Roberto Spaccino, 39 anni, camionista, padre. Massacra di botte e soffoca la moglie incinta del terzo figlio. Condannato all’ergastolo confermato in Cassazione, da giugno 2022 usufruisce di permessi premio
Marsciano (Perugia), 24 Maggio 2007
Titoli & Articoli
Arrestato il marito di Barbara Cicioni – Urla della folla: “Sei un bastardo” (la Repubblica – 29 maggio 2007)
I legali: “E’ molto dispiaciuto di non poter partecipare ai funerali”
Il pm: “Gravissimi maltrattamenti pregressi nei confronti di moglie e figli” – L’avrebbe ammazzata di botte con il figlio che portava in grembo e ora è anche accusato di aver maltrattato gli altri due suoi figlioletti. L’assassino della donna incinta di Marsciano sarebbe il marito. Oggi, poche ore prima dei funerali di Barbara Cicioni, Roberto Spaccino è stato arrestato con l’accusa di omicidio volontario condita da una serie di aggravanti.
L’uomo si è presentato nella caserma dei carabinieri di Masciano, in mattinata, accompagnato dai suoi legali, Michele Toti e Luca Gentili. Poi, è stato trasferito nel carcere di Capanne, a Perugia. Fino alle 4 del mattino era stato, insieme al suocero, a vegliare la salma della moglie, nella camera ardente allestita nella chiesa di Morcella, frazione di Marsciano, dove oggi si sono svolti i funerali della donna. Intorno alle 15.20 Spaccino ha lasciato la caserma: jeans e camicia a quadri, impassibile, è salito su un’auto dei carabinieri. Decine di persone accalcate di fronte alla caserma lo hanno insultato chiamandolo “bastardo” e invocando per lui la pena di morte.
Le indagini erano arrivate a una soluzione ieri sera: l’assassino è stato tradito da una macchia di sangue. Spaccino – è scritto nel comunicato diffuso dal sostituto procuratore che coordina le indagini, Antonella Duchini – “è stato tratto in arresto, indagato per i delitti di omicidio volontario aggravato (futili motivi, crudeltà verso la vittima, rapporto di coniugio) per aver cagionato la morte della moglie Barbara Cicioni, maltrattamenti nei confronti della medesima e dei figli minori, calunnia nei confronti di ignoti, simulazione di reato”. Gli indizi, si legge ancora nel comunicato, sono indicati in ”pregressi, usuali, gravissimi maltrattamenti nei confronti della Cicioni, comprendenti violenze fisiche e morali; nella palese simulazione dei reati di furto e rapina; nelle cause della morte (meccanismo combinato di natura asfittica – soffocamento – e neurologico – inibizione da compressione del nodo del seno con conseguente bradicardia – arresto cardiaco, derivante principalmente da azione violenta produttrice di lesioni di natura contusiva profonda); nell’ora della morte contrastante con la versione dell’indagato”.
Le indagini, prosegue la nota, anche se giunte a una svolta decisiva, “proseguono in ogni direzione per l’ulteriore raccolta di elementi idonei a valutare la possibilità di sostenere o meno l’accusa in giudizio nei confronti di Spaccino Roberto”. Tra l’altro, è probabile che gli inquirenti stiano cercando di appurare se e come Spaccino ha ricevuto aiuto da terze persone: se non nell’uccidere, almeno, nelle ore successive, nel tentativo di crearsi un alibi e nel sostenere una versione, quella della rapina, apparsa subito poco credibile agli investigatori. I legali non potranno parlare con il loro assistito fino all’interrogatorio, “sappiamo che c’è stata una richiesta di custodia cautelare da parte della Procura – dicono – che è stata accolta dal gip e che è in corso di esecuzione, con divieto di colloquio con i difensori”.
Lasciata la caserma di Marsciano, i due avvocati si sono recati dai familiari di Spaccino. Stando a quanto riferito da Toti e Gentili, il primo pensiero dell’uomo, quando ha lasciato la sua abitazione di Compignano per recarsi in caserma, è stato per i funerali della moglie: “Al di là del disagio che sta vivendo, c’è questa ulteriore amarezza di non poter essere oggi alle esequie”.
In manette dopo le preghiere (La Stampa – 30 maggio 2007)
La folla che accusava gli extracomunitari: è un bastardo, ci vuole la pena di morte
Alle 12 è in chiesa a dare l’ultimo saluto alla moglie uccisa, Barbara, che portava in grembo sua figlia. Due ore dopo l’arrestano per l’omicidio della donna. La parabola di Roberto Spaccino, da vedovo afflitto ad assassino efferato, si gioca sulla soglia della parrocchia. I carabinieri lo chiamano in stazione un’ora prima che comincino le esequie di Barbara Cicioni. E non sembra una scelta casuale. Alla magistratura perugina, maturata la convinzione che l’uomo avesse ucciso la moglie incinta all’ottavo mese, è sembrato intollerabile che il marito partecipasse in prima fila a quei funerali. E non è finita qui, per gli Spaccino. «L’indagine prosegue», fa sapere la procura.
