Vincenzo De Simone, 39 anni, portiere, padre. Uccide la moglie a colpi di pistola. Condannato a 12 anni poi ridotti a 11
Palermo, 6 Novembre 2007
Titoli & Articoli
‘Mia moglie mi tradisce’, e la uccide (La Repubblica, 6 novembre 2007)
Il sospetto di un tradimento, o qualcosa di più. Un sospetto o una terribile certezza finita in tragedia, con due colpi di pistola alla moglie e il tentativo di uccidere anche il cognato, forse suo amante. Vincenzo De Simone, portiere dello stabile di via Emerico Amari 32, rischia adesso una condanna non inferiore ai 21 anni di carcere per avere ucciso la moglie, Teresa Lipari, 32 anni, freddata con due colpi di pistola al petto e all’ addome.
Ancora un delitto passionale a Palermo, in pieno centro della città. De Simone, 39 anni, da 15 in servizio come portiere nello stabile di via Amari, al culmine dell’ ennesima lite ha aperto il fuoco contro la madre dei suoi tre figli, di 2, 4 e 14 anni, ieri mattina intorno a mezzogiorno. Proprio nell’ ammezzato datogli in dotazione come portiere dove viveva assieme alla sua famiglia.
Per uccidere Teresa, De Simone ha utilizzato una delle tante pistole detenute regolarmente per uso sportivo, una Beretta semiautomatica calibro 7,65 modello 82, con la quale si esercitava al poligono. Dopo aver sparato, in profondo stato di shock, De Simone ha subito abbandonato il palazzo, lasciando la moglie senza vita e in una pozza di sangue, all’ ingresso dell’ appartamento.
Il portiere uxoricida, ancora armato della Beretta, ha raggiunto il quartiere San Lorenzo in cerca del cognato traditore. è andato dritto in un negozio gestito dai parenti del marito della sorella, urlando e inveendo parole senza senso, ma con il colpo ancora in canna. Circondato e bloccato, De Simone è stato disarmato e consegnato alla polizia di San Lorenzo. Interrogato, ha subito confessato: «Ho fatto una fesseria». Adesso si trova rinchiuso nel carcere dell’ Ucciardone.
Davanti il portone d’ ingresso, sulle scale e nell’ androne del palazzo di via Amari, di fianco al bar Bristol, è un continuo viavai di poliziotti, agenti della Scientifica, inquilini. Molte delle persone che vivono ai piani alti del civico 32, uffici e appartamenti di privati dislocati su sette piani, sono sbalordite da tutta quella gente in divisa. Lo sono ancor di più quando scoprono il motivo della loro presenza. «De Simone è impazzito, ha ucciso la moglie», «Chi, il portiere?» sono le domande e le risposte, sempre le stesse, che si ripetono per tutta la giornata. Seduta su una sedia, in preda allo sconforto e con la faccia fra le mani, a pochissimi metri da dove è stato trovato il corpo di Teresa Lipari, c’ è la sorella di Vincenzo. Qualcuno degli abitanti del palazzo si commuove, anche, per quella tragedia consumatasi a due passi da casa loro. Perché Vincenzo e Teresa erano lì, a smistare il traffico in entrata e uscita, da ormai 15 anni.
«Lei era arrivata qui che aveva il pancione», ricorda un uomo che abita nel palazzo. Dalla porta d’ ingresso, lasciata socchiusa mentre gli agenti della Scientifica raccolgono le impronte ed effettuano i rilievi, si intravede la foto di un bimbo vestito da Babbo Natale. E ancora un «acchiappasogni», un oggetto ornamentale appeso a una parete, tappeti, un divano. Quando in De Simone ha prevalso la gelosia sulla ragione e ha sparato, la coppia era sola in casa. I bimbi erano a scuola.
