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Ana Maria Lacramioara Di Piazza, 30 anni, cameriera disoccupata, mamma, incinta. Uccisa dall’amante a coltellate e bastonate

Partinico (Palermo), 22 Novembre 2019

 

 


Titoli & Articoli

“Ma che fai? Aspetto un figlio da te!”: lui la sgozza, poi va dal barbiere (Today – 23 novembre 2019)
Ana Maria Lacramioara Di Piazza, 30 anni, è stata uccisa a Partinico dall’uomo sposato con cui aveva una relazione, un imprenditore del posto dal quale lei aspettava un figlio. L’uomo ha confessato
Emergono dettagli agghiaccianti sull’omicidio di Partinico. Ana Maria Lacramioara Di Piazza, 30 anni, è stata uccisa dall’uomo sposato con cui aveva una relazione, un imprenditore del posto dal quale lei aspettava un figlio. “Che vuoi fare? C’è il bambino. Io ti amo”: queste sarebbero state le ultime parole della donna prima di essere sgozzata, secondo i giornali locali. Come se nulla fosse accaduto il 51enne imprenditore poi è andato dal barbiere. Il cadavere della donna, barbaramente uccisa a coltellate, è stato rinvenuto ieri sera nelle campagne di Partinico non lontano dalla strada statale. L’uomo, A.B., è stato fermato e ha confessato: è stato emesso un decreto di fermo per l’uomo con le accuse di omicidio, occultamento di cadavere e procurato aborto.
E’ Riccardo Campolo a ricostruire per PalermoToday la dinamica di una tragedia che scuote la cittadina.
Omicidio Partinico, così è stata uccisa Ana Maria Lacramioara Di Piazza. La segnalazione alle forze dell’ordine è arrivata ieri pomeriggio: un cittadino ha chiamato i carabinieri raccontando di aver visto tramite le sue telecamere un uomo senza pantaloni che aggrediva una donna. Lì sarà ritrovato il coltello. Poi nelle campagne tra Alcamo e Balestrate un altro testimone avrebbe visto una ragazza mentre cercava di scappare da un furgone e veniva inseguita da un uomo. Il fatto che il testimone fosse riuscito ad annotare parte della targa e delle scritte presenti sul mezzo ha agevolato le indagini dei carabinieri. Il corpo senza vita di  Ana Maria Lacramioara Di Piazza è stato trovato poco più tardi in un terreno lungo la strada statale 113, avvolto in alcune coperte e nascosto tra le sterpaglie.
Antonino Borgia arrestato per l’omicidio dell’amante. I carabinieri di Partinico, coordinati dalla Procura di Palermo, sono riusciti a risalire al furgone bianco che si trovava parcheggiato nel piazzale dell‘impresa di famiglia, formalmente intestata alla moglie, che opera nel settore della progettazione e realizzazione di piscine. Accanto c’era un’idropulitrice utilizzata per lavare il mezzo ed eliminare le tracce di sangue. Sulla scorta di questi elementi sono state avviate le ricerche dell’imprenditore che dopo l’omicidio, come ricostruito dagli investigatori, aveva continuato la sua giornata come se nulla fosse mai accaduto: si era fatto un giro per Partinico, era passato in Questura per alcune pratiche burocratiche e poi era andato dal barbiere.
L’imprenditore, sposato e padre di una bambina, ha confessato. 
Avrebbe ucciso Ana Maria infilzandola con un coltello proprio allo stomaco, per poi colpirla più volte con un bastone di legno. Alla fine le avrebbe inferto una ferita mortale al collo. E’ possibile – scrive PalermoToday –  che Ana Maria si fosse stancata di quella relazione ancora clandestina, soprattutto alla luce dell’arrivo del bambino.  La Procura ha disposto il fermo e la misura cautelare del carcere, con le accuse di omicidio, occultamento di cadavere e procurato aborto con le aggravanti della crudeltà e dei motivi abietti e futili.

