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Aycha El Abioui, 30 anni, mamma. Denuncia il marito per atti persecutori, maltrattamenti e minacce, poi si rivolge a un centro antiviolenza. Ma nessuno la aiuta e lei deve tornare a casa con i tre figli, così il marito la ammazza a coltellate davanti ai bambini

Cadoneghe (Padova), 24 Novembre 2020


Titoli & Articoli

Femminicidio a Cadoneghe: «Telefono, trucco e pure la doccia: lui mi vieta tutto e mi spia in casa» (Corriere della Sera – 26 novembre 2020)
Il verbale di Aycha ai carabinieri e il desiderio di libertà: «Mi manca l’aria»
Cadoneghe, stazione dei carabinieri. Ore 9.08 del 5 ottobre. Davanti al maresciallo dei carabinieri, Aycha El Abioui mette a verbale quella che sarà la sua prima e unica denuncia nei confronti di Jennati Abdelfettah, che ha sposato nel 2008 «anche se non ricordo la data precisa». Spiega che dal loro matrimonio sono nati tre figli. La più piccola ha appena 4 anni, il maggiore 9. Il suo racconto è dettagliato e, a rileggerlo ora che il marito l’ha uccisa, sembra il conto alla rovescia di un delitto annunciato.
«Il 28 settembre mi ha accusata di averlo tradito chiedendomi chi fosse la persona con la quale avevo una relazione. Il 30 settembre ho parlato con una mia amica di ciò che era accaduto due giorni prima. Dopo che è andata via ho avuto uno sfogo, parlando tra me e me ad alta voce. Il giorno successivo, quando è tornato dal lavoro, mi ha accusata: diceva che il giorno precedente qualcuno era entrato in casa. E mi ha fatto ascoltare una registrazione in cui si sente la musica di sottofondo e il mio sfogo. Suppongo abbia messo un registratore nel nostro appartamento, per potermi tenere sotto controllo…». Ne nasce un litigio, l’ennesimo. «Mi ha detto: “Ti avrei voluto infilare un coltello nella schiena mentre dormivi ma ho pensato ai nostri figli e mi è passata l’idea”». Aycha non può immaginare che, un mese e mezzo dopo, quello diventerà un piano per ucciderla.
La temecamera ordinata su Amazon. Ai carabinieri racconta che Jennati la spia costantemente. «Il 4 ottobre i miei figli mi hanno detto di aver visto il papà inserire nel lampadario, all’entrata di casa, una telecamera puntata sulla porta d’ingresso, e che ne ha ordinata un’altra su Amazon. Mi hanno fatto perfino vedere il pacco e sulla etichetta c’era scritto: telecamera».
Telefonate a vuoto Mentre raccoglie le sue parole a verbale, il carabiniere annota: «Durante la stesura della querela, sono arrivate diverse telefonate di Abdelfettah al quale lei non risponde». Per la giovane marocchina quella è la normalità: «La sua gelosia è così morbosa e ingiustificata, al punto da non rendermi libera neanche di parlare al telefono, perché (…) se non rispondo subito alle sue chiamate pensa che non lo faccia perché sono con il mio amante (…) Quotidianamente mi fa giurare fedeltà a lui (…) ho continue pressioni psicologiche… Non faccio la doccia di mattina, quando non c’è, perché pensa che io la faccia con un altro uomo: posso lavarmi solo quando mio marito è in casa. E non posso uscire truccata».
La decisione di lasciarlo. Spiega che il giorno precedente ha finalmente preso la decisione di lasciarlo: «Continua a ripetermi di averlo tradito. Quando sono presenti i nostri figli, chiede loro di andare via perché non assistano ai nostri litigi ma i bambini ascoltano tutto, sanno della situazione. Ho deciso di trasferirmi dalla mia amica portandoli con me, perché ero stanca…».
Per Jennati è inaccettabile: non la lascia in pace, vuole ricucire il rapporto. E lo fa a modo suo. «Questa mattina, mentre accompagnavo i miei figli a scuola, l’ho incontrato e mi ha chiesto di tornare a casa. Si è presentato anche all’ingresso dell’istituto dicendo che non si sarebbe più comportato in quel modo e che ora sa che non l’ho mai tradito». Mentiva, ovviamente. Ma di lì a poche settimane Aycha avrebbe ceduto alle insistenze, ritirando la denuncia e accettando di ricomporre la sua famiglia, nel piccolo appartamento di Cadoneghe. La sua condanna a morte.
«Ho deciso di abortire» Però in quel momento, davanti al maresciallo, è certa di non volerne più sapere di un uomo accecato dalla gelosia. È allora che rivela di aspettare un figlio: «Sono incinta. Ma l’ultima gravidanza è stata difficile, i medici mi dissero che avrei potuto rischiare la vita se avessi di nuovo dovuto affrontare un parto. Per questo ho deciso di abortire. E mio marito non ha preso bene la decisione: dice che la ragione per cui voglio abortire è perché il figlio non è suo».
L’aiuto dei servizi sociali. È la stessa drammatica versione che, nei giorni seguenti, la donna avrebbe raccontato ai servizi sociali di Cadoneghe (la famiglia Abdelfettah si era trasferita nel Padovano due anni fa, dopo aver vissuto in Sicilia), che già dal 2019 davano loro una mano a pagare le rette della mensa scolastica e le bollette, mentre dalla Caritas ricevevano le borse della spesa. Il mese scorso la marocchina, dopo aver denunciato il marito, ha chiesto agli assistenti sociali un alloggio per lei e i figli: è stata messa in contatto con il «Centro Donna» di Padova che l’ha inserita nelle liste d’attesa (non c’erano posti disponibili) per una casa protetta, una di quelle destinate alle vittime di maltrattamenti. Non solo: sempre grazie ai consulenti, Aycha è stata avviata al percorso che, a metà ottobre, le ha consentito di interrompere la gravidanza.
«Vivo in una situazione di terrore» Ma questo è accaduto settimane dopo. Quel 5 ottobre, invece, l’incontro con il carabiniere si chiude con uno sfogo drammatico: «Vivo una situazione di terrore – mette a verbale – ho paura che possa farmi del male (…) Non voglio più tornare insieme a mio marito perche mi sento mancare l’aria e dopo dodici anni vorrei libertà».

