo le indagini, la ragazza era stata chiusa nei sacchi ancora viva e avrebbe sofferto prima di morire.
Elena Lonati, 11 anni dopo la morte: “Brescia non deve dimenticarla”
Elena fu uccisa il 18 agosto del 2006 nella chiesa di S.Maria a Mompiano, il custode è stato condannato e ora è in semilibertà. Il delitto ha lasciato aperti più interrogativi
Era il 18 agosto 2006, un caldo venerdì a Mompiano. Elena Lonati, 24 anni, esce di casa poco dopo le 11 del mattino diretta nella chiesa di S. Maria e scompare nel nulla. Elena, non è mai uscita dalla Chiesa. Il giallo viene risolto sabato notte: il corpo viene trovato nel campanile. Sotto accusa il custode Wimal Chamila Ponnamperumage. L’uomo, cingalese, racconta di aver avuto una discussione con la ragazza e di aver perso la testa fino a strangolarla. Il delitto ha lasciato aperto più di un interrogativo, soprattutto per i genitori. Il colpevole è stato condannato a 18 anni e 4 mesi. Ora è in semilibertà.
Non è facile mai. Un giorno come undici anni dopo. Sembra ieri, quando alle 11.20 uscì di casa e disse alla mamma: «Faccio presto, oggi ho un po’ di mal di testa». Tre euro in tasca, le tappe di routine: in edicola a comprare il giornale, sotto braccio la borsa con il cambio della biancheria da portare alla nonna ospite nella casa di riposo delle Ancelle della carità. «E già che ci sei accendi una candela in Santa Maria vah, che oggi è Sant’Elena!» le suggerisce mamma Milena (all’anagrafe Maria Maddalena, ma così da sempre la chiamano tutti). A casa non tornerà più, Elena Lonati. La troveranno soltanto due giorni dopo, senza vita, in quella chiesa dove è stata uccisa il 18 agosto del 2006.
«Cosa vuole, ogni anno, quando si avvicina l’anniversario è sempre durissima. Difficile. Il dolore si rinnova, cerchiamo di affrontarlo, teniamo duro e andiamo avanti». La voce di papà Aldo è ferma, emozionata. Lo specchio di una dignità composta e coraggiosa che da sempre contraddistingue questa famiglia (c’è anche Francesco, il fratello maggiore di Elena): devota al prossimo con la mano tesa verso i meno fortunati che, nel tempo, di loro hanno avuto bisogno. Sempre. Undici anni. Nel ricordo lacerante e silenzioso che a volte sentirebbe il bisogno di uscire dalla porta di quella villetta di Mompiano dove Elena abitava. Affinché nessuno si arroghi il diritto di dimenticarla. Risoluta e riservata, in tasca un diploma da operatore sociale, 24 anni appena compiuti, una passione sfrenata per i cavalli, Elena sognava di lavorare con i bambini. Magari in un asilo.
Lo ammettiamo, leggere il suo nome inciso su una targa fuori da una scuola (magari d’infanzia, perché no), all’angolo di una strada, o di chissà quale altra «struttura» pensata «per la città» ci piacerebbe molto. Farebbe bene alle nostre coscienze, forse. Per ora, non è ancora successo: «Quello che è capitato a nostra figlia, e soprattutto il posto in cui è accaduto, una chiesa, ha destato molto disagio e a tratti poca comprensione, mi creda. E anche noi proprio non lo riusciamo a capire come si possa morire così, a 24 anni…» dice il signor Aldo. Che ci ricorda, a onor del vero, anche tutti gli sforzi, e l’impegno da parte delle istituzioni, a partire dalla Loggia, per ricordare Elena nel miglior modo possibile: se ne interessò l’allora sindaco Paolo Corsini («eravamo troppo freschi») e dopo di lui Emilio Del Bono, l’associazione «Il sorriso dei bimbi» di cui papà Aldo è fra i fondatori, la Pro Loco. Ma si è innescato un meccanismo che rischiava di diventare un boomerang, quasi come se – involontariamente – si arrivasse a strumentalizzarne la memoria.
E allora si riparte da qui. Adesso. Da una mail che i genitori hanno inviato all’indirizzo del sindaco proprio di recente. Per capire come fare, a ricordarla come merita. «Per non dimenticare», dice mamma Milena. Giusto citando la scritta che, per qualche anno, gli amici di sempre ogni 18 agosto hanno tratteggiato con le bombolette spray sul sagrato di quella chiesa. Perché sia chiaro, «se si deciderà per un’intitolazione a nostra figlia, non devono farlo per noi. Ma per lei. Giovane donna cittadina del presente a cui è stato negato un futuro». Già, anche lei era il futuro di questa città. «Mia figlia è sempre con me, tutti i giorni. Ma lei? Facciamolo per lei».
Il signor Aldo parla con il cuore in mano: «Non lo so se un gesto simile mi darebbe conforto, sinceramente in questo momento non sono in grado di assicurarglielo. È qualcosa di inimmaginabile capisce? Ma perché no, in fondo». Vero, «in tantissimi ci sono stati vicini, gli amici di Elena e non solo», ma è altrettanto vero che «pur rispettando la legge, e la giustizia degli uomini, a volte ci risulta poco comprensibile». Il responsabile dell’omicidio, oggi, è in semilibertà. È arrivato il momento che la città si rimbocchi le maniche. Facciamolo.

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In memoria di

Una lanterna accesa tutta la notte per ricordare Elena Lonati, uccisa 17 anni fa
«Solo l’amore può sconfiggere le tenebre». L’amore di una famiglia, della comunità, di una città e le tenebre di un delitto che 17 anni fa ha spento la vita di Elena Lonati. Era il 2006 quando Elena venne uccisa, all’età di 24 anni, dal sagrestano della chiesa di Santa Maria a Mompiano, Wimal Chamile Ponnamperumage, 37enne cingalese noto come Camillo.
Da due anni il centro civico di via Chiusure porta il suo nome: «L’importanza delle intitolazioni sta nel ricordo – ha detto l’assessore Anna Frattini -.  Soprattutto quando si ricordano giovani le cui vite sono state spezzate in modo tragico». L’associazione «Ilsorrisodeibimbi», di cui sono co-fondatori gli stessi genitori di Elena, mamma Maddalena e papà Aldo, aveva chiesto di intitolarle un luogo della città per non dimenticare la giovane operatrice sociale e con lei anche la tragedia che ogni femminicidio comporta. La scelta era caduta sul centro di via Chiusure che, con la sua sala lettura e la Biblioteca, è frequentato da tanti bimbi, per i quali Elena nutriva una grande passione.
La luce della lanterna
Per ricordare Elena, quest’anno, il quartiere, l’amministrazione e la biblioteca Ghetti hanno organizzato una cerimonia con l’accensione di una lanterna: «Un gesto semplice, una candela accesa per una notte – ha spiegato il bibliotecario Sandro Foti – seguendo le ultime ore di Elena. Importante farlo qui visto il legame che univa lei con i bambini e i libri: Elena era molto attiva nella parrocchia e avrebbe voluto lavorare nel mondo dell’educazione». La lanterna resterà accesa per tutta la notte.