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Elena Fioroni, 31 anni, psicologa, mamma. Narcotizzata e poi uccisa con tre iniezioni di uretano dall’ex marito che poi simula un suicidio tagliandole le vene

Padova, 8 Febbraio 2006


Titoli & Articoli

Donna morta a Padova, è omicidio (TgCom24 – 11 febbraio 2006)
Nuovo interrogatorio per lʼex marito
Sembrava un suicidio, invece la donna trovata morta in un appartamento di Padova è stata uccisa.
Lo ha rivelato l’autopsia sul corpo di Elena Fioroni, la 31enne madre di due figli piccoli. La vittima sarebbe stata avvelenata. Gli inquirenti hanno fermato e interrogato il marito 35enne, medico, che però nega tutto. Previsto per domenica un nuovo interrogatorio dell’uomo accusato di omicidio premeditato pluriaggravato.
L’uomo, Luca Capuzzo, è stato sottoposto sabato per molte ore ad un pressante interrogatorio durante il quale non ha però mai ammesso nessuna colpa, ribadendo la sua assoluta estraneità sull’accaduto. La svolta delle indagini si è avuta dopo il risultato dell’autopsia dalla quale è emerso che alla donna sarebbe stata somministrata una sostanza tossica attraverso un’iniziezione effettuata poco prima della morte. Già nel primo sopralluogo dell’ abitazione la squadra mobile aveva avuto dubbi sulla morte della donna, madre di due figli, Gaia di 2 anni e Francesco di 4, separata da qualche mese dal marito.
All’origine di tutto pare ci sia un’iniezione fatta la sera prima dall’uomo alla moglie per lenire alla moglie un dolore allo stomaco. I due sarebbero stati assieme fino a tardi nella villa di Voltabarozzo (dove viveva solo lei assieme ad una colf) e Cappuzzo sarebbe stato l’ultima persona ad aver visto Elena Fioroni viva. Quanto è avvenuto in quelle ore è alla base delle indagini della squadra mobile di Padova, che ha anche compiuto una serie di perquisizioni alla ricerca di prove a supporto della tesi di omicidio.
Sembra ormai certo che due sms inviati dal cellulare della vittima alla madre e al marito rappresentino un tentativo di sviare le indagini. A scoprire il cadavere, com’è noto, è stata la colf che vive al piano superiore della villa e che l’ altra mattina ha trovato Elena Fioroni esanime, nella doccia del bagno.

 