«Ma state facendo un errore…». La prima reazione di Roberto Spaccino, quando ha capito che lo stanno per ammanettare, è d’incredulità. Ma non mostra rabbia. Abbassa il capo. «Mi dispiace tanto non poter partecipare ai funerali di Barbara». Ed è tutto. Si chiude in un enigmatico silenzio che alla gente sembra ammissione di colpa. L’arresto è notizia che attraversa i paesi con la velocità del lampo. Quando lo portano fuori dalla caserma, diretto al carcere di Perugia, s’è già raccolta una piccola folla che strilla e inveisce. «Bastardo». «Delinquente». «Assassino». «Ci vuole la pena di morte». Lui osserva e tace. Non un segno d reazione. Sale nell’auto dei carabinieri e scompare nella pioggia.
«Che l’aria si facesse pesante, Spaccino l’aveva capito anche lui. Ma non si attendeva proprio che l’arrestassero – dice il suo avvocato, Michele Titoli – tanto è vero che non aveva preparato alcuna borsa per stare in cella. I carabinieri gli hanno detto di passare un attimo in caserma. Nel casale c’eravamo anche noi avvocati, così l’abbiamo accompagnato». Ma appena varcata la soglia, l’uomo è stato chiuso in una stanza e i legali invitati in un’altra. La magistratura ha ordinato l’isolamento e vietato ogni contatto, difensori compresi, fino al momento del primo interrogatorio. Commenta l’altro avvocato, Luca Gentili: «Forse gli indizi non sono così schiaccianti come si vuole far credere».
L’accusa che ha portato Spaccino in carcere è omicido volontario aggravato. Le aggravanti sono i futili motivi all’origine del fatto (una lite), la crudeltà verso la vittima (botte a una donna in stato interessante), il rapporto che li legava (la «coniugio»). Sarebbe stato quindi lui «ad aver cagionato la morte della moglie Barbara Cicioni». Un finale tragico preceduto da «maltrattamenti nei confronti della medesima» (vedi le testimonianze di amici e parenti, e una denuncia per percosse che Barbara aveva presentato contro il marito tempo fa) e «dei figli minori». Reati accessori, la «calunnia nei confronti d’ignoti» e la «simulazione di reato».
«La picchiava» Era un uomo manesco, Spaccino. Gli indizi che hanno convinto i magistrati a procedere – si legge in un comunicato del pm Antonella Duchini – sono «i pregressi, usuali, gravissimi maltrattamenti nei confronti della Cicioni, comprendenti violenze fisiche e morali». Chi ne parla è persona al di là di ogni sospetto. Il Grande accusatore che campeggia nell’ordinanza contro Roberto Spaccino è infatti il suocero, Paolo Cicioni. È lui a spiegare che era stato persino «contrario al matrimonio», ma che la figlia aveva voluto sposare quell’uomo a tutti i costi. E perciò alla fine aveva acconsentito. Ma senza fidarsi di Roberto. Che poi, come da programma, aveva ricambiato l’amore della ragazza con botte e maltrattamenti. Malsopportava la sua intraprendenza, la capacità nel lavoro – lui che da camionista era andato male – e la sua autonomia.
Contro il marito ci sono i risultati dell’autopsia, diventati indizi a sfavore. Barbara è morta per «un meccanismo combinato di natura asfittica» (soffocamento) e neurologico (inibizione da compressione del nodo del seno con conseguente bradicardia), culminato in un arresto cardiaco «derivante principalmente da azione violenta produttrice di lesioni di natura contusiva profonda». Uno scenario compatibile con una violenta lite finita male. Non torna nemmeno l’ora della morte, che andrebbe anticipata di un’ora rispetto a quanto detto da Spaccino. Un ennesimo elemento «contrastante con la versione dell’indagato». Persino sulla cena ci sono dubbi: all’ora in cui avrebbe dovuto trovarsi a tavola con Barbara un testimone lo vedeva al bar del paese. «Non ci voglio ancora credere – commenta don Mario, il parroco – se penso che abbiamo trascorso la notte tutti assieme, io, il suocero, lui, gli altri parenti, a vegliare Barbara…».
Silenzi e minacce, così il clan difendeva Roby il manesco (il Giornale – 31 maggio 2007)
I pm parlano del «fattore famiglia» e i genitori della donna uccisa raccontano di un gruppo votato alla «prevaricazione e alla violenza»
Un «clan» familiare, cresciuto numericamente dall’arrivo del patriarca, Elio, nelle campagne di Compignano, nell’immediato dopoguerra. Un clan, quello della famiglia Spaccino, legato alla terra, unito da un fortissimo legame, tale da preservare la vicinanza fisica dei vari componenti, costruendo le case man mano che la famiglia si allargava sempre lì, affacciate intorno al grande cortile comune, una specie di piazza di un villaggio privato. Un elemento che sottolineano anche i magistrati: quell’agglomerato di villette che ospitano i genitori di Roberto Spaccino, i suoi due fratelli e alcuni cugini «ben può essere definito un borgo familiare».