Tutti ricordano la famiglia De Simone come tranquilla. Vincenzo, in particolare, nato e cresciuto al Borgo Vecchio, è conosciuto come una persona modesta, attaccata al proprio lavoro, dalla costituzione esile e incapace di fare male a una mosca. Nessuno mai si sarebbe aspettato una tragedia del genere. Eppure da luglio, da quando le visite del cognato in casa De Simone erano diventate sempre più frequenti, Vincenzo aveva iniziato a covare dubbi sul suo rapporto, sulla relazione con Teresa, con la quale ormai litigava ogni giorno. Cattivi pensieri che rischiavano di diventare realtà e trovavano, secondo De Simone, ogni volta una piccola conferma negli sguardi di intesa che Teresa e il cognato si scambiavano. Secondo De Simone sarebbe nata fra le pareti domestiche la storia tra i due amanti, Teresa e il marito della sorella di Vincenzo. Che ad agosto, lo avevano portato a rivolgersi a un investigatore privato, assoldato con il compito di avere una risposta certa ai dubbi che lo attanagliavano. Voleva sapere a tutti i costi se può ancora fidarsi della moglie. Ogni speranza di salvare il matrimonio sarebbe crollata quando l’ investigatore privato, dopo diversi appostamenti, si dice certo dell’ adulterio e comunica al suo cliente la cruda verità. Ieri l’ epilogo della vicenda. (di Carla Incorvaia)
‘L’ ho uccisa perché l’ amavo’ (la Repubblica, 7 novembre 2007)
I vestiti nuovi e la maggiore cura del corpo. Le uscite sempre più frequenti. E poi il rifiuto netto e continuo alle proposte del marito, con il quale aveva interrotto ogni intimità. Da un mese Teresa Lipari, la donna di 32 anni uccisa lunedì mattina dal marito per il sospetto di una storia adulterina con il cognato, aveva abitudini estranee a un rapporto di coppia che durava da anni. E il marito, Vincenzo De Simone, si era affidato a un detective privato per trasformare i suoi sospetti in certezze.
Teresa, originaria del Borgo Vecchio, era giovane e bella. Aveva appena 16 anni quando ha conosciuto il marito e lo ha sposato. Lui, geloso e possessivo, temendo di perderla, non la lasciava da sola un attimo. Dopo il matrimonio, si erano trasferiti nell’ ammezzato al civico 32 di via Emerico Amari, nello stesso palazzo in cui Vincenzo faceva il portiere e lunedì ha sparato due colpi di pistola alla moglie, uccidendola. E se ieri gli agenti del commissariato San Lorenzo non fossero arrivati in tempo alla Tecnoclima di via Carbone, il negozio del cognato di De Simone, il portiere uxoricida avrebbe ancora una volta sparato, prima contro l’ amante della moglie e poi forse contro se stesso. è quello che Vincenzo De Simone, chiuso in isolamento nel carcere dell’ Ucciardone, ha raccontato agli investigatori. Fra singhiozzi e continue crisi di pianto. Disperato per la pazzia commessa. «Ho fatto una fesseria, non posso stare senza di lei. Ma io l’ amavo e lei mi ha tradito».
Lo ha ripetuto fino all’ inverosimile e per tutta la durata dell’ interrogatorio. Seduto a capo chino davanti gli agenti di San Lorenzo, De Simone ha continuato a invocare il nome della moglie uccisa. «Ha raccontato quanto accaduto negli ultimi trenta giorni, riferendosi più volte alla compagna chiamandola amore mio – spiega la dirigente del commissariato Rosi La Franca – quando lo abbiamo catturato, De Simone era in un evidente e profondo stato di shock. Se non fossimo arrivati in tempo, avrebbe ucciso ancora e poi si sarebbe tolto la vita».
Secondo il racconto fatto agli inquirenti, il portiere uxoricida avrebbe iniziato ad avere sospetti sulla fedeltà della moglie circa un mese fa. Con il tempo, ai dubbi si sono unite ansie e paure per i continui rifiuti: ogni volta che Vincenzo provava a farle una carezza, Teresa lo allontanava, fino al giorno in cui non hanno più avuto rapporti. La donna però non trascurava affatto l’ aspetto fisico, anzi. E così Vincenzo, una settimana fa, ha deciso di conoscere la verità, di dare un volto ai suoi sospetti, all’ uomo con il quale la moglie forse lo tradiva. Si rivolge a un detective privato. Sette giorni di appostamenti e pedinamenti, in cerca di prove che avrebbero potuto dare ragione o screditare del tutto le ipotesi di Vincenzo. Che intanto si logora, tenta di capire dove ha sbagliato. Fino a lunedì mattina. Secondo la ricostruzione degli investigatori, intorno alle 11,30 Teresa esce di casa e saluta il marito al lavoro. L’ uomo contatta l’ investigatore e gli chiede di seguire la moglie. Pochi minuti e ancora una telefonata, questa volta da parte del segugio che comunica al suo cliente il modello e il colore dell’ auto a bordo della quale Teresa è salita, assieme a un uomo che l’ ha aspettata dietro casa. Per De Simone è la conferma del tradimento. Poi la tragedia. (di Carla Incorvaia)
Uccise la moglie,|condannato a 12 anni (Live Sicilia – 18 settembre 2008)
Vincenzo De Simone, di 40 anni, e’ stato condannato a 12 anni di reclusione per uxoricidio dal gup del tribunale di Palermo. L’uomo, portiere di uno stabile in via Emerico Amari, nel capoluogo siciliano, il 5 novembre scorso uccise la moglie, Teresa Lipari, di 32 anni, perche’ aveva scoperto che lo tradiva con il cognato. Il pubbico ministero aveva chiesto la condanna a 18 anni. De Simone, secondo quanto riporta il Giornale di Sicilia oggi in edicola, e’ stato processato con il rito abbreviato e gli sono state riconosciute le attenuanti. Inoltre e’ stato condannato a pagare anche 60 mila euro, a titolo di provvisionale, ai familiari della vittima che si sono costituiti parte civile ed ai suoi tre figli, ora affidati ai nonni.
