Patrizio Franceschelli, 26 anni, pregiudicato, padre. Getta il figlio di 16 mesi nel Tevere. Condannato a 30 anni di reclusione
Roma, 4 Febbraio 2012
Titoli & Articoli
Getta il figlio di due anni nel Tevere”La madre non me lo faceva vedere” (La Stampa – 4 febbraio 2012)
L’uomo si è allontanato da casa con il bambino dopo un litigio con la compagna, poi il folle gesto
Una tragedia ha squarciato il candore di una Roma surreale coperta dalla neve: in crisi con la moglie, prende il figlio di 16 mesi e lo getta nel Tevere, davanti agli occhi atterriti di numerosi testimoni.
«Non me lo facevano vedere», ha detto il ragazzo ai carabinieri che lo hanno fermato per omicidio volontario aggravato. La coppia era in crisi, entrambi romani, coetanei 26 anni, disoccupati, lui con precedenti penali per droga, da tempo litigavano, e lei pensava alla separazione. In mezzo il figlio di pochi mesi. Da ieri la madre è ricoverata in ospedale per accertamenti sanitari, e il piccolo è rimasto con la nonna. Stamattina, intorno alle 6, il 26enne ha fatto irruzione nella casa dell’anziana, in via degli Orti d’Alibert, sul Lungotevere Gianicolense, e ha strappato il piccolo dal suo lettino. Inutili i tentativi di fermarlo della donna, di altri familiari in casa, dei vicini accorsi alle urla: è scappato via, portando con sè il bambino. Si è allontanato con il bimbo fra le braccia, ed è arrivato vicino Ponte Mazzini, dove lo ha visto un agente della penitenziaria, mentre alcune donne, familiari del piccolo, lo inseguivano gridando.
L’agente ha tentato di avvicinarsi per bloccarlo, ma il 26enne, si è avvicinato al parapetto del ponte, ha sollevato in aria il bambino, che piangeva, e lo ha lanciato di sotto, 20-30 metri. Il piccolo è scomparso in un attimo, inghiottito dalle acque gelide. Il 26enne è scappato a piedi, è stato fermato poco dopo a Testaccio, dai carabinieri del nucleo Radiomobile. I militari lo hanno chiamato per nome, si è voltato, lo hanno raggiunto e ammanettato. Appariva freddo e lucido, silenzioso. Portato in caserma avrebbe confessato, «non me lo facevano vedere». E’ ancora in caserma, sottoposto a fermo per omicidio aggravato.
I sommozzatori stanno cercando il corpo del bambino nel Tevere, ma «è impossibile che sia sopravvissuto». «Una tragedia – dicono a mezza voce i carabinieri che sono intervenuti – che ci ha sconvolto, una follia lucida che ha come squarciato questa Roma così bella coperta di neve. Ora la speranza che resta è trovare il corpo del piccolo, per dargli una sepoltura, almeno una tomba dove la madre possa piangerlo».
Getta il figlio di 16 mesi nel Tevere, arrestato, confessa: «L’ho lanciato io giù» (il Messaggero – 5 febbraio 2012)
Lo ha sollevato in aria e buttato giù da ponte Mazzini. Come si getta via un fagotto o un sacco di immondizia. Come per un gesto senza importanza. Poi accelerando il passo si è allontanato. Sotto la neve che cadeva lenta, lasciandosi alle spalle il Tevere che scorreva gelato.
In questo modo agghiacciante un giovane padre di 26 anni ha ucciso suo figlio Claudio, un bimbetto di soli 16 mesi, ieri mattina. Mancavano pochi minuti alle 6.30, la bufera si stava abbattendo su Roma, già mezza paralizzata. Il dramma si è consumato in un attimo mentre la città dormiva e l’attenzione era rivolta altrove. Alla nevicata che stava imbiancando Roma. Alla giornata che avrebbe complicato la vita ai romani ma fatto la gioia dei bambini felici di giocare a palle di neve, come forse avrebbe fatto anche il piccolo Claudio.
Al volo atroce hanno assistito due testimoni: Francesco Atzeni, un agente di custodia di 43 anni, che non è riuscito a fermare l’uomo, e la zia del bambino. Una giovane donna incinta. Colta da malore, è stata ricoverata in ospedale sotto shock. La mamma del piccolo non sa ancora niente. Da qualche giorno è ricoverata in un ospedale romano per una grave forma di depressione. Aveva affidato suo figlio alla madre e alla sorella raccomandandosi di tenerlo lontano da «lui».
Come spiegare un gesto così terrificante? Una vendetta per punire l’ex convivente che lo aveva lasciato per tornarsene a vivere con la madre a Trastevere? Per quanto assurda, è questa l’ipotesi più probabile. Il padre-assassino si chiama Patrizio Franceschelli, vive a Corviale, nel palazzone lungo un chilometro che i romani chiamano «Serpentone». Si è chiuso nel mutismo. A monosillabi ha solo ammesso «L’ho ucciso, l’ho buttato nel fiume», senza aggiungere altro. Con quel gesto tremendo ha punito anche se stesso. Ha precedenti per spaccio di droga e lesioni. Ma non è in cura al Sert e non ha mai avuto problemi di igiene mentale.