Cadoneghe. Omicidio Aycha El Abioui. “C’erano i segnali per emettere una misura restrittiva, ma la vittima non è stata creduta dalle autorità”. (Femminicidio Italia – 29 novembre 2020)
Aycha non è stata creduta dalle autorità. C’erano tutti i segnali per emettere una misura restrittiva nei confronti del marito“. Non usa giri di parole Mariangela Zanni, presidente del Centro Veneto Progetti Donna, nel commentare l’uxoricidio di Cadoneghe (Padova) nel giorno in cui Abdelfettah Jennati si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Aycha, dopo avere denunciato ai carabinieri il marito per maltrattamenti – ha ripreso Zanni – si è rivolta a noi. Era una donna impaurita, che voleva troncare la relazione con il compagno. Era già pronto l’iter per mettere lei e i suoi figli in un programma di protezione. Aspettavamo la misura restrittiva nei confronti del marito come chiesto dai carabinieri, ma questa non è arrivata“.
Lei era andata a casa di un’amica con i figli, ma quando ha capito che nessuno fermava il compagno e che i suoi tre bambini volevano tornare a casa, ha rimesso la querela ed è rientrata nell’abitazione di famiglia“. E infine: “Dimostrare le violenze domestiche non è mai facile, i figli dovevano essere sentiti. E poi quale gelosia, lui è solo possessivo, controllava ogni movimento di Aycha“.
Ma le dichiarazione della presidente Zanni, non trovano riscontro da quanto, già nei giorni scorsi, ha detto il procuratore capo Antonino Cappelleri: Sia i carabinieri e sia la procura hanno agito nel pieno rispetto della legge“.

Omicidio di Aycha A settembre il pm sentirà i tre figlioletti (il Mattino di Padova – 22 luglio 2021)
Via libera all’incidente probatorio: sarà un’audizione protetta Verso la chiusura delle indagini a carico del marito Jennati
L’8 settembre il pubblico ministero Marco Brusegan potrà sentire i tre figlioletti di Aycha El Abioui e Abdelfettah Jennati: ai tre orfani della madre, uccisa dal padre, reo confesso, il pm chiederà di ricordare non tanto e non solo la terribile notte dell’omicidio ma anche i giorni e le settimane precedenti per cercare conferme all’ipotesi che il delitto fosse stato premeditato, come già diversi indizi farebbero supporre.
Aycha El Abioui, 31 anni, è stata uccisa con due coltellate al petto la sera del 24 novembre 2020 dal marito Abdelfettah Jennati, 39 anni, rinchiuso nel carcere Due Palazzi. L’accusa rivolta all’uomo, al momento, è di omicidio volontario aggravato dal rapporto coniugale. Ma non si esclude la contestazione di altre aggravanti. Proprio per questo motivo il pm Brusegan ritiene indispensabile sentire anche i bambini, nel frattempo affidati ai parenti materni che vivono in Sicilia. L’interrogatorio richiesto con il meccanismo dell’incidente probatorio dal pm, è stato autorizzato dal gip Elena Lazzarin. I tre bambini verranno interrogati in una audizione protetta alla presenza di una psicologa, del gip, dello stesso pubblico ministero e dell’avvocato Fabio targa accanto all’imputato. Il verbale del racconto dei bambini potrà essere utilizzato durante il processo in Corte d’Assise, risparmiando così ai tre figli della coppia di partecipare al processo.
Ai tre bambini verrà chiesto di ricostruire quanto accaduto la sera del 24 novembre quando hanno salutato la mamma per l’ultima volta, ma potrebbero raccontare anche quanto loro detto dal padre nei giorni precedenti l’uccisione della moglie per cui aveva una gelosia ossessiva. La difesa di Jennati punta sul vizio di mente: è vero che il trentanovenne aveva fissato un appuntamento nel Centro di salute mentale, ma per il pm non basta. Dalle indagini è emerso infatti che Jennati prima del delitto, avesse fatto ricerche in internet per prenotare un traghetto per quattro possibili destinazioni, di cui due all’estero, oltre che di un negozio dove poter acquistare del veleno.