Link
In memoria di
Romano e De Simone: “Delitti legati da un filo sottile” (Giornale di Sicilia – 12 aprile 2011)
C’è una piccola pista che unirebbe i due omicidi: i nomi delle vittime inseriti nelle ordinanze di vecchie indagini
C’è un filo che lega Davide Romano e Claudio De Simone. Al momento si tratta di un filo sottile, nascosto nelle carte e nei brogliacci di vecchie ordinanze. Magari non moltissimo per dire che ci sia un collegamento tra i due giovani — trovati morti a 36 ore l’uno dall’altro — e soprattutto tra i due delitti. Ma pur sempre qualcosa. Diciamo una piccola pista, che i carabinieri stanno esaminando e che trae spunto, tra le altre cose, dalle carte della retata antidroga che nell’aprile del 2008 portò all’arresto di ventuno persone nella zona dell’Acquasanta. Sarà una coincidenza, ma tra le 764 pagine di quell’ordinanza, assieme a quello di Davide Romano spuntano anche altri nomi «interessanti».
Il primo è quello di Giuseppe Ruggeri, genero del latitante Antonino Lauricella, arrestato nella stessa operazione in cui, tra gli altri, finì in cella anche Angelo Galatolo, figlio del boss dell’Acquasanta. Nella notte in cui Romano è stato ucciso, tra il 4 e il 5 aprile scorsi, davanti all’abitazione di Ruggeri la polizia fermò Nicolò Pecoraro, un anziano uomo d’onore molto vicino (almeno in passato) alla famiglia Romano, trovato con una calibro 7,65 compatibile con quella usata per ammazzare Davide Romano. È ancora presto per dire se Pecoraro ha avuto un ruolo nel delitto o se, viceversa, la sua presenza nella zona di corso dei Mille avesse altre finalità.
Dall’autopsia, compiuta sabato scorso, emerge chiaramente che l’ora del decesso, a differenza di quanto si era pensato in un primo momento, risale a prima del fermo di Pecoraro. In questi giorni dovrebbero arrivare anche i risultati degli esami balistici compiuti sull’arma del mafioso del Borgo Vecchio, dai quali potrebbero arrivare conferme.
Ma non è finita. Perché, sempre tra le carte dell’operazione antidroga compiuta dai carabinieri esattamente tre anni fa, in un’intercettazione due indagati fanno pure il nome di Vincenzo De Simone, professione portinaio, fratello del giovane assassinato venerdì scorso a Borgo Nuovo. Che, oltre ad essere stato condannato a 11 anni per avere ucciso la moglie, Teresa Lipari, per motivi passionali, in quell’ordinanza viene indicato come un piccolo fornitore di hashish, da contattare in sostituzione di Davide Romano, visto che quest’ultimo «col fumo non ci combatteva più». Al momento per il delitto di Claudio De Simone gli investigatori del reparto operativo privilegiano la pista della droga, un ambiente molto familiare anche a Romano. Ma i due fratelli non sono completamente estranei ai giri mafiosi: la sorella di Claudio e Vincenzo De Simone è infatti la moglie di Vincenzo Collesano, il boss di Partanna-Mondello accusato di essere uno dei luogotenenti del clan Lo Piccolo. Fu proprio una relazione tra Collesano e Teresa Lipari, il 5 novembre 2007, a far scattare la furia omicida di Vincenzo De Simone. Ma questa (almeno per ora) è un’altra storia.