Loading

Pietro Di Salvo, 72 anni, pensionato, sposato e padre. Soffoca una donna con cui dice di avere avuto una relazione clandestina e tenta di inscenare un suicidio. Condannato a 14 anni di reclusione con rito abbreviato

Verona, 4 Giugno 2018


Titoli & Articoli

Soffoca l’amante con un laccio e inscena un suicidio, arrestato (l’Unione Sarda – 15 giugno 2018)
È accusato di aver ucciso la compagna soffocandola con un laccio, facendo sembrare il delitto un suicidio. È stato arrestato a Verona Pietro Di Salvo, 72 anni, compagno di Fernanda Paoletti, la 77enne trovata senza vita nella sua abitazione nella città veneta lo scorso 4 giugno. A scoprire il corpo senza vita era stato il figlio della vittima, che non sentiva la donna da alcuni giorni.
Il cadavere della donna era stato trovato con un laccio al collo legato al termosifone. Elemento che aveva insospettito gli inquirenti intervenuti sul posto, portandoli a escludere l’ipotesi che l’anziana si fosse tolta la vita. Dopo dieci giorni d’indagine la Squadra mobile scaligera è risalita a Di Salvo, vicino di casa della 77enne, con cui la donna, divorziata da molti anni, aveva una relazione. I due si incontravano ogni lunedì, all’insaputa del figlio della vittima. Dopo l’arresto, l’uomo ha confessato l’omicidio, raccontando che la coppia avrebbe litigato perché la vittima voleva che la loro relazione diventasse pubblica. A quel punto l’uomo, sposato e con due figli, l’avrebbe aggredita.

Donna uccisa, ora spunta anche la pista economica (l’Arena – 17 giugno 2018)
C’è la verità di Pietro Di Salvo, 72 anni, l’uomo ricoverato in ospedale in stato di fermo con l’accusa di omicidio volontario premeditato. E poi c’è la verità di Fernanda Paoletti, la sua vittima, settantasettenne che proprio da Di Salvo è stata strangolata con una fune, come lui stesso ha confessato. Una verità che lei non può più raccontare e su cui gli inquirenti stanno cercando di far luce. Ciò che è successo all’interno dell’abitazione di via Unità d’Italia, a San Michele Extra, sembra ormai abbastanza chiaro.
Quello su cui, invece, è ancora necessario fare approfondimenti è il movente che ha portato Di Salvo a uccidere Fernanda. Lui ha raccontato agli agenti della Squadra mobile, coordinati dal dirigente Roberto Di Benedetto, di averla uccisa durante un raptus di rabbia, ma non si esclude che i motivi possano essere altri. Soldi, nella fattispecie. L’uomo si troverebbe, infatti, in una situazione economica alquanto precaria. Sul suo capo penderebbero molti debiti, impossibili al momento da stimare, in quanto gli accertamenti patrimoniali richiedono tempi sempre molto lunghi.
MOVENTE ECONOMICO. È possibile, dunque, che sullo sfondo di quest’omicidio non ci sia il rifiuto dell’uomo di rendere pubblica la presunta relazione con Fernanda, ma piuttosto una questione economica? È possibile che Di Salvo, pressato dai debiti, abbia chiesto aiuto alla settantasettenne e che lei, dopo aver concesso vari prestiti, abbia chiesto la restituzione del denaro? O si sia rifiutata di dargliene ancora? Proprio in questa direzione, al momento, si stanno concentrando le indagini del pubblico ministero Beatrice Zanotti, titolare dell’inchiesta. Quel che è certo è che, nel racconto di Di Salvo, alcuni punti non tornano.
FREDDEZZA E LUCIDITÀ. Secondo lo stesso giudice per le indagini preliminari Livia Magri, che ha emesso l’ordinanza cautelare nei confronti di Di Salvo, non si sarebbe trattato di un raptus, come invece raccontato dall’uomo. «Non si può non sottolineare che l’indagato si è dimostrato scaltro, di una lucidità e freddezza non comuni. Freddezza e lucidità coerenti con la premeditazione e invece poco coerenti con un omicidio d’impeto, quale quello indicato dall’indagato». Perché il gip Magri parla di «freddezza e lucidità»? Per due ordini di ragioni. Innanzitutto, la corda. Fernanda è stata ritrovata all’interno della sua abitazione, strangolata con una fune. L’altra metà di quella fune si trovava dentro l’auto di Di Salvo, perquisita dagli inquirenti, e a differenza di quanto da lui dichiarato, la vittima non era solita utilizzarla per stendere i panni. Secondo gli inquirenti, Di Salvo l’ha portata a casa di Fernanda con l’intento preciso di ucciderla. Di qui, la premeditazione.
Il secondo motivo è da ricondursi alla messa in scena del suicidio. Colto da un raptus improvviso, il settantaduenne dopo aver ucciso la donna ed essersi reso conto del suo gesto, avrebbe potuto consegnarsi alla polizia e raccontare quanto accaduto. Invece, subito dopo l’omicidio, ha cercato di inscenare un gesto estremo della donna, legando la fune a un termosifone, per lasciar credere che Fernanda avesse deciso di suicidarsi. «Freddezza e lucidità».
LA RICOSTRUZIONE. L’omicidio è avvenuto la mattina del 4 giugno scorso nell’appartamento di Fernanda in via Unità d’Italia. Nessuno dei vicini ha sentito urla o grida provenire dall’abitazione. Ma con tutta probabilità è lì che la donna è stata uccisa. Per gli esiti dell’autopsia si dovrà attendere, ma al momento non sarebbero stati riscontrati segni di difesa da parte della donna e la morte potrebbe essere compatibile con lo strangolamento. Dopo aver inscenato il suicidio, l’uomo si è allontanato dalla casa, non prima però di aver portato con sé il telefonino della vittima e la sua borsa. Ora proprio quel cellulare potrà essere utile agli inquirenti per capire l’effettiva relazione tra i due e, dunque, il movente del delitto.
REITERAZIONE DEL REATO. L’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Di Salvo è stata emessa per l’accusa, pesante, di omicidio volontario premeditato. Secondo il gip Magri, sussisterebbe infatti l’esigenza di una misura per il rischio di reiterazione del reato. Il settantaduenne, infatti, per sua stessa ammissione avrebbe molte amiche su Facebook, forse come Fernanda: gli inquirenti temono, dunque, che l’uomo, se lasciato libero, potrebbe insidiare altre donne, magari per motivi sempre legati alle necessità economiche. Non resta ora che attendere l’interrogatorio di garanzia: non è ancora stato fissato perché Di Salvo è stato ricoverato in ospedale per problemi al cuore il giorno stesso dell’omicidio. (di Manuela Trevisani)

