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Jennifer, 5 anni. Accoltellata dal padre

Villapiana (Cosenza), 15 Dicembre 2007


Titoli & Articoli

AgoràAltoionio

 

Accoltella moglie e figlia. E lascia una bambola sul letto della piccola (il Giornale – 16 dicembre 2007)
Cosenza, la disoccupazione diventa follia omicida Ammazza i familiari e poi tenta il suicidio. La bimba, quattro anni, trucidata con colpi chirurgici.
Accanto al corpo della figlia, quattro anni cancellati con cinque coltellate, ha sistemato un barattolo di matite colorate, un quaderno e alcune bambole. Si può uccidere cercando di non distruggere il nido familiare, le abitudini di chi lo abitava, persino gli hobby di chi riempiva quella casa
.
Si può uccidere chi ha condiviso una vita, una moglie giovane e carina – come documentano le foto diffuse dalle agenzie – e uno scricciolo tutta allegria, ma si può farlo in punta di piedi. Con la speranza, allucinata, di non scompaginare quel nido.
Gianluca De Marco l’ha fatto: ieri mattina all’alba in una villetta di Villapiana Lido, in provincia di Cosenza. Quindici coltellate, dieci per Marilena Agrelli, le altre per Jennifer, che dormiva nel letto matrimoniale a fianco della madre. Un massacro, compiuto nel luogo più rassicurante per un bambino, il lettone, però nel pettine degli investigatori resta impigliato un dettaglio che impressiona più di quell’orrore: «L’uomo ha assestato colpi precisi ma non violenti». Ha centrato gli organi vitali con una mira quasi chirurgica. Ha limitato, per quanto possa apparire incredibile, la violenza di quell’azione insensata e bestiale, infine ha ricomposto il set domestico, collocando al posto giusto quei frammenti ormai inservibili di vita domestica, le matite e le bambole.
Lampi di pietà, infilati nel contenitore della follia. Gianluca De Marco non è un serial killer professionista che cerca di sviare da sé i sospetti. Tutt’altro, ha cercato di completare l’opera, facendola finita: ha ingerito un cocktail di farmaci e si è tagliato i polsi, sempre con lo stesso coltello da cucina usato per lo scempio. Ma l’istinto di conservazione ha avuto la meglio: ha vomitato i veleni, le ferite erano troppo superficiali. Allora ha riposto la lama sul comodino, come fosse un libro e ha chiamato i carabinieri, avvolgendo di premure la distruzione della propria famiglia: ha raccomandato loro di non lasciare scoperti i corpi della moglie e della figlia per non esporli al freddo. Certo, molti delitti consumati fra le mura domestiche paiono ancora più atroci, perché il sangue e la furia sembrano talvolta mescolarsi a forme quasi incomprensibili di rispetto e di affettuosità; persino a Cogne, Samuele, aggredito da una mano cieca di rabbia, fu infine ricoperto con il piumone. Ma qui, l’assassino sembra aver agito, paradosso insondabile, con tutta la delicatezza di cui era capace.
Il resto è la colonna sonora sempre uguale e sempre diversa di queste storie tinte di nero: l’incredulità dei vicini che credevano di fare i conti con una famiglia normale; lo sgomento del sindaco di un paesino tranquillo; le lacrime dei parenti e lo struggimento corale per Jennifer, «bambina bellissima, molto vispa e intelligente», costretta a sloggiare dal mondo nell’età in cui si bussa al mondo con la manina curiosa.
Difficile dire cosa abbia mandato in cortocircuito la testa dell’uomo. Da adolescente aveva subito un brutto incidente e aveva battuto malamente la testa, ma il dramma era rientrato. De Marco si era sposato e aveva cominciato a lavorare come carpentiere; la scorsa estate però era arrivato l’incidente numero due e, trauma numero tre, si era trovato senza lavoro. Nelle ultime settimane la sua vita sembrava sospesa sullo sgabello della precarietà e quel nido sempre più a rischio.
Venerdì sera, Marilena aveva chiesto alla mamma di non lasciarla sola col marito: temeva quel che è accaduto. «Avevo difficoltà di lavoro», è tutto quello che lo stranito protagonista ha farfugliato ai militari che lo accompagnavano al carcere di Castrovillari. Una didascalia che non dice. Il mistero di quella follia resta sigillato nella mente di De Marco. Lui, se solo avesse potuto, avrebbe chiesto scusa alla moglie e alla figlia.