 

 

“Perché non ci hai detto niente?” Rabbia e lacrime per la fine di Ana (Live Sicilia – 23 novembre 2019)
Sorella mia, non volevo crederci, invece è tutta realtà. Tu, sorella, amica, confidente, compagna di mille avventure insieme, dimmi come hai potuto permettere tutto questo, come hai potuto ti facessero del male?”. Chi conosceva Ana Maria Lacramioara Di Piazza, la trentenne originaria della Romania uccisa dall’uomo con cui aveva una relazione da circa un anno, cerca delle risposte e condivide il proprio dolore sui social, ma soprattutto si chiede il perché del suo silenzio: “Perché non mi dicevi cosa stavi passando realmente? Ti avrei capita e aiutata. Perché non hai fatto niente? Chi ti ha fatto tutto questo deve pagare. Ti voglio un mondo di bene, angelo mio, non ti dimenticherò mai. Sarai sempre nel mio cuore”, si legge accanto ad una foto delle due amiche abbracciate e sorridenti…

 

“Mi ami? Butta quel coltello”: Ana Maria uccisa con 10 fendenti, aspettava un maschietto (Palermo Today – 26 novembre 2019)
Al momento del brutale omicidio la trentenne era incinta, la conferma arriva dall’autopsia. Secondo alcune amiche la vittima aveva chiesto soldi proprio per portare avanti quella che sembrava una gravidanza difficile. Resta in carcere il reo confesso Antonino Borgia
Ana Maria è stata uccisa con dieci coltellate, fatale l’ultimo colpo alla gola. E’ questo l’esito dell’autopsia eseguita ieri all’Istituto di medicina legale del Policlinico che si è concluso con un’atroce conferma: la trentenne uccisa dal suo amante, il reo confesso Antonino Borgia (51 anni), era incinta e aveva raggiunto il terzo mese di gravidanza. Sempre ieri il gip del tribunale di Palermo non ha convalidato il fermo ma ha disposto per l’imprenditore la custodia cautelare in carcere.
La tragedia che ha scosso le comunità di Giardinello e Partinico ma anche il resto d’Italia si è consumata a due giorni dalla Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Un delitto brutale risolto dai carabinieri e dalla Procura in meno di 24 ore. La prima segnalazione sul caso è arrivata la mattina di venerdì, quando qualcuno ha telefonato al 112 sostenendo di aver visto una ragazza sanguinante mentre fuggiva a piedi, sulla provinciale 17 tra Alcamo e Balestrate. Dietro di lei c’era qualcuno che la inseguiva e che poi l’avrebbe fatta salire di forza su un furgone. Dopo il primo campanello d’allarme gli investigatori si sono messi sulle tracce di un furgone bianco che riportava alcune scritte pubblicitarie di colore verde sul fianco. Quando ormai il cerchio si stava stringendo è arrivata un’ulteriore segnalazione, decisiva per incastrare l’assassino. Un uomo ha riferito ai carabinieri di aver visto un’aggressione attraverso le telecamere di videosorveglianza: le immagini mostravano un uomo, in mutande, che bloccava con la forza una ragazza intenta a scappare per riportarla dentro casa. Agghiaccianti le ultime parole della ragazza: “Devo morire? Dimmelo. Tu buttalo allora. Mi ami? Allora butta quel coltello”. Prima di visionare le immagini i carabinieri erano però già risaliti alla ditta intestata alla moglie di Borgia, la Blumar Piscine. Nel piazzale esterno c’era un Renault Master di colore bianco. Vicino al furgone c’era un’idropulitrice utilizzata per lavare gli interni (tanto che la tappezzeria era completamente bagnata) dove sono comunque state rinvenute tracce di sangue. Dopo il sequestro del mezzo Borgia, ormai raggiunto dagli investigatori, ha deciso di indicare dove si trovasse il corpo di Ana Maria e raccontare quanto accaduto. Il sopralluogo ha permesso di trovare il cadavere della ragazza, avvolto in un coperta blu e legato, nascosto sotto le sterpaglie.
“Ma che fai? Aspetto un bimbo da te” Davanti al pm Borgia ha raccontato com’è nata la loro conoscenza, sostenendo di aver ricevuto da Ana Maria una richiesta di denaro per non raccontare il loro segreto alla moglie del 51enne. Superato il capitolo del presunto movente, l’uomo ha spiegato di averla colpita all’addome con un primo coltello (poi rivenuto grazie alle immagine delle telecamere di videosorveglianza): “Con il secondo coltello l’ho colpita ripetutamente, ovunque, da tutte le parti, ovunque si girava”. In quella sede il reo confesso ha respinto l’ipotesi secondo cui l’amante sarebbe stata incinta. E invece, come confermato dall’autopsia, era tutto vero. Aspettava un maschietto ed era al terzo mese di gestazione. Secondo quanto riferito da alcune amiche le richieste di denaro sarebbero effettivamente state avanzate ma non per ricattare Borgia, bensì per portare avanti una gravidanza che le era apparsa difficile. Ieri Partinico si è fermata per ricordare la giovane vittima dietro striscioni che riportavano slogan “Stop alla violenza”, “La solidarietà crea comunità”. Poi la lettura di una lettera in piazza: “Sei bella come un fiore raccolto in fretta”.

