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Vitangelo Bini, 78 anni, vigile urbano in pensione, padre. Entra armato nell’ospedale dove è ricoverata la moglie e le spara tre colpi. Graziato dal Presidente della Repubblica

Prato, 1 Dicembre 2007


Titoli & Articoli

Uccise in ospedale moglie malata, condanna a 6 anni e mezzo (Gazzetta del Mezzogiorno – 3 marzo 2016)
Ex vigile 86enne sparò in corsia, non voleva soffrisse più
La Corte d’assise di Firenze ha condannato, stamani, Vitangelo Bini, 86 anni, a 6 anni e 6 mesi per l’omicidio volontario aggravato della moglie, Mara Tani, all’epoca del fatto 82enne e gravemente malata di Alzheimer da 12 anni.
L’uomo non voleva vederla soffrire più. Le sparò in una corsia dell’ospedale di Prato il primo dicembre 2007. Bini, per 35 anni vigile urbano a Firenze, usò una pistola della sua collezione di armi. Esplose tre colpi – ma come è stato ricostruito nel processo -, il terzo sparo non era previsto per la moglie, ma per se’ stesso per suicidarsi. Però, siccome dopo i primi due colpi, il corpo della donna ebbe un sussulto, Bini credette di non averla uccisa e le sparò una terza volta. Quindi si mise a sedere e digitò il numero del 113 dal suo cellulare per autodenunciarsi alla polizia. Nel frattempo nel reparto accorsero i sanitari e anche una guardia giurata dell’ospedale, e Bini fu bloccato.

Uccise la moglie malata terminale, nessuno sconto: a 88 anni andrà in carcere (La Nazione – 7 giugno 2018)
Nessuno sconto per Vitangelo Bini. Per l’ex vigile urbano in pensione, che nel dicembre del 2007 sparò alla moglie, Mara Tani, 82 anni, malata terminale di Alzheimer, si aprono le porte del carcere. La Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal legale di Bini, l’avvocato Lapo Bechelli, confermando così la condanna a sei anni e sei mesi della Corte di Assise di Appello di Firenze per omicidio volontario aggravato dal rapporto di parentela.
Adesso che la sentenza è definitiva, Bini, nonostante l’età avanzata (88 anni compiuti a inizio maggio), dovrà scontare il residuo di pena che gli spetta (tolti i dieci mesi agli arresti domiciliari e i quattro in cella fatti dopo l’omicidio) in carcere: la sentenza è esecutiva da ieri pomeriggio. «La pena può essere scontata ai domiciliari dagli ultrasettantenni solo per alcuni reati ma non per quelli più gravi come l’omicidio – spiega l’avvocato – Eravamo consapevoli che sarebbe andata a finire così e avevamo già preparato l’istanza per il differimento pena per motivi di salute, per lo meno nella forma degli arresti domiciliari».
«Bisogna evitare che vada in carcere – conclude Bechelli – Faremo domanda anche per ottenere la grazia dal presidente della Repubblica». Durante il processo di primo grado e quello in Appello, l’avvocato Bechelli aveva insistito chiedendo la riduzione della pena e l’attenuante dell’aver agito «per motivi di particolare valore morale o sociale».
L’ANZIANO OMICIDA: “NON SOPPORTAVO DI VEDERLA SOFFRIRE”
«Bini non uccise per egoismo ma per altruismo», aveva spiegato il suo difensore. Lui che per anni si era preso cura della moglie malata, non sopportava più di vederla soffrire in quel modo, ridotta come un vegetale. Voleva alleviare quel dolore diventato insopportabile per tutti. E’ stato un processo molto attuale nel quale, di fronte ai giudici, sono stati trattati di temi molto dibattuti come quello dell’eutanasia. Bini – che abita a Prato e fino a oggi è rimasto a piede libero –, ha sempre affrontato la situazione con estrema lucidità fin da quando, il primo dicembre 2007, prese la pistola, la nascose in un borsone per dirigersi all’ospedale di Prato dove la moglie era ricoverata. Aspettò di restare solo nella stanza della donna, afferrò la pistola e le mise un cuscino sul petto. Poi sparò tre colpi. In silenzio attese l’arrivo della polizia che lo arrestò. A undici anni di distanza il calvario di Vitangelo Bini non è finito: il rischio di finire in carcere è realtà.

