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Salvatore Capone, 36 anni, sergente dell’aviazione. Cosparge la moglie di liquido infiammabile e le dà fuoco ustionando anche i bambini. Condannato, dopo un’articolata vicenda giudiziaria, a 30 anni

Giarre (Catania), 12 Novembre 2009


Titoli & Articoli

Catania, militare dà fuoco alla moglie (la Stampa – 12 novembre 2009)
Tragedia in famiglia: le fiamme
Un sottufficiale dell’Aeronautica militare, Salvatore Capone, di 36 anni, al culmine di una lite stamane a Giarre, in provincia di Catania, ha dato fuoco alla moglie, Maria Rita Russo, di 31 anni, che è ora ricoverata in gravissime condizioni nell’ospedale Cannizzaro. Le fiamme hanno raggiunto anche i loro figli, un maschietto ed una femmina di tre anni, che sono anch’essi ricoverati in ospedale, ma che non corrono pericolo di vita. È accaduto stamane intorno alle 8 di stamane nell’abitazione della coppia, in via Sacerdote Spina. Anche l’uomo ha riportato ustioni ed è stato trasportato nell’ospedale di Giarre, dov’è piantonato dai carabinieri. Indagini sono in corso per chiarire la dinamica dei fatti e i motivi del gesto.

Uccise moglie,ferì figli 3 anni: 30 anni (Ansa – 6 febbraio 2016)
Cassazione rigetta,pena definitiva per sottufficiale aeronautica
La Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile, di Salvatore Capone, il sottufficiale dell’aeronautica militare, condannato a 30 anni di reclusione, che il 12 novembre del 2009, al culmine di una lite nella loro abitazione di Giarre, appiccò il fuoco alla moglie, Maria Rita Russo, di 31 anni, dopo averla cosparsa di liquido infiammabile. L’uomo ferì i loro due figli gemelli, un maschio e una femmina, che all’epoca dei fatti avevano tre anni. La donna morì dieci giorni dopo nel centro Grandi ustionati dell’ospedale Cannizzaro di Catania. Ad accusare il sottufficiale era stata la vittima che a un vicino che l’aveva soccorsa aveva detto: ‘E’ stato lui, è stato mio marito’.
I due coniugi avevano deciso da tempo di separarsi. Diventa quindi definita la sentenza, emessa il 6 maggio del 2015 dalla Corte d’assise d’appello di Catania, per omicidio volontario della moglie e tentativo di omicidio dei due figli.

Condanna definitiva a 30 anni | “Niente riporterà Maria Rita” (Live Sicilia – 6 febbraio 2016)
“Questi anni sono stati un calvario di udienze e con la decisione della Cassazione, almeno dal punto di vista giudiziario, possiamo mettere la parola fine”. Queste le primissime parole pronunciate da Cetty Russo, sorella di Maria Rita, data alle fiamme e uccisa nel 2009 a Giarre dal marito Salvatore Capone. Ieri sera, dopo 9 lunghissime ore di camera di consiglio, i giudici della quinta sezione della Corte di Cassazione hanno respinto il ricorso, definito inammissibile, presentato dai legali dell’imputato, Enzo Iofrida e Giovanni Spada, contro la sentenza d’appello che aveva condannato l’uomo a 30 anni di reclusione.
La sentenza della Suprema Corte chiude in modo definitivo una travagliata vicenda giudiziaria iniziata nel 2009, dopo l’arresto di Salvatore Capone, accusato dell’omicidio della giovane insegnante giarrese e del tentato omicidio dei figli minorenni, entrambi aggravati dalla premeditazione.
LE TAPPE GIUDIZIARIE. Nell’aprile del 2011 il gup di Catania Marina Rizza condanna al massimo della pena, l’ergastolo, Salvatore Capone. Per il giudice non ci sarebbero dubbi sulla premeditazione dell’omicidio e del tentato omicidio dei due figli minorenni. Due anni dopo, a febbraio, la Corte d’Assise d’Appello di Catania, presieduta da Luigi Russo, riduce la pena a 30 anni, escludendo il tentato omicidio dei bambini. Ma la prima sezione della Corte di Cassazione, nel maggio del 2014, annulla quella sentenza limitatamente, però, all’aggravante della premeditazione. Si torna quindi in aula davanti ad una nuova sezione della Corte d’Appello di Catania, presieduta da Antonio Giurato. Ma i giudici non tengono conto della pronuncia della Cassazione e condannano Capone nuovamente a 30 anni. Ieri l’epilogo. Questa volta i giudici della Suprema Corte dichiarano inammissibile il ricorso presentato dalla difesa, ponendo fine alla vicenda.
Si dice felice di poter mettere un punto alla vicenda giudiziaria la famiglia di Maria Rita Russo, presente a tutte le udienze. “Sono sempre stata cosciente del fatto che nessuna sentenza mi avrebbe riportato in vita Maria Rita – prosegue ancora Cetty Russo –  ma quello che ho sempre voluto fortemente è che quell’uomo pagasse per aver tolto a una madre il diritto di veder crescere i propri figli e, di conseguenza, a loro quello di essere scaldati dall’abbraccio della loro madre.
Io e la mia famiglia non possiamo che ringraziare di vero cuore i nostri legali. Mi auguro – conclude – che questa sentenza serva da esempio”.
E si dice soddisfatto del risultato anche Vincenzo Mellia, legale di parte civile insieme a Giovanni Grasso, Pierfrancesco Continella, Goffredo D’Antona e Nino Garozzo. “Tutte le volte in cui viene a mancare la vita di una giovane donna e madre c’è soltanto tristezza – commenta Vincenzo Mellia – Poi dal punto di vista giuridico, in udienza c’è stato un confronto sul piano delle idee, con argomentazioni serie da entrambe le parti. Alla fine il ricorso dell’imputato è stato ritenuto inammissibile. Abbiamo visto riconosciuta l’applicazione rigorosa e vera delle legge. Ma resta il fatto – conclude il legale – che la vita di questa povera donna non c’è più e che ci sono due orfani”. Per Enzo Iofrida e Giovanni Spada, legali di Salvatore Capone, le notizie di cronaca degli ultimi giorni avrebbero inciso, anche se inconsciamente, sulla decisione.
“Il momento storico in cui si è celebrata l’udienza è stato determinante – commentano i due avvocati – premesso che anche i giudici di Cassazione sono persone. Tre giorni fa ci sono stati due casi di femminicidio ed un caso di tentato femminicidio. L’esclusione della premeditazione, d’altronde, avrebbe comportato una riduzione di pena di circa 10 anni. Nove ore di camera di consiglio, d’altronde – concludono Iofrida e Spada – sembrano davvero eccessive per verificare una inammissibilità”.


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