Anziano uccide l’amante Lui 72 anni, lei ne aveva 77 (l’Arena – 18 giugno 2018)
Strangolata con una fune. E da un capo, quella fune è stata poi legata a un termosifone. Dall’altra, avvolgeva il collo di Fernanda Paoletti, 77 anni, divorziata di prime nozze e vedova delle seconde, ex dipendente comunale, residente in viale Unità d’Italia, a San Michele. Una sceneggiata per un improbabile suicidio. Una corda di quelle tubolari, che di solito hanno alle estremità uncini, corde che tengono chiuse le valigie, oppure fermi i bagagli. Pietro di Salvo, 72 anni, residente a un paio di chilometri di distanza, con quella corda ha voluto porre fine a una relazione, nata un anno fa, circa, sui social. È così che i due si erano conosciuti. Ha commesso l’ennesimo femminicidio: da inizio anno, in Italia sono stati 32. Quasi che ammazzando l’altra parte di una relazione, si potesse cancellare tutto quello che c’è stato, ripartire con un’altra vita o tornare alla propria, annullando l’esistenza di un’altra persona.
Fernanda era una signora giovanile, che amava la vita, i fiori, i colori, faceva volontariato a Casa Serena, accudiva un parente malato. Una donna attiva e brillante. Lunedì 4 giugno, uno dei suoi due figli l’aspettava in centro per bere qualcosa insieme, in attesa che la nuora terminasse il lavoro. Ma Fernanda non si è presentata. Il figlio subito non ci ha dato peso, accadeva spesso; ma poi, passando da via Unità d’Italia, ha visto l’auto della madre posteggiata sotto casa e si è insospettito perchè a quell’ora lei di solito era ad accudire il parente malato. Così l’ha chiamata al cellulare, ma la donna non ha risposto. Ha suonato al campanello di casa, nulla. E allora ha citofonato alla vicina che ha le seconde chiavi dell’appartamento. E quando l’uomo ha aperto la porta ha visto la madre a terra e la corda al collo. Ha tentato di rianimarla, ma non c’era più nulla da fare. Era stata ammazzata almeno sette ore prima.
La chiamata alla polizia, i racconti vagliati per cercare di capire chi avesse ammazzato la donna. Ma a mettere la polizia sulla giusta strada è stata un’amica della vittima, che ha detto che Fernanda da un anno si vedeva con un uomo sposato. E lo incontrava ogni lunedì mattina. La squadra mobile è arrivata subito a Di Salvo. «L’uomo ha tentato di dire di non sapere di cosa stessimo parlando, e s’è contraddetto più volte. Ha poi sostenuto di aver litigato e afferrato quella corda trovata sul tavolo della cucina della donna perchè lei la utilizzava per tenere ferma una porta oppure per stendere», ha detto ieri mattina in conferenza stampa il dirigente della squadra mobile Roberto Di Benedetto, «ma una signora che dava una mano in casa, alla polizia ha detto di non aver mai visto quella fune. Di Salvo ne aveva una uguale nel bagagliaio della sua auto. Lui ha portato in casa quella fune per ammazzare. Ci ha detto che da maggio non si vedeva con la vittima perchè lei avrebbe voluto che la loro relazione fosse alla luce del sole, ma lui non voleva. E lei aveva minacciato di raccontare tutto alla moglie. «Durante quell’ultimo incontro hanno litigato, la donna lo avrebbe offeso. Per quello, accecato dalla rabbia, ha reagito. Ma la corda, portata in casa, racconta un’altra storia e dimostrerebbe la premeditazione». Voleva che lei tacesse per sempre.
Ha nascosto la borsetta della donna a casa di una delle figlie, che è all’estero, e ha lasciato il cellulare della vittima nel portaoggetti lato conducente della sua auto, Prove schiaccianti, che lo avrebbero inchiodato anche se lui non avesse confessato. Ma lo ha fatto, davanti all’evidenza. (di Alessandra Vaccari)