Uccise la moglie ma non andrà in carcere (il Tirreno – 15 giugno 2018)
Non sarà incarcerato Vitangelo Bini, l’uomo di 88 anni condannato nei giorni scorsi a 6 anni e 6 mesi di reclusione per l’omicidio volontario della moglie Maria Tani. La decisione è stata presa dalla procura di Prato, che ha sospeso l’esecuzione della pena per gravi motivi di salute. Sarà il tribunale di sorveglianza a decidere se la detenzione in carcere è più o meno compatibile con le condizioni dell’uomo. La richiesta di sospendere la pena o mutarla in detenzione domiciliare era stata presentata alla procura dal legale di Bini dopo la condanna definitiva in Cassazione.
Vitangelo Bini il primo dicembre 2007 uccise con tre colpi di pistola la moglie, Mara Tani, 82 anni, malata di Alzheimer, ricoverata all’ex ospedale Misericordia e Dolce. Bini, per 35 anni vigile urbano a Firenze, usò una pistola della sua collezione di armi. Esplose tre colpi – ma come è stato ricostruito nel processo – il terzo sparo non era previsto per la moglie, ma per sé stesso per suicidarsi. Però, siccome dopo i primi due colpi il corpo della donna ebbe un sussulto, Bini credette di non averla uccisa e le sparò una terza volta. Quindi si mise a sedere e digitò il numero del 113 dal suo cellulare per autodenunciarsi alla polizia. Nel frattempo nel reparto accorsero i sanitari e anche una guardia giurata dell’ospedale, e Bini fu bloccato. Un gesto estremo di pietà da parte dell’uomo, è stata a lungo la tesi della difesa, che però secondo i giudici non bastava a giustificare la volontarietà del gesto.

Uccise la moglie, graziato da Mattarella: “Rifarei tutto solo per il bene della mia Mara” (la Nazione – 15 febbraio 2019)
Vitangelo Bini (89 anni) ex vigile urbano sparò alla moglie all’interno dell’ospedale di Prato, per non vederla più soffrire
 «La notizia è bella ma sono comunque triste». Vitangelo Bini, 89 anni, ha saputo di aver ottenuto la grazia dal presidente Mattarella ieri mattina dai giornali, insieme a un sacchettino di frittelle di riso che la figlia Angela gli ha portato per «festeggiare». Un calvario cominciato 23 anni fa con la malattia della moglie, Mara Tani, e finito giovedì sera quando ha cominciato a circolare la notizia della grazia concessa da Mattarella all’anziano condannato in via definitiva a sei anni e sei mesi per omicidio volontario avvenuto il primo dicembre 2007.
Bini, vigile urbano in pensione, è ancora confuso, chiuso nel suo appartamento a Prato da dove non esce quasi più. Non riesce a capacitarsi che l’incubo sia finito anche se «la pena se la porterà dietro per sempre», ha detto. Non gioisce per rispetto. Rispetto di Mara. «Ringrazio il presidente della Repubblica», ha detto Bini, nonostante il carattere schivo e la poca voglia di parlare. Poi ammette: «Rifarei quello che ho fatto, ma per lei. Per non vederla soffrire». Bini ha ucciso la moglie malata terminale di Alzheimer quando era ricoverata in ospedale a Prato. Il pensionato prese una pistola e le sparò tre colpi coprendole il volto con un cuscino per «non bruciarle il viso con lo sparo».
«Ho ricevuto tantissime telefonate da amici, conoscenti e parenti – dice la figlia di Bini, Angela –. In tanti vogliono bene al babbo. Oggi piangiamo tutti». Anche Angela si lascia andare alle lacrime. Questa volta di gioia: «Sono felicissima, ringrazio tutti. Ci sono tante persone che hanno capito la situazione con umanità infinita». Durante il processo a Bini sono stati trattati temi di forte attualità, come quello dell’eutanasia. Ma i giudici non hanno riconosciuto attenuanti per «chi uccide un malato grave e senza speranza». «Casi come il nostro dovrebbero far riflettere – riflette Angela –. Si dovrebbe poter scegliere liberamente come terminare la propria vita. C’è una dignità nella morte».


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