Psicologa «suicida», arrestato il marito (il Giornale – 12 febbraio 2006)
La vittima si era da poco separata dall’uomo, che si dichiara innocente
Aveva i nervi molto fragili, si era separata da poco dal marito e quando la colf l’ha trovata morta, adagiata nella della doccia col cutter usato per tagliarsi le vene poco lontano, quasi nessuno ha avuto dubbi: suicidio. Ma fin da giovedì mattina, di fronte al cadavere di Elena Fioroni, psicologa di 31 anni, nella villetta di Voltabarozzo, a Padova, gli agenti delle squadra mobile, guidati dal commissario Marco Calì, avevano intuito che in quella morte c’era qualcosa di sospetto. Il forte odore di etere in bagno, quei messaggi sms spediti nel cuore della notte alla madre e all’ex marito, il rivolo di sangue dalla bocca. La sensazione si è trasformata in certezza per gli inquirenti, una volta arrivati i risultati dell’autopsia. Dal suicidio si è passati all’omicidio premeditato, tanto che il pm padovano, Orietta Canova, ha disposto il fermo per il marito, Gian Luca Cappuzzo, 35 anni, medico specializzando, l’ultimo ad avere visto viva Elena Fioroni. Lui però si dichiara innocente.
Il colpo di scena, nell’aria da giovedì, è arrivato ieri, dopo i primi risultati dell’autopsia e dopo l’interrogatorio di Cappuzzo da parte del pm. Gli inquirenti sono molto abbottonati. Per capire qualcosa, occorre partire dalla notte tra mercoledì e giovedì, quando il marito, secondo l’accusa, avrebbe dato esecuzione al suo piano omicida.
In quella villetta la donna, che aveva due figli piccoli, Gaia di 2 anni e Francesco di 4, viveva da sola, con la colf che occupava il secondo piano. Nella serata di mercoledì Elena Fioroni ha avvertito dei forti dolori allo stomaco. Forse è per questo che ha chiamato il marito, che è medico e che avrebbe quindi potuto aiutarla. Cappuzzo è andato in via Vittor Pisani e, secondo le prime ricostruzioni, è rimasto con la moglie diverse ore, durante le quali le avrebbe fatto un’iniezione. L’accusa, che sarebbe supportata dai riscontri autoptici eseguiti all’Istituto di medicina legale da Santo Davide Ferrara e Giampietro Frison, sostiene che in quella siringa Cappuzzo avrebbe messo una sostanza tossica. Un miscela di sostanze divenute veleno. Una volta entrata in circolo, questa sostanza avrebbe provveduto a rallentare progressivamente il battito cardiaco, fino a provocare la morte della giovane donna.
Le indagini sono serrate. La squadra mobile ha effettuato diverse perquisizioni e controlli sul traffico telefonico della vittima e del presunto assassino. In particolare, sono finiti nel mirino due messaggi sms in cui Elena Fioroni avrebbe dato il suo ultimo saluto alla mamma e al marito. Una sorta di testamento via etere che però, secondo l’accusa, altro non sarebbe che una macabra messinscena dell’assassino, nel maldestro tentativo di sviare le indagini e di far passare per buona la tesi del suicidio.
Sul movente, sui motivi che avrebbero indotto il medico a trasformarsi in assassino, gli inquirenti non parlano. Probabile che la ragione sia da ricercare nella recente separazione, magari nel sospetto che la donna avesse un altro uomo. Oggi Cappuzzo sarà ancora interrogato dal pm Canova. L’avvocato Giovanni Chiello, che lo difende, ha spiegato che il suo assistito ieri non ha fatto alcuna dichiarazione spontanea. Lunedì prossimo, intanto, Cappuzzo comparirà davanti al gip padovano, Giuliana Galasso, per l’ udienza di convalida del fermo. Gli inquirenti sembrano davvero convinti di averlo incastrato. Restano da capire i motivi di un progetto così diabolico.

 

 