Una piccola comunità chiusa, non necessariamente accogliente, secondo le convinzioni della procura di Perugia, che ha mantenuto alta l’attenzione sul comportamento dei parenti di Roberto dopo l’omicidio della moglie, valutando eventuali coinvolgimenti o coperture per l’indagato, da due giorni in carcere. Proprio in relazione alle esigenze cautelari, infatti, il gip tiene conto del «fattore famiglia». E scrive che se il grave pericolo di inquinamento probatorio sussiste, è anche «in considerazione dell’ambiente familiare ristretto della famiglia Spaccino, di natura patriarcale e contadina», sottolineando come questo «ambiente» abbia «taciuto le violenze protrattesi per anni in danno di Cicioni Barbara», oltre a «rendere dichiarazioni reticenti sul punto». Una sottotrama sociologica che emerge, appunto, anche dalle dichiarazioni messe a verbale dai parenti della ragazza morta la notte tra il 24 e il 25. Che dicono di violenze nemmeno accennate dal clan. Il padre, Paolo, per esempio racconta della «differenza culturali» tra le due famiglie che «avrebbe sicuramente reso difficile il rapporto». E le spiegazioni del papà di Barbara si fanno più esplicite.
Parla di una «cultura familiare» che è «chiaramente votata alla prevaricazione e alle violenze», racconta a titolo esemplificativo che «mi è stato riferito direttamente da Barbara che in un’occasione, durante un litigio familiare nell’atrio divisorio delle abitazioni, suo suocero Spaccino Gerardo aveva minacciato mia figlia con una roncola e la stessa, per evitare spiacevoli conseguenze, era rientrata a casa». E lascia capire come sua figlia non fosse riuscita a «integrarsi» nel clan, anche per il desiderio di tutelare la privacy della «propria» famiglia, quella formata da lei, dal marito e dai figli. Un atteggiamento che era motivo di contrasti, in quella piccola comunità dove la condivisione era la regola, se non un obbligo. «Veniva considerata dal marito e dal suo ‘contesto’ familiare una nullafacente oziosa – spiega ancora Paolo Cicioni – solo perché manteneva il proprio riserbo familiare pur accettando di condividere con gli altri feste e ricorrenze».
Questo l’humus dei problemi di convivenza di Barbara nella sua grande, nuova famiglia. Problemi vissuti all’interno del «borgo Spaccino». Anche dopo l’omicidio, la diplomazia di famiglia ha tenuto il colpo, incrinandosi solo per la divisione sulla nomina di due avvocati diversi, e nel crescente nervosismo di fronte alla pressione mediatica manifestato dai fratelli di Roberto.
E nemmeno finita del tutto ai funerali nella chiesetta di Morcella, il paesino d’origine dei Cicioni, dove il corridoio tra le panche separava i familiari di Barbara dagli Spaccino, che hanno comunque voluto essere presenti alle esequie, proprio mentre Roberto veniva scortato in carcere dai carabinieri. «So che non è lui, non può essere lui, io gliel’ho anche chiesto», ha sbottato il padre del presunto omicida. Ma anche dall’esterno, ormai, il villaggio degli Spaccino ha perso la sua aria di paradiso di campagna.
Caso Spaccino, offensiva della difesa: “da sette mesi c’è un uomo dimenticato in carcere” (il Tam Tam – 21 dicembre 2007)
I difensori dell’uomo, accusato dell’omicidio della moglie Barbara Cicioni, avvenuto a Compignano di Marsciano, lamentano una vera e propria lesione dei diritti umani
Torna d’attualità la vicenda di Barbara Cicioni e Roberto Spaccino, della quale è tornato a parlare il noto criminologo Francesco Bruno definendo l’uomo «un essere dimenticato in carcere» da quasi sette mesi con l’accusa di aver ucciso la moglie, anche se i suoi difensori non sanno ancora «a che ora e come sia morta». La dichiarazione è arrivata a margine di una riunione con gli avvocati ed i consulenti della difesa di Roberto Spaccino, arrestato il 29 maggio scorso con l’accusa di omicidio della donna, incinta di otto mesi, simulando una rapina nella loro villetta di Compignano di Marsciano.
«Ci rendiamo conto – ha detto Bruno – che a Perugia in questo momento gli interessi sono altri e che l’opinione pubblica è affascinata» dal delitto della studentessa inglese uccisa, ma per un «altro terribile delitto» da maggio è in carcere un uomo che «non siamo in condizione di difendere». Dal punto di vista della difesa «sette mesi dopo le cose sono come il primo giorno». «Siamo di fronte – ha sottolineato – ad una vera e propria lesione dei diritti umani». I difensori di Spaccino, Luca Gentili e Michele Titoli, hanno riferito che non sono stati ancora depositati i rilievi del Ris nella villetta del delitto e le conclusioni della perizia medico legale.
La dottoressa Laura Reattelli, consulente medico legale della difesa, ha invece detto che in questo momento non si sa ancora se quella di Barbara Cicioni sia una morte naturale e l’ora in cui è avvenuta. Particolare questo che viene ritenuto fondamentale dalla difesa poichè riguarda la conferma dell’alibi di Spaccino, il quale ha detto che quando era uscito di casa per andare nella lavanderia di famiglia la moglie, con la quale pure aveva avuto una discussione, era viva. «Non sappiamo neanche – hanno osservato gli avvocati – se ci siano altri indagati». Il noto criminologo ha detto anche di non essere in grado di svolgere la sua attività di psichiatra perchè ha potuto vedere Spaccino «soltanto per alcuni minuti» dopo l’arresto. I suoi avvocati hanno parlato inoltre di «scoramento» del loro assistito al quale viene impedito di vedere il suo parroco, Don Mario, e soprattutto i suoi due figli, Filippo e Nicolò, di 8 e 4 anni. Il professor Bruno ha parlato infine di «analogie» con il delitto di Garlasco, con la differenza però che in quel caso l’indagato è stato arrestato e poi scarcerato in attesa di chiarire la sua posizione. Dal punto di vista processuale per Spaccino il prossimo appuntamento dovrebbe essere in gennaio con la Cassazione, cui si sono rivolti i difensori con un ricorsosulla conferma della validità della misura della custodia cautelare da parte del tribunale del riesame.