 

Tutto il paese ai funerali di Ana Maria vittima del femminicidio di Partinico (Nuovo Sud – 27 novembre 2019)
Tutto il piccolo centro di Giardinello (Pa) si è stretto attorno alla famiglia di Ana Maria Di Piazza, la trentenne uccisa sabato scorso a Partinico dal suo amante con dieci coltellate, in occasione dei funerali che si sono svolti nella Chiesa Madre. La donna era al terzo mese di gravidanza. La messa è stata celebrata dal parroco don Claudio Gulino. “Di fronte e vicende così terribili – ha detto il sacerdote – il silenzio sarebbe più eloquente, ma è un fatto troppo grave e c’è troppa violenza, e le morti di Ana e del suo bambino meritano rispetto. Quello che è successo ci fa riflettere sul fatto che viviamo in una società che non sa più distinguere cosa è bene e cosa è il male. Anche noi credenti ci siamo assuefatti al pensare e al vivere in una società che ha smarrito il senso dei valori e umani che devono essere, invece, alla base della nostra esistenza. Ci stringiamo attorno alla famiglia di Ana, in questo momento di preghiera la affidiamo al Signore”. Il feretro ha lasciato la chiesa tra gli applausi. “Il fatto che ciò sia successo alla ragazza della porta accanto, deve farci riflettere – ha commentato il sindaco Antonio De Luca – Bisogna urlare ogni giorno il ‘no’ contro la violenza, 365 giorni all’anno. Ma soprattutto bisogna sensibilizzare la società, oggi più che mai”.

 

Tutte le volte che è morta Ana Maria (ParmAteneo – 10 dicembre 2019)
Ana Maria Di Piazza, 31 anni, arrivava dalla Romania ed era cresciuta in Italia con una famiglia che l’aveva accolta, lavorava e aveva un figlio di 11 anni. Nel suo grembo portava un’altra vita, generata insieme all’uomo con cui da tempo aveva una relazione segreta. Omicidio, occultamento di cadavere, procurato aborto. Non è bastato l’elenco dei reati commessi da Antonio Borgia – 51 anni imprenditore edilizio – lo scorso 22 novembre a Partinico, nella sperduta campagna siciliana. Coltellate al ventre, percosse. Non è bastata l’efferatezza del gesto di tagliarle la gola. Non è bastato neppure perdere la vita. Antonio l’ha aggredita, l’ha uccisa e poi è andato dal barbiere. “Zoccola”, “Se l’è cercata”, “Ma pure lei…”
La tragedia si è consumata in fretta, come anche le indagini dei Carabinieri. Dopo aver raccolto le testimonianze di chi,  nelle campagne di Balestrate, si era accorto  di una donna che gridava e di un uomo che la rincorreva, è stato trovato un coltello. Poco più in là, il corpo di Ana Maria avvolto tra coperte. Nel giro di 24 ore le parole del reo confesso erano trascritte in un verbale. Antonio, incapace di domare la rabbia, ha ammazzato la giovane donna perché aveva minacciato di dire tutto a sua moglie.