Omicidio Paoletti: l’accusato confessa, ma nega la premeditazione (Verona Sera – 29 giugno 2018)
Avrebbe agito in preda ad un raptus dopo una lite, questa la versione del 72enne accusato dell’omicidio di Fernanda Paoletti, trovata morta il 4 giugno scorso nella propria abitazione.
La 77enne Fernanda Paoletti era stata trovata morta il 4 giugno nella sua abitazione e le indagini della Squadra Mobile avevano portato all’arresto di Pietro Di Salvo, l’uomo 72enne già sposato con il quale aveva una relazione clandestina, ora accusato di omicidio aggravato dalla premeditazione. E proprio su quest’ultimo punto divergono ancora le possibili ricostruzioni circa quanto avvenuto quel fatidico giorno nell’abitazione della vittima.
La versione fornita dall’accusato, ora in ospedale per un problema cardiaco, durante l’interrogatorio del Gip Livia Magri, così come riportato da Camilla Ferro sul quotidiano L’Arena, è infatti di aver sì ucciso Fernanda Paoletti, ma di aver agito in preda ad un raptus dopo una lite. Ricostruzione dell’accaduto, questa, che farebbe dunque venire meno l’ipotesi della premeditazione. Quale fosse il motivo della lite, nelle dichiarazioni di Di Salvo, non è però trapelato e, anzi, non sono state confermate ufficialmente le versioni fin qui emerse. Lo stesso avvocato dell’uomo 72enne, ha sconfessato «le ricostruzioni dei giornali», facendo valere il segreto istruttorio in riferimento ad ogni richiesta di spiegazione circa il movente dell’omicidio.
Secondo l’ipotesi della polizia, invece, l’omicidio sarebbe anzitutto avvenuto dopo un’attenta premeditazione e, a riprova di ciò, vi sarebbe il fatto che l’accusato avrebbe portato da casa la corda di colore verde con la quale poi la vittima è stata strangolata e uccisa. In merito, la difesa del 72enne sarebbe stata quella di sostenere che la corda in realtà appartenesse alla donna, la quale l’avrebbe d’abitudine impiegata per stendere i panni. Ma il ritrovamento di alcuni metri della stessa corda verde nel bagagliaio dell’auto di Di Salvo, rendono ovviamente per l’accusato più complesso sostenere questa posizione. Ad ogni modo, dopo la confessione dell’omicidio da parte dell’accusato, spetterà al prosieguo del processo chiarire tutti i dettagli di una vicenda che quale unico dato certo, presenta finora la brutale uccisione di una donna ricordata da tutti come solare e appassionata alla vita.