I carabinieri del Gruppo radiomobile, guidati dal tenente colonnello Mauro Conte, lo hanno bloccato venti minuti dopo. Vagava poco lontano, nel rione di Testaccio, in un’ora in cui il sabato mattina di gente ne gira sempre poca. I militari lo hanno chiamato per nome e lui si è voltato. Ora è in stato di fermo, dovrà rispondere di omicidio. La prima chiamata al 112 l’aveva fatta la zia del piccolo Claudio alle 6.18 per segnalare quella che all’inizio sembrava solo una lite banale. Il padre si era presentato in via degli Orti di Alibert urlando e chiedendo che gli venisse ridato Claudio. «É mio figlio, lo rivoglio». La nonna del bimbo ha tentato di opporre resistenza ma l’uomo non si è fermato davanti a niente. È stata aggredita, ha riportato la distorsione a un dito del piede e una sospetta frattura al braccio. I medici dell’ospedale Santo Spirito l’hanno giudicata guaribile in 30 giorni.
Dopo la colluttazione con l’anziana donna, il padre è entrato dentro casa e ha svegliato il figlioletto che stava dormendo portandoselo via per l’ultima passeggiata. La zia, temendo il peggio, li ha seguiti.
A notare padre e figlio sul ponte, sotto la neve, nel freddo, è stato l’agente di polizia penitenziaria. Si stava recando a Regina Coeli, la casa circondariale dove presta servizio nel nucleo Traduzioni. Il padre aveva in braccio il bimbo che piangeva disperato. L’uomo ha fermato l’agente chiedendogli dove poteva trovare una stazione dei carabinieri quando ha intravisto in lontananza la sorella della sua compagna. Senza aspettare la risposta, si è diretto verso la balaustra di ponte Mazzini e ha lanciato suo figlio nel vuoto, urlando una frase indecifrabile. L’agente penitenziario è rimasto agghiacciato, troppo choccato per provare a fermare l’uomo. Ha chiamato il 112 per dare l’allarme. Nei prossimi giorni verrà sentito dal magistrato che si sta occupando del caso.
Il nucleo Subacquei dei carabinieri ha cercato il corpicino per tutto il giorno, immergendosi nelle acque del Tevere. É stata ispezionata un’area scogliosa del fiume sotto cui poteva essersi incagliato ma senza esito. Ci piace pensare che il piccolo Claudio sia volato via.
Il bimbo gettato nel Tevere: continuano le ricerche a Roma (l’Avvenire – 6 febbraio 2012)
Continuano senza sosta le ricerche del piccolo gettato nel Tevere sabato dal padre, un giovane di 26 anni ora in stato di fermo. La nonna del bambino: lui non è pazzo, è un violento, massacrava di botte mia figlia.
“Non è un pazzo, come lui stesso si definisce. È solo un uomo violento e un padre padrone. Massacrava di botte mia figlia. Adesso Claudia è in ospedale, sia per le botte, sia perchè non sta bene”. Parla la nonna di Claudio, il bimbo di 16 mesi gettato ieri nel Tevere dal padre, un giovane di 25 anni, Patrizio Franceschelli.In un’intervista a TgCom24 Rita Maccarelli, madre della ex compagna dell’uomo, racconta le scene cui ha assistito. “Quando è arrivato io non avevo capito la gravità della situazione – dice la nonna di Claudio -, finché non ha afferrato il bambino di peso e lo ha gettato a terra nella neve davanti al portone di casa. Dopodichè è scappato col bambino, io l’ho rincorso ma lui è arrivato sul lungotevere e lo ha appoggiato sul muretto. Poi lo ha spinto giù”. La signora Maccarelli nel tentativo di fermare l’uomo si è anche fatta male a un braccio. Il corpo del bambino non è ancora stato ritrovato.
“Lui (Franceschelli, ndr) aveva perso il padre, non aveva una famiglia. Qui da noi l’aveva trovata – racconta la donna – sapeva che casa nostra era sempre aperta”. Maccarelli ha anche raccontato che, qualche giorno prima, Claudia era tornata a casa spaventata, con la giacca sporca di sangue, e non riusciva a riconoscere le persone, secondo la sintesi dell’intervista fornita da TgCom24. “Adesso ho paura per mia figlia, perchè lui ha scritto un messaggio che dice ‘Con Claudio e Claudia la fine del mondò. Non voglio che lui esca dal carcere, ho paura”. Continuano intanto le ricerche del bimbo, ma al momento del piccolo non c’è traccia. Il padre reoconfesso del piccolo, un 26enne con precedenti per droga, è in stato di fermo. Avrebbe agito in preda a un raptus dopo un litigio con la ex moglie a casa della zia. È stata proprio quest’ultima a chiamare il 112 chiedendo l’intervento dei carabinieri. Ma quando i militari sono arrivati sul posto il 26enne era già uscito di casa portando via il bambino.