Villapiana. Tragedia familiare. I funerali (Agorà Altoionio – 19 dicembre 2007)
Occhi rigonfi e asciutti di chi non ha più lacrime da versare, mani che si cercano nella folla, stretti abbracci, gemiti. Davanti al Purissimo Cuore della Beata Vergine Maria una folla silenziosa e composta attende ai margini della piazzetta l’arrivo del corteo funebre partito dall’obitorio dell’ospedale cittadino. In tanti hanno già occupato anche gli scanni all’interno della chiesa, pure questi attendono in silenzio. Il momento di riflessione li accomuna tutti. Si cerca conforto nella preghiera o nella memoria ancora fresca di chi conosceva Maddalena Agrelli, Marilena come la chiamavano tutti, e la piccola Jennifer. Ricordi che sanno di freschezza, di sorriso, di candore. Un applauso all’esterno ci desta da pensieri assorti; i feretri sono arrivati. Adesso la folla è triplicata. Il corteo è stato anticipato da due ali di giovani che porgono mazzi di fiori bianchi. Ci sono i gonfaloni delle cittadine di Villapiana e Trebisacce, subito dietro i primi cittadini, Luigi Bria e Mariano Bianchi. I due sindaci, al fine di consentire alle popolazioni di partecipare alle tristissime esequie, avevano indetto il lutto cittadino. In veste private c’è anche l’on. Franco Pacenza, trebisaccese di adozione. Adesso una folla immensa riempie l’ampio piazzale ed abbraccia le due bare portate a spalla. Tanta è la gente del luogo; molti arrivano da San Lorenzo Bellizzi, il centro del Pollino da cui proviene la famiglia Agrelli. Poi il popolo di Villapiana, gli amici di Maddalena e della piccola Jenny. Villapiana è il paese dove risiedevano e dove hanno trovato la morte mamma Maddalena e la dolce Jenny.
Villapiana è il paese del marito Gianluca, il giovane carpentiere autore, nella notte tra sabato e domenica scorsa, del drammatico inspiegabile duplice omicidio. Da Villapiana, oltre al sindaco, che ci riferisce di un paese sbigottito e addolorato, si riconoscono gli assessori Lo Giudice, Falbo ed Elia; c’è Brunetti, il comandante dei vigili urbani, c’è don Franco Brunetti, il parroco di Villapiana Lido. Non si vedono invece i parenti di Gianluca.
I familiari delle vittime avevano chiesto ai De Marco di non presenziare durante la celebrazione del rito funebre: è ancora presto per avviare il percorso del perdono. Così, mentre gli Agrelli piangono la scomparsa di Maddalena e Jenny, confortati dai tanti che affollano la chiesa, i De Marco, ad una manciata di chilometri da qui, sfogano il loro dolore nel silenzio della solitudine, come se non bastasse l’onta che li divora. E parole di perdono sono quelle annunciate nell’omelia dal vescovo di Cassano, mons. Vincenzo Bertolone, venuto qui a Trebisacce ad officiare il triste rito al fianco di don Pierino De Salvo: “Perdono non significa resa, ma forza della Fede… tutti noi facciamo degli sbagli, ma se chiediamo perdono per i nostri sbagli allora dobbiamo essere capaci anche di dispensare il nostro perdono a chi sbaglia”. La Santa messa volge al termine. Come spicca adesso tra la gente quella piccola bara bianca; in spalla discende lungo la scalinata della chiesa subito dietro il feretro della mamma. Il lungo applauso viene coperto da alcuni botti esplosi a festa; è come se richiamassero l’attenzione del buon Dio affinché si prenda cura della piccola Jenny, fiore reciso, e della sua mamma Maddalena. 


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