Uccise la moglie incinta di 8 mesi (La Stampa – 16 maggio 2009)
Ergastolo per Roberto Spaccino, di 39 anni, accusato di avere ucciso picchiandola e soffocandola con un cuscino la moglie Barbara Cicioni, di 33, incinta di otto mesi e madre dei loro due bambini. La corte d’assise ha accolto la richiesta del pm. Il delitto avvenne nella notte tra il 24 ed il 25 maggio 2007 nella villetta di Compignano di Marsciano, nelle campagne umbre, dove abitava la coppia. La sentenza, dopo circa dieci ore di camera di consiglio, è stata letta stasera dal presidente della corte Giancarlo Massei, lo stesso del processo per l’uccisione della studentessa inglese Meredith Kercher. L’imputato, che si è sempre proclamato innocente e che fu arrestato pochi giorni dopo il delitto, ha rinunciato a comparire in aula per la lettura del verdetto.
Lo apprenderà nella sua cella del carcere di Terni. Erano invece presenti il fratello ed altri suoi familiari ed i genitori di Barbara. «Rispetto questa sentenza, ma non la capisco» ha detto ai giornalisti uno dei difensori di Spaccino, l’avvocato Luca Gentili. «La corte evidentemente ha visto nelle carte processuali qualcosa che io non ho visto». «Ci riserviamo altri commenti – ha aggiunto l’altro difensore, Michele Titoli – dopo il deposito delle motivazioni. In questo momento siamo solo amareggiati perchè riteniamo che non sia una sentenza giusta». Simona Pangallo, la mamma di Barbara, ad una amica che le chiedeva se fosse soddisfatta del verdetto ha risposto che in «queste vicende non esistono vincitori».
Il padre di Barbara, Paolo Cicioni, è uscito in lacrime sorretto dal suo avvocato, Francesco Falcinelli. «È una sentenza assolutamente proporzionata alla gravità dei delitti ascritti all’imputato e l’affermazione delle sue responsabilità non poteva prescindere dalla erogazione della sanzione più grave prevista dall’ordinamento giuridico italiano. Rimane – ha aggiunto – tutta la sofferenza del padre per la perdita della figlia e della nipotina Elena che sarebbe nata di lì a poco». Barbara Cicioni venne uccisa nella sua camera da letto della villetta di famiglia. Nella stanza accanto dormivano i due figli della coppia, Niccolò e Filippo, di otto e quattro anni, ora affidati ad alcuni parenti. In base alla ricostruzione accusatoria Spaccino uccise la moglie al termine dell’ennesima lite. In particolare – ritengono gli inquirenti – la percosse e la soffocò con un cuscino.
Oltre che per l’omicidio, Spaccino è stato condannato per maltrattamenti nei confronti della moglie, per avere provocato l’interruzione della sua gravidanza e per avere simulato un furto nella villetta. In pratica, secondo l’ accusa, Spaccino dopo avere ucciso la moglie si sarebbe recato nella lavanderia di famiglia nella vicina Marsciano per compiervi alcune operazioni in modo da procurarsi un alibi e poi avrebbe messo un pò a soqquadro la casa per simulare una incursione di ladri durante la sua assenza. Il pm Antonella Duchini nella sua requisitoria aveva invece sottolineato che nella casa del delitto «non è stata trovata una sola impronta o una traccia di Dna di un estraneo». L’imputato nell’ interrogatorio davanti alla corte ha ripetuto di non sapere cosa fosse successo in casa la sera del delitto durante la sua assenza. Ha solo ammesso che quella sera c’era stata una animata discussione con la moglie, «come quelle che accadono spesso nelle famiglie». I suoi difensori nelle arringhe conclusive avevano rivolto pesanti critiche alla conduzione delle indagini sostenendo che si era subito privilegiata la pista del delitto in famiglia trascurando le altre, quali quella della irruzione del ladri che scoperti avevano ucciso la donna. Adesso, lo hanno già annunciato, sarà la corte d’ assise di appello a dovere riesaminare la vicenda.