Con l’uretano un delitto “quasi” perfetto (Blog Libero – 17 novembre 2007)
IL MARITO-ASSASSINO GIAN LUCA CAPPUZZO SMASCHERATO DAL TOSSICOLOGO FERRARA .
Ha ri­schiato di essere archiviato come un suicidio, anche se con l’alone del dubbio. Così avrebbe potuto farla franca il marito Gian Luca Cappuzzo, dopo mesi reo confesso di quell’assassinio che per la pubblica accusa è stato premeditato, accuratamente organiz­zato per settimane, forse me­si, e poi crudelmente messo a segno. Se delitto perfetto non c’e sta­to, «È PERCHÈ BEN HA FATTO IL PUBBLICO MINISTERO (ORIETTA CANOVA) A RECEPIRE IL SUGGERIMENTO DEI TECNICI DI ESEGUIRE  IMMEDIATAMEN­TE L’AUTOPSIA» ha avvertito il professor SANTO DAVIDE FERRARA, di­rettore dell’U­nità operati­va di tossico­logia forense dell’Univer­sità di Padova. E’ stato proprio lui, «principe della tossicolo­gia», a ipotizzare il delitto e a smascherare la morte violenta della psicologa  Elena Fioroni prima che gli inquirenti facessero luce sul caso con il consueto lavoro di investigazione. Un omici­dio diabolico, studiato dall’assassino con ri­cerche via Internet ed eseguito con il ricorso ad un veleno, L’ETILCARBAMMATO O URETANO, PER LO PIÙ SCONOSCIUTO AI MEDICI, DI RARA APPLICAZIONE IN CAM­PO VETERINARIO, ormai desueto per i suoi effetti di mutagenesi e cancerogenesi. Una so­stanza pericolosa che ha una caratteristica: la volatilità. Agisce. Uccide. E poi sparisce trasformandosi per il 95% in anidride carbonica ed etanolo e, in quel processo di poche  ore, GONFIANDO COME UN MO­STRUOSO PALLONE IL CORPO UMA­NO APPENA SOPPRESSO, CHE TOR­NA A RECUPERARE LE SEMBIANZE ORIGINARIE IN UNA FASE SUCCES­SIVA, NONOSTANTE UN ACCELERATO PROCESSO PUTREFATTIVO.
Il professor Ferrara e il dottor Giampietro Frison anche lui dell’Istituto di medi­cina legale di Padova, hanno spiegato nel dettaglio come è stato scoperto l’assassinio.
E per farlo, hanno proiettato  alcune drammatiche foto del corpo della vittima scattate prima e dopo la peri­zia.
ELENA FIORONI, 31 ANNI, VIENE UCCISA LA NOTTE TRA l’8 E IL9 FEBBRAIO 2006 CON TRE INIE­ZIONI DI URETANO.  Inizia subito l’esame esterno del cor­po che si sta deformando da­vanti agli occhi attoniti dei medici legali. Ha raccontato Ferrara: «A DISTANZA DI POCHE ORE (DALLA MORTE) APPARIVA UN RETICOLO VENOSO PUTREFATTIVO PROVOCATO DALLA SOSTANZA TOSSI­CA, NONOSTANTE LE MIGLIORI CONDIZIONI DI CONSERVAZIONE DEL CORPO … AL MOMENTA DELL’ AUTO­PSIA NON POTEVAMO NEANCHE SOGNARCI CHE SI TRATTASSE DI URETANO. MA, ESCLUSA LA PATOLO­GIA NATURALE, GRAZIE ALLE NO­STRE COMPETENZE SIAMO STATI INDIRIZZATI VERSO UNA MORTE CAUSATA DA SOSTANZE TOSSICHE VOLATILI DA ALCUNI ELEMENTI COME IL RIGONFIAMENTO DEL CADA­VERE, L’ODORE DOLCIASTRO CHE EMANAVA, LA PRODUZIONE DI BOL­LE DI ANIDRIDE CARBONICA CON LA SEZIONE AUTOPTICA E LA NECRO­SI EMORRAGICA POLIVISCERALE»…. «SE L’AUTOPSIA NON SI FOS­SE SVOLTA SUBITO, LA DIAGNOSI SA­REBBE STATA COMPLESSA E L’URE­TANO NON SAREBBE PIÙ STATO TRO­VATO: BEN POCHI LABORATORI AL MONDO SAREBBERO RIUSCITI A IDENTIFICARLO. UN CASO DEL GE­NERE NON E MAI STATO SEGNALATO NELLA LETTERATURA SCIENTIFI­CA». 

