Elena Fioroni, 31 anni, mamma. Narcotizzata e poi annegata nella vasca da bagno dal marito
Un delitto quasi perfetto, smascherato dal tossicologo: Elena non è annegata nella vasca da bagno dopo essersi tagliuzzata i polsi. La donna è stata prima narcotizzata dal marito con dell’etere e delle benzodiazepine, poi le ha iniettato dell’etilcarbammato o uretano, un veleno micidiale, e solo infine ha preparato la messinscena della vasca. Lei voleva lasciarlo.
Gian Luca Cappuzzo, 40 anni, medico specializzando. Condannato a 26 anni di reclusione.
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Uccise la moglie, Cappuzzo condannato a 26 anni di carcere. Mano pesante dei giudici: la condanna ora è definitiva. Ma il medico non ha mai confessato il delitto. Nel 2006 uccise la moglie Elena Fioroni con alcune iniezioni letali e poi simulò un malore in vasca da bagno
La certezza ora c’è. Con la sentenza della Corte di Cassazione viene messa la parola fine all’omicidio di Elena Fioroni. La Corte di Cassazione ha confermato i 26 anni di reclusione già inflitti in primo grado e in Corte d’Appello a Gian Luca Cappuzzo, il marito medico che la sera dell’8 febbraio 2006 uccise la moglie trentunenne Elena Fioroni con un’iniezione di veleno, nella villetta coniugale di Voltabarozzo. Il verdetto inappellabile lo indica come colpevole.
Cinque anni in carcere Cappuzzo li ha già scontati: ne restano 21. Tanti. Ma per buona condotta potrebbe uscire ben prima.
La sua è stata una relazione sentimentale vissuta in modo possessivo e totalizzante. E una condizione esistenziale «debole e immatura che lo hanno reso incapace di gestire il conflitto relazionale con la moglie e di confrontarsi, accettandola, l’idea del fallimento coniugale e familiare». Ecco il mix mortifero di ingredienti che lo hanno portato ad assassinare Elena. Lo si legge nelle motivazione dei giudici della Corte d’Assise del gennaio 2010: loro sono entrati nel merito a differenza della Cassazione che ha valutato solo le questioni di diritto. E’ nel peso dato alle attenuanti generiche che si è concessa una chance a Cappuzzo, evitandogli l’ergastolo (previsto per l’omicidio in presenza delle aggravanti contestate) e comminandogli una pena lunga ma comunque destinata a ridursi, come detto, tra indulto (tre anni condonati per legge), carcerazione preventiva e liberazione anticipata in caso di buona condotta.
«Per l’omicidio commesso da Cappuzzo la pena editale prevista è quella dell’ergastolo – scrivono i giudici – Tuttavia devono essere riconosciute in suo favore le circostanze attenuanti generiche equivalenti (alle aggravanti) in base a considerazioni attinenti alla personalità e al carattere dell’imputato. Elementi che ne delineano una capacità a delinquere di livello molto modesto. Risulta anzi che aveva sempre amato incondizionatamente la moglie. Poi qualcosa s’incrina. Secondo le testimonianze di amici e familiari si trovava in uno stato di profonda prostrazione psicologica a seguito della decisione di Elena di separarsi da lui». «L’omicidio di Elena Fioroni si presenta con tutte le caratteristiche del delitto passionale – rilevano i giudici – legato alla forte gelosia di Cappuzzo nei confronti della moglie e all’incapacità di accettare la sua decisione di separarsi».
Tra la fine del 2005 e il gennaio 2006 Elena informa Gian Luca di voler troncare il matrimonio. La uccide nel bagno di casa, dopo averla narcotizzata con dell’etere e delle benzodiazepine, iniettandole dell’etilcarbammato o uretano, un veleno micidiale. «L’acquisto dell’uretano e il fatto di averlo portato con sé la sera del delitto – precisa la Corte – sono da collegare alla sua decisione di usare la sostanza per uccidere la moglie». Cappuzzo ha scelto l’uretano ritenendo che tale sostanza per la difficoltà di rilevarne le tracce in sede autoptica, fosse funzionale alla simulazione di un suicidio. Quando uscirà dal carcere rivedrà i suoi figli. Ma faticherà a riconoscerli.
di Carlo Bellotto
Il Mattino di Padova
Sarà il 10 febbraio l’udienza in Cassazione per Gian Luca Cappuzzo, condannato per l’omicidio della moglie, Elena Fioroni. A gennaio del 2010 la Corte d’Assise d’Appello aveva confermato i 26 anni di reclusione inflitti dalla Corte d’Assise di Padova il 29 aprile 2008 al medico che la sera dell’8 febbraio 2006 uccise la moglie trentunenne con un’iniezione di veleno, nella villetta di Voltabarozzo..
Al momento non è ancora stato pagato il risarcimento stabilito in primo grado. Il ricorso in Cassazione era stato depositato dal legale di Cappuzzo, Giovanni Chiello. Un ricorso che punterà sulla perizia psichiatrica che ha sempre considerato il 40enne specializzando, capace di intendere e volere, sulla perizia relativa alle cause della morte e sulla premeditazione. La difesa mira a dimostrare che Gian Luca non fosse in sé quella sera, e che mai avesse pensato e pianificato l’omicidio di sua moglie. Ma che tutto fosse dettato da un raptus. Per sviare le indagini, Cappuzzo quel giorno aveva simulato il suicidio della stessa, deponendo il cadavere nella vasca da bagno, tagliuzzandone i polsi con una lametta. E aveva perfino fatto partire falsi sms dal cellulare di Elena, quando era già morta. In Appello l pg Bruni aveva ritenuto che non sussistessero gli estremi per considerare le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti: uso del veleno, premeditazione e rapporti di parentela.