Processo appello Spaccino/ Avv. Gentili: anche lui è vittima (Umbria Left – 6 agosto 2010)
‘In questo processo indiziario la vittima non e’ soltanto Barbara Cicioni ma anche i suoi figli e l’imputato Roberto Spaccino, che e’ innocente”: cosi’, nell’arringa odierna del processo d’appello contro il camionista condannato all’ergastolo per l’omicidio di Compignano, avvenuto nel maggio 2007, l’avvocato Luca Gentili. Il legale di Spaccino ha detto che ”nessuno dei 162 testimoni” che hanno deposto ”ha assistito al delitto”. Per l’avvocato Gentili, ”non si puo condannare un uomo all’ergastolo se si hanno sospetti, ci vogliono elementi chiari, precisi e concordanti”. La procura generale nelle precedenti udienze aveva gia’ chiesto la conferma della condanna. L’avvocato Luca Gentili, al termine di un’arringa durata circa otto ore, ha chiesto l’assoluzione per Roberto Spaccino. Il legale ha chiesto ai giudici la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con nuove perizie.
Scampoli di libertà per Roberto Spaccino: l’assassino di Barbara Cicioni ha infatti incominciato ad usufruire dei primi permessi premio. Ha trascorso Pasquetta fuori dal carcere. Il 53enne è detenuto dal 29 maggio 2007, quando venne arrestato per l’omicidio della moglie Barbara Cicioni, incinta all’ottavo mese. Il marito venne accusato dagli inquirenti di aver ucciso la donna al culmine di una lite, soffocandola probabilmente con un cuscino, all’interno della villetta di Compignano, una piccola frazione alle porte di Marsciano. Secondo le sentenze il delitto avvenne mentre gli altri due figli dormivano nella cameretta a fianco. Per l’accusa Spaccino avrebbe messo un po’ a soqquadro la casa per simulare una incursione di ladri in sua assenza e, sempre quella drammatica sera, si era recato nella lavanderia di famiglia per compiere alcune operazioni in modo da procurarsi un alibi.
All’epoca Roberto Spaccino aveva 37 anni: sono trascorsi quasi 16 anni e solo da poco ha iniziato a usufruire dei primi permessi premio, utilizzati per trascorrere un po’ di tempo in compagnia dei suoi familiari, fare una passeggiata, mangiare al ristorante insieme ai suoi anziani genitori oppure recarsi in chiesa. Il primo permesso è datato giugno 2022, l’ultimo gli è stato concordato prima di Pasqua. In mezzo un ricorso della Procura che ha ‘congelato’ le uscite fino alla pronuncia del tribunale di sorveglianza che gli ha di nuovo consentito di uscire dalla cella dell’istituto penitenziario di Terni nel quale è attualmente recluso. Tecnicamente le istanze per i permessi premio possono essere proposte dopo un periodo di dieci anni di detenzione: le prime richieste di Spaccino per mettere il naso fuori dal carcere risalgono al 2019 ma solo nell’estate 2022 ha ricevuto il primo parere positivo. Una concessione di poche ore. Non poteva neppure allontanarsi da Terni.
E così, giusto il tempo di una passeggiata in compagnia del fratello che era andato ad aspettarlo all’uscita di Vocabolo Sabbione, un lungo abbraccio con i genitori prima del pranzo in trattoria e un passaggio in chiesa dove si è voluto recare per recitare una preghiera. In quel caldo pomeriggio di giugno ha perfino anticipato di un’ora il rientro per la presentazione alla matricola. Tra un lavoretto e l’altro nell’istituto penitenziario – da addetto alla lavanderia ora è diventato ‘spesino’, ossia prende le ordinazioni di sopravvitto per gli altri reclusi – è arrivata la lettera della Procura di Spoleto che si era opposta al secondo permesso richiesto per il mese di agosto. La pratica è rimasta bloccata finché i giudici del tribunale di sorveglianza non hanno rigettato il reclamo dei pm e Spaccino ha potuto avanzare un’altra istanza ancora che gli è stata concordata per il giorno di Pasquetta e per martedì. Il Lunedì dell’Angelo è stata la prima festività trascorsa da lui fuori dalle mura del carcere. Pochi dettagli: sappiamo solo che è rimasto in compagnia di alcuni familiari, un pugno di persone, e che sia volutamente rimasto lontano dalla villetta rosa di Compignano.
L’11 gennaio 2012, vale a dire ormai più di dieci anni fa, la Cassazione ha reso definitiva la condanna all’ergastolo per Roberto Spaccino, il quale si è sempre detto innocente ed ha sempre sostenuto di aver trovato la moglie morta al suo rientro in casa. Ha sostenuto che quando uscì di casa la moglie era viva e di averla trovata morta al suo ritorno. Ha ripetuto di non sapere cosa fosse successo durante la sua assenza. Tra le ipotesi avanzate quella di un furto finito male. Più volte Roberto Spaccino ha parlato di sé come di un «capro espiatorio». (di Enzo Beretta)
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In memoria di
Barbara Cicioni (Un altro genere di comunicazione)
Le davo smanate non schiaffoni! – Così si difendeva al processo un uomo accusato di aver massacrato sua moglie Barbara Cicioni e la figlioletta che portava in grembo. … il fatto ha colpito per l’incredibile maschilismo di un uomo convinto che picchiare sua moglie rientrasse nella normalità.
Era il 2007 quando tutti i telegiornali nazionali annunciavano la morte di una giovane donnaincinta e diabetica, massacrata in modo barbaro da un marito geloso e violento. Alle parole si accompagnano le mostruose insinuazioni di un uomo che cercava di difendere l’indifendibile: «Prima o poi ti ammazzo è una espressione delle nostre parti. Mia moglie non l’ho mai picchiata, al massimo smanate e schiaffettoni che non lasciano il segno, la violenza vera è quella che ti manda all’ospedale e Barbara non è mai finita al pronto soccorso».