La storia di Elena, uccisa dal marito medico con tre iniezioni letali: voleva lasciarlo (FanPage – 9 marzo 2017)
Elena Fioroni è stata uccisa nel 2006 con tre iniezioni di benzodiazepine nella villetta di famiglia alla periferia di Padova. A iniettarle le dosi letali il marito medico, Gianluca Cappuzzo, specializzando. Non accettava che la giovane ereditiera e madre dei due suoi bambini lo lasciasse.
Voltabarozzo, periferia di Padova. Negli interni dell’elegante villetta dei Cappuzzo, all’alba di quel mattino di febbraio del 2006, proviene un fortissimo odore di etere. Tutto intorno è in ordine e in casa c’è un sinistro silenzio. La colf polacca arrivata per rigovernare la casa, nota che il bagno è chiuso, così usa una passepartout di riserva per entrare. La porta si apre su una vasca insanguinata all’interno della quale appare la terribile vista del corpo della giovane padrona di casa, semiseduto e composto.
Quando i soccorsi arrivano nella villetta, per Elena Fioroni, 31 anni, madre di due bambini, non c’è più niente da fare. Dal suo telefono sono partiti due sms di addio, uno alla madre (“Ti ho fatta molto soffrire”), uno al marito (“Pensa tu ai bambini”) dal quale si stava separando. La giovane mamma si sarebbe tolta la vita dopo un lungo periodo di depressione. Una morte assurda che scuote la città veneta dove la coppia Cappuzzo-Fioroni era conosciuta. Ereditiera (il padre le aveva lasciato 1 milione 250mila euro) era stata sposata con Gianluca Cappuzzo, 35 anni, un medico specializzando in chirurgia, figlio di un affermato primario morto due anni prima.
Gianluca, il marito che aveva lasciato la casa coniugale da un mese, accorre nella vecchia casa allertato dalla domestica. Mentre sta raggiungendo la villetta incontra una pattuglia della polizia locale, la ferma e si fa scortare sul luogo della tragedia, quasi avesse il timore di entrarvi da solo. Arriva così nella casa dove Elena ha trascorso la sua ultima notte prima di una fine atroce.
Qualcosa, però, in quella scena non quadra, lo notano subito i vigili, e infatti sarà l’autopsia a confermare che la bellissima ereditiera padovana non è morta dissanguata per i tagli ai polsi: è stata avvelenata. Tre iniezioni di benzodiazepina le hanno provocato un edema polmonare, che ne ha causato il decesso. Contestualmente, qualcuno le ha tagliato le vene simulando il suicidio.
Il movente economico Al centro dei sospetti finisce immediatamente l’ex marito 35enne, il quale dichiara che la sera prima aveva fatto visita alla moglie e ai bambini e le aveva somministrato un antidolorifico per un forte mal di schiena. Nella casa, nei sacchetti dei rifiuti, finanche nei cassonetti ispezionati minuziosamente dagli investigatori, però, non c’è traccia della siringa utilizzata dal medico. Un particolare che si aggiunge alla testimonianza di Elena Majoni, amica della vittima ed ex moglie del regista Gabriele Muccino e a quella di altre persone che segnalano comportamenti molesti da parte di quel marito che proprio non voleva la separazione. Secondo alcune persone vicine alla vittima, Cappuzzo, medico specializzando non accettava l’idea di rinunciare, con il divorzio, a una procura con cui era autorizzato a disporre del (cospicuo) patrimonio di lei. Gli inquirenti ipotizzano un movente economico che si innesta in una situazione di conflitto dovuto alla volontà di Elena di emanciparsi da un uomo possessivo, violento, che più volte l’aveva minacciata.
Le minacce. La notte del 5 gennaio 2006 – come avrebbe riferito poi l’avvocato di Elena, Federica Giardini – pochi giorni prima del delitto, l’aveva svegliata e portata fuori dicendole che la madre di lei era stata colta da un malore. Invece la portò un argine e minacciandola con la pistola, le disse che l’avrebbe ammazzata e si sarebbe ammazzato se fosse andata avanti con la separazione.
Elena però non ne poteva più di quel rapporto in cui era da sola di fronte alle difficoltà. Sola era rimasta quando, dopo la nascita della seconda figlia era sprofondata in una depressione nera ed era stato necessario un mese di ricovero alla casa di cura Parco dei Tigli per tornare a vivere; sola a casa coi bambini, con i quali il marito si mostrava freddo. Eppure con il supporto di uno psicoterapeuta era tornata felice e splendente come un tempo e voleva ricominciare senza la zavorra di quel matrimonio finito. Ma Gianluca non lo avrebbe permesso era infatti disposto a riportare la moglie a sé anche con la manipolazione: le aveva anche raccontato di avere un tumore terminale.
Il processo. Gianluca Cappuzzo è stato processato per omicidio premeditato. Gli è stato contestato di aver narcotizzato la moglie con l’etere, di averle iniettato tre dosi di benzodiazepine e di averle tagliato le vene. Nel 2011 la Cassazione ha confermato la condanna a 26 anni di reclusione comminata in sede di appello, in virtù dell’applicazione alle attenuanti generiche. Grazie all’indulto e alla buona condotta, Cappuzzo potrebbe uscire anche prima del termine della pena. Non ha mai ammesso la sua colpevolezza.


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