Strangolò l’amante e simulò un suicidio a Verona, palermitano condannato a 14 anni (Palermo Today – 29 novembre 2021)
Diventa definitiva la sentenza per Pietro Di Salvo, 75 anni, che a giugno del 2018 confessò di aver ammazzato Fernanda Paoletti con cui aveva un relazione segreta. Sin dal primo grado gli sono state riconosciute le attenuanti generiche e alla Cassazione chiedeva un ulteriore sconto di pena, che i giudici gli hanno negato
Uccise l’amante strangolandola con una corda e mettendo in scena un suicidio, soltanto perché lei avrebbe voluto vivere la loro relazione alla luce del sole ed in maniera più stabile. Per Pietro Di Salvo, palermitano di 75 anni, che si sbarazzò della donna, Fernanda Paoletti, 77 anni, il 4 giugno del 2018 a Verona, adesso la condanna per omicidio è diventata definitiva: dovrà scontare 14 anni di reclusione, così come erano stati inflitti con l’abbreviato dal gup di Verona e poi confermati dalla Corte d’Appello di Venezia.
La settima sezione della Cassazione, presieduta da Enrico Giuseppe Sandrini, ha infatti dichiarato inammissibile il ricorso dell’imputato, al quale erano già state concesse le attenuanti generiche e che chiedeva di ottenere un ulteriore sconto di pena. Di Salvo dovrà anche versare 3 mila euro alla Cassa delle ammende. Di Salvo, sposato e padre di due figli, aveva intrapreso una relazione clandestina con Fernanda Paoletti. Tutto sarebbe filato liscio finché la donna, a maggio del 2018, avrebbe posto l’imputato di fronte ad una scelta: voleva vivere quel rapporto con serenità e non di nascosto. Una richiesta che Di Salvo non aveva alcuna intenzione di assecondare.
Così, come lui stesso aveva poi confessato, il 4 giugno del 2018, aveva incontrato la vittima come sempre nella sua casa di Verona. Quando Fernanda Paoletti aveva ripreso il discorso sul loro rapporto e lo avrebbe anche insultato, Di Salvo aveva deciso di ucciderla, per sbarazzarsi per sempre del problema. L’aveva strangolata con una corda verde e poi legata ad un termosifone, per far credere ad un suicidio. Infine si era allontanato, portando via anche il cellulare della vittima.
A scoprire il cadavere della donna fu il figlio, col quale quello stesso giorno aveva un appuntamento. Non si era presentata e quando lui era passato sotto la sua abitazione aveva notato che la macchina era lì. Questo lo aveva insospettito. E poi la madre non rispondeva al telefono e, soprattutto, non apriva alla porta. Il figlio aveva quindi chiesto le chiavi dell’appartamento a una vicina e, assieme a lei, era entrato, scoprendo il corpo, ormai senza vita, legato per il collo con una corda verde ad un termosifone.
La squadra mobile aveva subito scartato l’ipotesi di un suicidio: la corda era stata legata in un punto troppo basso per provocare la morte e un problema che la vittima aveva alle braccia le avrebbe impedito di fare un nodo in quella posizione. Si era invece pensato ad un omicidio e ad un maldestro tentativo di camuffarlo. La casa era poi in ordine e non sembrava mancare nulla, così si scartò anche l’ipotesi di una rapina finita male. Un’amica di Fernanda Paoletti aveva infine raccontato alla polizia che la donna aveva una relazione segreta con un uomo sposato, Di Salvo, e che i due erano soliti incontrarsi proprio il lunedì mattina. Erano state poi trovate delle tracce di dna compatibili con quelle dell’imputato sulla corda.
Inizialmente l’uomo aveva negato tutto, a cominciare dalla relazione con la vittima, ma poi aveva confessato. E’ stato condannato sin dal primo grado di giudizio a 14 anni, con la concessione delle attenuanti generiche. Ma davanti alla Cassazione ha sostenuto che proprio per via dell’attenuante avrebbe avuto diritto ad una pena ancora più bassa. Ipotesi che i giudici hanno respinto, anche perché Di Salvo “si recò all’appuntamento con la vittima munito di una corda con la quale l’aveva strangolata, approfittò della fiducia della donna che si presentò a lui in condizioni di debole difesa, agì quindi con freddezza e simulò il suicidio sottraendo anche il cellulare che avrebbe permesso di ricostruire il loro antecedente rapporto”, come si legge nella sentenza.


Link