Ma il giorno dopo il suo assassinio, Ana Maria è morta di nuovo. Le sue carnefici stavolta sono altre donne, altre mamme: l’eco della sua morte barbara, nel disgraziato tribunale dei social, è durato il tempo di un clic. Quando i giornali hanno pubblicato le parole di un’altra protagonista della vicenda, Maria Cagnina, moglie di Antonio, la virata del sentiment era compiuta: imperturbabile, la donna ha dichiarato che sarebbe rimasta accanto all’uomo buono che aveva per marito e al padre dei suoi figli.  “Antonio aveva troppa paura che il mio amore, la dedizione e la fiducia per lui venissero a mancare – ha dichiarato ai microfoni del programma Quarto grado – Mi amava. La paura più grande era di perdere me e la sua famiglia. È una situazione che è sfuggita di mano”. Immediatamente, un’orda al femminile esprime tutta la solidarietà per Maria: il marito degli altri non si guarda e sul petto della trentunenne prende forma, come lettera scarlatta, la ‘T’ di troia.
Ma a cosa è dovuta tutta questa aggressività femminile? Nella cultura occidentale esiste una questione dell’aggressività femminile che non riguarda solo alcune, ma un modo di essere di tutte le donne, radicato nell’inconscio collettivo. L’istinto all’aggressione serviva alla donna per difendersi e difendere il proprio spazio. Secondo la psicoterapista Marina Valcarenghi, si è creata nel tempo una omissione culturale tra violenza e autodifesa, rimossa dalla ‘mutazione degli istinti’ imposta dall’evoluzione della società che ha costruito lo stereotipo del femminile comunemente inteso come aggraziato. Quando poi si è ottenuta l’emancipazione nel secolo scorso, quell’aggressività è potuta tornare a galla e viene utilizzata adesso per delimitare il confine della propria identità. Per poter dire “Io non sono come loro”. In altre parole, odiamo altre donne perché odiamo noi stesse e le giudichiamo con gli stessi strumenti con cui mettiamo in croce noi per prime. Anziché aiutarci a elaborare le nostre emozioni, poi, la società in cui viviamo semplifica solamente i canali attraverso cui sfogare tutta la collera, proponendo spettacoli rozzi e agghiaccianti come il lungo elenco dei commenti rivolti a una madre nella tomba.  La violenza genera altra violenza. Ma c’è ancora qualcosa di più beffardo e sottile, quasi impossibile da comprendere quando sono le donne a odiare altre donne. E no, non è solo un problema di ignoranza messa in luce dall’uso dei social. L’arretratezza culturale certo è humus per l’odio, ma si riverbera anche in contesti di livello. Key Ivey è la governatrice dell’Alabama e ha firmato una legge che impedisce alle donne di interrompere la gravidanza, anche nei casi di stupro e incesto, e punisce i medici che praticano l’aborto con 99 anni di carcere. Lo scorso marzo la Corte di Appello di Ancona ha assolto due uomini accusati di stupro: nella sentenza c’era scritto che la vittima aveva un aspetto mascolino e che difficilmente questo l’avrebbe resa attraente. I giudici di Corte erano tutte donne.
Il maschilismo, dunque, ci appartiene più di quanto ogni adesione femminista possa confutare. La convinzione di essere soggette all’uomo, insomma, sembra essere dentro di noi a prescindere da ogni lotta culturale. In virtù di questo allora diventa ancora più doveroso combattere. A proposito: i fatti di Partinico, infelicemente coincidono con i giorni dedicati alle manifestazioni contro la violenza sulle donne. Tra gli alleati in questa battaglia culturale però, non figurano tutte insieme e unite le donne. Con queste premesse, ridurre la piaga della violenza sarà ancora più difficile.  di Sofia D’Arrigo