Roberto Spaccino aveva pianificato benissimo l’omicidio. Si trattò infatti una morte annunciata, lucida e premeditata. Infatti, l’uomo, aveva simulato una rapina finita male, mettendo in disordine la casa e facendo sparire tutti i gioielli. Questo però non bastò per salvarsi. Fu così incastrato per il suo atteggiamento contraddittorio e rinchiuso in carcere in attesa del processo.
Al processo per la morte della moglie Barbara Cicioni, 33 anni, incinta di otto mesi, Roberto Spaccino rise. Accusato di omicidio aggravato e violenza in famiglia, la pm Antonella Duchini gli fa delle domande sugli schiaffi che dava spesso a sua moglie e che lui considerava parte integrante del ménage famigliare. Infatti, secondo Spaccino sarebbero “sventoloni”, “smanate” non botte, perché le botte «sono quelle che lasciano il segno», «quelle che mandano in ospedale e mia moglie non c’era mai finita». Roberto diceva spesso «io questa prima o poi l’ammazzo», l’uomo precisa che questo è un modo di dire di Marsciano, «un intercalare nostro, mio e di mia moglie».
Durante il processo di un uomo che lucidamente strangolò sua moglie, emergono scenari inquietanti. Il maschilismo di un uomo, ben inserito in un contesto, dove le donne sono viste come “puttane”, dove dalle mogli ci si aspetta serietà, mentre agli uomini è concesso frequentare altre donne. Infatti, nell’aula della Corte d’Assise di Perugia, l’uomo scherza con gli avvocati. Si reputa un uomo perbene, un marito modello e un padre perfetto per i suoi due figli che aveva avuto con Barbara, non si ubriaca, non fuma, non gioca d’azzardo, al massimo frequentava qualche night, tradiva talvolta la donna con le clienti della lavanderia e prostitute, poiché «Certo che la gelosia di Barbara mi dava fastidio, io le dicevo che non c’era niente. Del resto lei che ne poteva sapere? E le avventure, si sa, ce l’hanno tutti».
Se tradire una moglie era per lui normale, tuttavia poteva insinuare che la figlia nel grembo di Barbara non era sua ed esternare una morbosa gelosia nei suoi confronti. Perché un uomo è legittimato a tradire, una donna non può nemmeno divorziare. Infatti le urlava spesso “sei una puttana come tua madre“, perché aveva divorziato presto da un marito violento; la umiliava con appellativi come “sei un cesso” e “sei grassa”.
La sera della sua morte avevano litigato, Roberto insisteva per andare quella sera tardi a fare il distillo in lavanderia, Barbara sospettava che fosse una scusa per dedicarsi a nuove scappatelle, lui per questo la picchiò. Lei si coprì con un cuscino davanti la faccia per attutire i colpi e non svegliare i bambini, questo è almeno il racconto del marito che oggi ripete continuamente che lei gli aveva fatto male al dito, quel 24 maggio. Come Erika e Omar, forte del pregiudizio sociale contro gli stranieri, Roberto disse che erano stati gli albanesi ad uccidere la moglie dopo una rapina nella loro villetta di Compignano, una frazione di Perugia. Una visione distorta e stereotipata della violenza ma prodotto della cultura del nostro Paese: “io non sono violento, sono violenti gli altri, gli stupratori, gli stranieri, quelli che mandano all’ospedale“. Ma poi ammette che le dava «schiaffetti» per motivi banali e quotidiani, «se la cena non era pronta» oppure «quella volta dei calzini» andando a sfatare involontariamente lo stereotipo dello straniero marocchino o rumeno maschilista, perché queste cose le fanno anche gli italiani.
La cronaca del processo a Roberto Spaccino racconta l’esasperante quotidianità della violenza domestica del nostro Paese. Spaccino, uomo qualsiasi, è italiano, non straniero come gli immigrati che in quel periodo facevano scalpore per alcuni stupri che balzarono alle cronache. Statisticamente, Roberto impersona l’identikit più frequente: il 69% degli stupratori è marito o fidanzato della vittima mentre soltanto il 10% dei violentatori è straniero. Stessa cosa anche per i femminicidi: quest’anno #101 donne sono state uccise, il 90% degli assassini sono italiani.
Poche ore prima del funerale di Barbara, Roberto viene arrestato. Egli ammette le liti frequenti. Roberto la picchiava per cose banali, anche se non gli chiedeva il permesso per uscire o per comprare qualcosa. Durante il fidanzamento Barbara aveva deciso di farsi un secondo buco all’orecchio. Quando Roberto se n’è accorto l’ha schiaffeggiata. Le violenze domestiche in casa Spaccino erano quotidiane.Veniva picchiata anche durante la prima gravidanza, nel gennaio dell’89. “Barbara giunta al settimo mese di gravidanza si presentava a casa mia in evidente stato di agitazione. Piangendo mi comunicava che Roberto l’aveva maltratta e picchiata ripetutamente per un motivo banale: “non trovava i calzini” ricorda Elisa Cicioni, la zia.
