Simone Santoleri, 46 anni. Tenta di strangolare la madre e, con l’aiuto del padre Giuseppe, 70 anni, la chiude ancora viva in un sacco della spazzatura e la getta lungo un fiume. Simone viene condannato a 27 anni, confermati in appello. Giuseppe viene condannato a 24 anni, poi ridotti a 18, ma si suicida in carcere
Tolentino (Macerata), 9 Ottobre 2017
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Renata Rapposelli, la storia della donna uccisa dal figlio e dall’ex marito (MoviePlayer – 4 giugno 2022)
La storia di Renata Rapposelli, uccisa dal figlio e dall’ex per motivi economici e disprezzo per la figura materna
Per l’omicidio di Renata Rapposelli sono stati condannati il figlio Simone Santoleri, autore materiale del delitto, e l’ex marito Giuseppe, in qualità di complice. Secondo i giudici il movente dell’omicidio va ricercato nel “mai sopito disprezzo della figura materna” da parte del figlio.
Renata Rapposelli era scomparsa nell’ottobre del 2017 e la denuncia fu presentata da alcuni amici, un gruppo religioso che la pittrice frequentava ad Ancona. Un mese dopo, l’11 novembre, il corpo senza vita della donna fu rinvenuto a Tolentino, lungo l’argine del fiume Chienti. Il corpo, trovato da un muratore che si era fermato per una sosta, era ricoperto d fango. Il viso era irriconoscibile, Renata Rapposelli fu identificata grazie all’orologio che indossava e alla placca metallica che le era stata inserita, nell’articolazione del polso destro, durante un intervento chirurgico.
Nel corso delle indagini, gli inquirenti stabilirono che Renata Rapposelli, il giorno della scomparsa, era andata a trovare, nella loro casa a Giulianova, l’ex marito, Giuseppe Santoleri, 70 anni, e il figlio Simone, 46 anni. Il delitto si consumò tra le quattro mura domestiche: due uomini avevano attirato la vittima in casa paventando problemi di salute di Simone, ma in realtà, volevano convincerla a rinunciare al sostentamento alimentare.
Le indagini puntarono subito su Giuseppe e Simone, le loro testimonianze non avevano mai convinto gli inquirenti che, passo dopo passo, raccolsero una serie di indizi che li convinsero a far scattare le manette nei confronti dell’ex marito e del figlio della vittima. Secondo la ricostruzione del delitto fatta in aula, l’omicidio è avvenuto in seguito al forte litigio per soldi tra Renata, Simone e Giuseppe. La donna rivendicava circa 1800 euro di arretrati, il figlio, preso dalla rabbia, ha strangolato la madre a mani nude, poi dopo aver caricato il cadavere di Renata Rapposelli in macchina, lo avrebbe chiuso in un sacco della spazzatura, per scaricarlo lungo l’argine del fiume di Tolentino.
Nelle motivazioni della sentenza i giudici hanno scritto che “a carico di Simone esistono indizi gravi, precisi e concordanti che rilevano in modo innegabile un radicato e risalente sentimento di rancore nei confronti della vittima“. I giudici hanno affermato che il figlio “nutrisse un mai sopito disprezzo per la figura materna“. Simone si è sempre dichiarato innocente, anche se avrebbe ammesso l’omicidio ad alcuni detenuti. Giuseppe si è detto succube del figlio e di aver agito sotto i suoi comandi.
I giudici di primo grado hanno condannato Simone a 27 anni (24 anni per omicidio volontario e 3 per la soppressione del cadavere), e a 24 anni Giuseppe (18 anni per omicidio e 3 per soppressione di cadavere). Il 16 dicembre 2021, la sentenza di secondo grado della Corte d’Assise del tribunale de l’Aquila ha confermato la condanna per Simone, mentre Giuseppe Santoleri ha avuto una riduzione della pena da 24 a 18 anni.
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I giudici hanno rigettato il ricorso per Simone e dichiarato inammissibile quello per Giuseppe Confermate le pene inflitte in Appello: il figlio dovrà scontare 27 anni di carcere e il padre 18
Le motivazioni diranno il perché. Per ora c’è un dispositivo con cui la Cassazione dichiara il rigetto totale del ricorso per Simone Santoleri e l’inammissibilità totale per quello del padre Giuseppe. I giudici della prima sezione della Suprema Corte confermano la sentenza d’Appello per il 49enne figlio e il 73enne ex marito di Renata Rapposelli, la 64enne pittrice originaria di Chieti assassinata: le due condanne sono definitive. Anche per gli Ermellini sono stati loro a uccidere la donna, a soffocarla e poi ad occultare il cadavere sulle sponde del fiume Chienti, nelle Marche.
Nel dicembre del 2021 i giudici d’appello avevano confermato la condanna a 27 anni per Simone Santoleri (24 per l’omicidio e tre per l’occultamento di cadavere) e ridotto da 24 a 18 quella per l’ex marito Giuseppe (16 per l’omicidio e 2 per l’occultamento di cadavere). Una differenza tra i due che i magistrati d’Appello avevano evidentemente deciso di rendere ancora più sostanziale rispetto al pronunciamento della Corte d’assise di primo grado: Giuseppe, durante un interrogatorio reso in carcere nel corso delle indagini preliminari, aveva sostenuto che a soffocare la ex moglie fosse stato il figlio Simone e che poi insieme si fossero disfatti del cadavere ritrovato dopo svariate settimane sulle sponde del fiume Chienti.
Accusa sempre respinta dal figlio che ha tentato il suicidio prima nel carcere di Pescara ingerendo farmaci e successivamente anche nel carcere di Viterbo dove è stato prima di essere trasferito a Rebibbia . Per la Procura teramana (titolare del fascicolo il sostituto procuratore Enrica Medori) il 9 ottobre del 2017 la donna venne soffocata nell’abitazione di Giulianova dai due congiunti per questioni economiche e poi portata sulle sponde del fiume. Un omicidio d’impeto con un movente economico: così, in 103 pagine di motivazioni, i giudici di primo grado hanno spiegato il perché della condanna. Secondo questi magistrati, così nelle motivazioni della sentenza, «Giuseppe aveva maturato un’esposizione debitoria nei confronti della moglie e non aveva alcuna intenzione di adempiere. Simone aveva da tempo manifestato la volontà di far desistere la madre dal perseguimento delle somme dovute al marito a titolo di arretrati». Per i giudici di primo grado, inoltre, Simone avrebbe messo in atto una serie di depistaggi: «Va osservato che il tentativo di Simone di proporre, sin dalle indagini preliminari (ciò che conferma la lucidità dell’imputato nel depistaggio), uno scenario alternativo che coinvolge persona a lui molto legata costituisce esattamente un indizio a carico del prevenuto, in quanto lo sforzo profuso nell’allontanare da sé ogni sospetto fa trasparire la consapevolezza della gravità del litigio verificatosi nell’abitazione e l’enorme rilevanza di tale fatto ai fini della compiuta ricostruzione della vicenda». (di Diana Pompetti)
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