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Ana, uccisa col bimbo dal suo uomo. La madre: “niente sconti di pena” (la Repubblica – 22 ottobre 2020)
Ipotizzare che all’assassino di mia figlia possa essere concesso il rito abbreviato e quindi lo sconto di pena di un terzo è come uccidere Ana una seconda volta». A parlare è Anna Maria Di Piazza, la mamma di Ana Lacramioara Di Piazza. È passato quasi un anno da quando la donna e il bambino che portava in grembo sono stati uccisi con dieci coltellate. A sferrarle è stato l’uomo che diceva a Ana di amarla e che invece l’ha seppellita sotto i rifiuti di una discarica a Partinico dopo averla massacrata. Antonio Borgia, 52 anni, è rinchiuso dal 23 novembre scorso in carcere, al Pagliarelli. Ana, invece, di anni ne aveva compiuti 30, era nata in Romania ma era stata adottata da una coppia di Giardinello.
Il processo è iniziato quattro giorni fa davanti alla corte d’Assise e già è stato rinviato di quasi un mese senza di fatto prendere il via. Perché? Perché l’avvocato che difende l’assassino reo confesso, Salvo Bonnì, ha chiesto il rito abbreviato per Antonio Borgia. Ovviamente si è attenuto a quanto il codice gli permette. Ma la sua richiesta, pur se legittima, ha sconvolto la mamma della vittima. Il rito abbreviato non è ammesso per i reati che prevedono l’ergastolo. E quello di Ana e del suo bambino è stato un duplice omicidio per il quale sono state contestate dall’accusa anche tre aggravanti: crudeltà, futili motivi e premeditazione.
L’avvocato, che si è visto rigettare la sua richiesta, ha subito presentato un’altra istanza chiedendo alla Corte di sollevare una questione di legittimità costituzionale contro la norma oppure per riqualificare il fatto eliminando le aggravanti e così accedere all’abbreviato. Mosse processuali che di fatto allungano i tempi del dibattimento. A chiedere il giudizio immediato erano state, nell’estate appena trascorsa, la procuratrice aggiunta Annamaria Picozzi e la sostituta procuratrice Chiara Capoluongo. Il legale ha anche sollevato alcune eccezioni di nullità, come il fatto che il giudice avrebbe dovuto fissare un’udienza per disporre un’istanza di rigetto alla sua richiesta.
Tutte questioni che riguardano la vita di un processo dentro le aule di giustizia e che occuperanno per intero la prossima udienza, fissata l’11 novembre. Ma poi ci sono le vite fuori dai tribunali. Come quella della mamma di Ana, assistita dagli avvocati Angelo Coppolino e Antonio Scianna, che in tribunale quattro giorni fa è arrivata per chiedere giustizia e è rimasta in silenzio seduta su un banco. Lei che adesso fa da mamma al nipotino di 12 anni: il primo figlio di Ana. La signora si è costituita parte civile, stessa decisione presa dal fratello di Ana che abita in Romania. Sulla costituzione di parte civile delle associazioni antiviolenza “Insieme a Marianna” e ” Don’t worry”, il difensore di Borgia ha sollevato una carenza di legittimazione.
In aula, invece, non è arrivato Antonio Borgia e nemmeno la moglie Maria. «Siamo stati costretti a chiudere la nostra azienda perché da quasi un anno non si lavora più. Purtroppo — si sfoga la donna — siamo la famiglia dell’assassino e siamo considerati alla sua stessa stregua di lui. A pagare adesso siamo noi. Ciò che ha fatto ci ha sconvolto e viviamo ancora tutti nell’incredulità. Ma la verità è che per i miei figli lui rimane sempre il padre, del quale hanno buoni ricordi».


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