Ancor più violenta è la reazione di Roberto alla notizia della terza gravidanza. “La insultò dicendole che doveva far riconoscere il figlio da suo padre, che il figlio non era suo e che avrebbe dovuto abortire“. Minacciata con una roncola anche dal suocero, definita abitualmente “indolente e maiala“, picchiata ripetutamente davanti ai figli che la disegnano poi a terra “sporca di sangue”. Tutto il paese sapeva che Roberto picchiava Barbara anche in presenza dei figli. Violenze che il figlio maggiore apprende e imita “utilizzando frasari e metodi analoghi a quelli del padre” mentre il più piccolo un giorno colpì con una scopa il papà che sta pestando la moglie. In paese l’omertà era troppo forte, come spesso accade nei piccoli paesi dove i panni sporchi si lavano in famiglia. Roberto era uno di paese, non uno straniero per essere linciato dalla folla, ma un padre di famiglia che portava i bambini a calcio.
Lui e Barbara si erano conosciuti ad una sagra di paese quando lei aveva appena quattordici anni e lui 18. La donna aveva vissuto il divorzio dei genitori (a causa delle violenze che subiva sua madre) in maniera traumatica, per questo non voleva separarsi, per non dare lo stesso dolore ai figli. Il marito la accusava che il figlio che portava in grembo non era suo. La accusava di averlo tradito, quando invece era lui a tradirlo con numerose donne, mostrando un atteggiamento contraddittorio: Malgrado questa sua gelosia, lui non tollerava che la moglie poteva essere altrettanto gelosa e la picchiava anche per questo. Le frequentazioni del marito di Barbara sono varie, dal rapporto sessuale con una spogliarellista in cambio del lavaggio di un tappeto del valore di 36 euro, dai week end annuali alle terme dove trovava gradevole la compagnia femminile. Dai verbali dell’udienza, infatti, emerge la dicotomia machista: a casa la moglie e madre casta, fuori le “puttane” ma anche la credenza sessista che tollera (e legittima) l’adulterio maschile ma non il contrario. L’atteggiamento maschilista di Spaccino è classico di un Paese che ha avuto un ex-Presidente del Consiglio che fu simbolo di tale cultura. A causa di questi elementi, l’assassinio di Barbara fu il primo ad essere stato denominato femminicidio durante il processo che condannava Spaccino all’ergastolo.
Il processo Spaccino, al di là della cronaca giudiziaria, mostra i moventi di un femminicidio in piena regola: la madre di Roberto chiama «puttane» le donne che il figlio frequentava, difendendo un uomo che minimizzava le botte e considerava Barbara una «moglie sfaticata», la famiglia di Spaccino che minacciava la moglie di prenderla a falciate sul collo quando si difendeva dalle violenze del marito, un contesto maschilista dove anche la madre di Barbara fu vittima di violenze da parte del marito, padre di Barbara. Le femministe che fanno i sit-in fuori dall’aula.
Spaccino non si pentì per la morte della moglie e durante il processo pianse soltanto quando perse la sua patria potestà. I bambini della coppia si trovano con i genitori della madre. Il legale dei genitori di Barbara Cicioni, l’avvocato Valeriano Tascini, ha spiegato che i suoi assistiti «non intendono fare commenti» su quanto successo. I figli della coppia la notte del delitto dormivano in una stanza accanto a quella della madre, ma non si sarebbero accorti di nulla. Nei giorni scorsi i nonni, che sono separati, hanno rivelato loro della morte della madre e della sorellina che aveva in grembo, parlando di una malattia. Rivelare questo per loro sarebbe un dolore grandissimo. Del resto chi potrebbe tollerare questo?
Per Spaccino pagheranno i figli, ipoteca su casa del delitto Cicioni (TuttOggi – 12 ottobre 2016)
Barbara è stata uccisa nella villetta di Marsciano all’ottavo mese di gravidanza. Il marito condannato all’ergastolo
I figli di Barbara Cicioni dovranno “pagare” le spese del processo per il padre che ha ucciso la mamma incinta. Roberto Spaccino è destinato al carcere a vita per quell’orrendo crimine consumato nella villetta di Marsciano nel maggio del 2007. I giudici lo hanno anche condannato al risarcimento delle spese di giustizia che si aggirano sui 200 mila euro. Equitalia però ha annunciato di voler iscrivere ipoteca sulla villetta che fu teatro di quel massacro quando Barbara portava in grembo la sua creatura di 8 mesi. La cartella dell’ente di riscossione – secondo quanto spiega il quotidiano La Nazione -,punta alla parte di proprietà che, in una situazione normale, spetta al coniuge vedovo in percentuale di quota rispetto rispetto alla parte spettante ai figli della coppia (due bambini, che all’epoca dei fatti avevano 4 e 8 anni). Eppure nel caso specifico, Spaccino dovrebbe aver perso ogni diritto ad ereditare i beni di proprietà della moglie “per indegnità”, ma il passaggio di proprietà di Spaccino nei confronti dei figli non è mai stato fatto. Ancora una volta lungaggini e burocrazie alla base di questa paradossale situazione.