Padova, uccise la moglie «ribelle» con tre coltellate: c’è l’ergastolo (Corriere Veneto – 6 ottobre 2022)
Cadoneghe, il delitto a ottobre 2020. La sentenza contro il marocchino Abdelfettah Jennati: «Ha pianificato l’uccisione di Aycha El Abioui». Lei si era rivolta al centro antiviolenza del Comune contro le angherie del marito. Risarcimento per i figli
La corte d’Assise di Padova ha condannato all’ergastolo Abdelfettah Jennati per l’omicidio della moglie Aycha El Abioui, uccisa con tre coltellate al petto la sera del 24 ottobre del 2020. È stata accolta, quindi, la pena che il pubblico ministero Marco Brusegan aveva chiesto al termine della requisitoria dello scorso 15 settembre. Forse è questo l’inizio della fine almeno per un fatto di sangue che aveva disorientato e lasciato incredula non solo la comunità di Cadoneghe — dove i coniugi vivevano, insieme ai tre figli — ma anche l’intera città di Padova, con echi persino sul piano nazionale. Il «fine pena mai» era stato paventato dalla procura del capoluogo euganeo proprio in virtù del fatto che la condotta Abdelfettah Jennati abbia voluto colpire proprio la moglie, colpevole ai suoi occhi di aver cercato di sottrarsi alla quotidiana violenza e sopraffazione di quel rapporto, ragioni che avevano spinto la donna a rivolgersi ad un centro anti violenza comunale.
La richiesta di auto inaccettabile. Disperata, Aycha cercava solo protezione, un luogo sicuro per sé e per i suoi bambini, lontano da quell’uomo così morboso e possessivo. Per Abdelfettah, il comportamento della moglie era inaccettabile, e secondo la pubblica accusa, aveva preso già da tempo la decisione di ucciderla, anche se gli elementi a sostegno della fredda premeditazione non sono stati considerati sufficienti per assumere rilevanza in sede processuale. Un delitto brutale. Tre coltellate, precise, nette, al punto da trapassare il corpo della donna, lasciando che la lama si conficcasse nel materasso dove era distesa. Una violenza fredda, cinica, che non si è fermata nemmeno di fronte alla presenza della figlia più piccola, che dormiva in camera con i genitori e che ha assistito all’omicidio della madre.
L’autodenuncia «Ho ammazzato mia moglie, venite a prendermi», con queste parole — che Jennati ha pronunciato al telefono con i carabinieri alle 23:40, consegnandosi subito dopo il fatto — iniziò invece la ricostruzione degli inquirenti. In un primo momento, l’uomo aveva fornito dichiarazioni all’apparenza deliranti, affermando di sentire delle voci e di soffrire di problemi psichiatrici. Sul tema era intervenuto in qualità di incaricato il dottor Alessandro Saullo, dirigente medico del centro di igiene mentale di Gorizia, che con un’apposita valutazione aveva confermato la piena capacità d’intendere e di volere del quarantenne marocchino, nonostante la linea intrapresa dai suoi legali sia sempre stata orientata a dimostrarne l’infermità mentale. Avrebbe agito con piena coscienza dunque, ipotesi sorretta anche dalle informazioni raccolte durante il procedimento sulle settimane che avevano preceduto il delitto.
Jennati aveva fatto ricerche online su veleni potenzialmente letali, su tratte di traghetti che potessero condurlo all’estero e persino sulle possibili condanne penali a cui incorrono gli uxoricidi. L’uomo è ora condannato non solo all’ergastolo, bensì anche al pagamento di ingenti somme a tutte le parti civili del processo, in primo luogo ai tre figli: dovrà infatti corrispondere 300 mila euro ad ognuno di loro, 50 mila a favore di ciascun genitore della donna, 10 mila ai fratelli e 2 mila a favore del centro veneto progetto donna. «È sotto gli occhi di tutti come il periodo che stiamo vivendo sia a dir poco preoccupante per quanto riguarda le violenze contro le donne — ha commentato Aurora D’Agostino, rappresentate del centro assistenza donne di Padova costituitosi parte civile — a maggior ragione quelle senza mezzi. Se Aycha avesse potuto avere un supporto reale, economico, non sarebbe dovuta tornare in quella casa».


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