Quei quattro sesti della villetta (chiusa dai tempi delle indagini dei Ris) potrebbero veramente andare ad Equitalia, generando dunque la situazione per la quale saranno di fatto i figli della vittima a pagare per le spese giudiziarie dell’assassino che li ha resi orfani. Resta solo la via del ricorso verso un procedimento che pare già in fase inoltrata mentre la speranza di un ravvedimento ormai al lumicino.
La notte del 24 maggio del 2007 Barbara Cicioni viene trovata nella sua camera da letto, incinta di otto mesi e mezzo, nella villetta dove abitava insieme al marito, contigua alle abitazioni degli altri famigliari del marito. A dare l’allarme al 118 è la cognata, a trovare la donna il marito, Roberto Spaccino, il quale affermò di essere uscito per fare delle commissioni e di aver successivamente, una volta rientrato, trovato la casa a soqquadro e la moglie senza vita, sul pavimento della camera da letto. Al momento dell’omicidio i due figli della coppia, di otto e quattro anni, dormivano nell’altra stanza.
In un primo momento si pensa che l’omicidio sia avvenuto ad opera di malviventi entrati in casa a scopo di furto (la stessa famiglia ne aveva già subìto uno nei mesi scorsi). Il 29 maggio, poche ore prima del funerale di Barbara, Spaccino viene tratto in arresto e, sulla base delle rilevanze emerse dalle indagini, gli vengono contestati i delitti di omicidio volontario aggravato (futili motivi, crudeltà verso la vittima, rapporto di coniugio) per aver cagionato la morte della moglie Barbara Cicioni, maltrattamenti nei confronti della medesima e dei figli minori, calunnia nei confronti di ignoti, simulazione di reato (simulazione del furto).
Spaccino vuole incontrare i figli. Malgrado i tre gradi di giudizio che vedono Spaccino condannato in via definitiva lui continua a dichiararsi innocente e dal carcere chiede al Tribunale la possibilità di valutare il possibile contatto con i figli che non sente dal giorno del suo arresto, nel 2007. L’udienza è a novembre al tribunale per i minori.
Mamma uccisa, padre all’ergastolo. E i figli rischiano di perdere la casa (La Nazione – 5 novembre 2019)
Equitalia ha un’ipoteca su metà della villetta per pagare le spese di giustizia. I figli di Barbara Cicioni vittime due volte
Dodici anni fa ammazzarono la loro mamma, incinta della sorellina. Un caso choc di femminicidio quando ancora non c’era l’emergenza di donne uccise per mano dei loro uomini. Fu il padre a strangolarla e soffocarla con un cuscino, ha stabilito una sentenza ormai irrevocabile. E nessuno ha mai saputo con certezza se e cosa viderono quella maledetta notte del 25 maggio 2007 i due bambini che all’epoca avevano appena 4 e 8 anni e dormivano nella cameretta accanto.
Oggi che i figli di Barbara Cicioni, ormai di 20 e 16 anni, hanno perso anche lo zio che li aveva in affido e li ha cresciuti a Roma come fossero figli suoi, devono combattere contro una legge che riconosce a Equitalia e allo Stato italiano un’ipoteca di primo grado sui beni del padre che sta scontando l’ergastolo nel carcere di Terni. E la villetta rosa del delitto, nel borgo Spaccino di Compignano, potrebbe andare all’asta giudiziaria, depauperando ancora di più il magro patrimonio dei ragazzi e rendendoli vittime per la terza volta di tanto orrore. La mamma uccisa, il padre in carcere, lo zio stroncato da una malattia e lo Stato che prima deve soddisfare le spese di giustizia: intercettazioni, consulenze e pure gli avvocati che si costituirono parte civile per conto delle associazioni.
I due ragazzi infatti hanno ereditato la metà della villetta dalla madre (Spaccino era già stato dichiarato indegno) mentre il restante 50 per cento di Spaccino è stato prima ipotecato da Equitalia e poi pignorato dal tutore legale dei ragazzi ed è in corso il procedimento esecutivo. Ma la procedura si è fermata per timore. Il tribunale di Spoleto infatti potrebbe mettere all’asta la casa, anche sotto prezzo, e consegnare agli orfani il 50 per cento del ricavato visto che i diritti principali sono in capo allo Stato. E tutto questo avviene, in un silenzio quasi assordante, mentre in Italia si discute delle tutele, anche economiche, per i figli del femminicidio.
Ma tant’è. L’avvocato Valeriano Tascini, difensore dei ragazzi, sta cercando di trovare un accordo extragiudiziale che coinvolga anche i parenti Spaccino visto che la villetta è inserita nel contesto rurale di più abitazioni tutte della famiglia di Compignano. Soldi che servirebbero ai ragazzi per consentirgli di studiare. Spaccino si è sempre dichiarato innocente: nel carcere di Terni, dopo anni trascorsi al lavoro in lavanderia, ora si occupa dei conti correnti dei detenuti e già anni fa si era dichiarato disponibile a intestare la sua parte di casa ai figli. Ma nel 2016 l’ente di riscossione aveva notificato a Spaccino due cartelle esattoriali con l’annuncio dell’iscrizione ipotecaria. Bloccando di fatto anche la possibilità di disporre del bene. Una tragedia dell’assurdo quando ormai si sono spenti i riflettori sul dolore di due bambini. (di Erika Pontini)