Condannato a 30 anni di carcere il padre che gettò il figlio nel Tevere (la Repubblica – 4 dicembre 2012)
Giudizio abbreviato davanti al giudice Adele Rando. Patrizio Franceschelli lo scorso 4 febbraio lanciò Claudio di 16 mesi nel fiume. Una perizia ha stabilito che al momento era capace di intendere e volere. Il legale della madre del piccolo: “Una grande vittoria”
Condannato a 30 anni di reclusione Patrizio Franceschelli, il papà che gettò nel Tevere il figlio Claudio, di sedici mesi dopo aver discusso con la moglie. Lo ha deciso il gup Adele Rando a conclusione del procedimento in giudizio abbreviato.
Il pm Attilio Pisani aveva chiesto per l’uomo la stessa pena. Nei suoi confronti l’accusa era di omicidio volontario aggravato dal vincolo di parentela. La decisione è stata accolta con un applauso dai familiari e dall’associazione ‘Gli amici di Claudio’ che attendevano la sentenza all’esterno dell’aula del gup. Il Tribunale nella scorsa udienza non aveva riconosciuto all’imputato le aggravanti dei futili motivi e dell’efferatezza. Il giudice nella scorsa udienza aveva accolto la richiesta del Comune di Roma di costituirsi parte civile. E una perizia aveva stabilito che Patrizio Franceschelli al momento del fatto era capace di intendere e volere.
Il corpo del bimbo era riaffiorato dal fiume a fine marzo, a Fiumicino, dopo essere stato avvistato da due giovani. Franceschelli, che non era in aula al momento della sentenza, dopo il drammatico gesto era stato arrestato dai carabinieri.
“E’ stata una grande vittoria. Il giudice ha riconosciuto che l’imputato ha agito per motivi abietti e futili e per crudeltà”. E’ il commento che Germano Paolini, legale della mamma del piccolo Claudio, alla sentenza. Sono state accolte le richieste del pm Attilio Pisani – ha spiegato il penalista – e sono state rigettate le richieste di ulteriori perizie psichiatriche”.
Bimbo gettato nel Tevere, 30 anni. «E so’ pure pochi» (il Tempo – 27 ottobre 2013)
«Addio infame, ti hanno dato trenta anni e so’ pure pochi»: i parenti del piccolo Claudio, gettato dal padre nelle acque gelate del Tevere in una notte di febbraio del 2011, hanno aspettato compostamente che il presidente della corte d’Assise d’appello finisse di leggere la sentenza che confermava la condanna per Fabrizio Franceschelli, prima di far esplodere il loro disprezzo verso l’imputato. È servita poco più di un’ora di camera di consiglio per confermare quanto stabilito dai giudici di primo grado: Franceschelli era capace di capire la portata di quanto fatto. Si chiude così il secondo grado di giudizio di una vicenda dai tratti surreali che è finita col costare la vita ad un bimbo di appena 16 mesi, gettato nel vuoto dall’uomo che avrebbe dovuto prendersi cura di lui. Una storia amara, che durante la fase dibattimentale, ha portato in aula uno spaccato fatto di violenze fisiche e morali su una donna inerme – la madre del piccolo Claudio, (assistita dall’avvocato Germano Paolini, mentre Alberto Biasciucci assisteva la zia del piccolo) che è scoppiato in lacrime alla lettura della sentenza – e sull’orlo dell’anoressia.
I giudici non hanno creduto alla tesi difensiva che puntava ad una rimodulazione della pena per l’imputato che, durante la nevicata che bloccò Roma per giorni, fece irruzione a casa della madre della compagna per strappare dal sonno il piccolo, trascinandolo in strada per chilometri, prima di lanciarlo dalla balaustra di ponte Mazzini sotto lo sguardo impotente della nonna del bimbo e di un agente della polizia penitenziaria che si dirigeva verso Trastevere. Cala il sipario quindi anche sulla paradossale ipotesi, sostenuta dall’imputato nelle ore immediatamente successive all’omicidio, che Franceschelli stesso fosse stato indotto al gesto da una voce che lo avrebbe costretto al gesto per «garantire la felicità dell’umanità».
Gettò il figlio di 16 mesi nel Tevere, la Cassazione conferma la condanna a 30 anni (il Messaggero – 5 dicembre 2014)
Era il giorno della straordinaria nevicata su Roma, il 4 febbraio del 2012. Dopo aver litigato con la compagna, ricoverata in ospedale, andò a casa della suocera e portò via Claudio, sedici mesi appena. Vagò per la città, col bimbo al seguito, fino al Lungotevere all’altezza di ponte Mazzini e da lì getto il figlio nel fiume. Il corpo sarebbe riemerso quasi due mesi dopo a Fiumicino. La Cassazione ha confermato questa sera per Patrizio Franceschelli la condanna a 30 anni per l’omicidio del bambino, una pena inflitta con rito abbreviato e caricata dall’aggravante del vincolo di parentela.
Con il passaggio in giudicato della sentenza emessa dalla corte d’assise d’appello di Roma, Franceschelli dovrà anche risarcire le parti civili, la mamma e la nonna del piccolo, cui i giudici hanno assegnato 200mila euro, e il Comune di Roma che si era costituito in giudizio. La difesa ha provato a sostenere in tutto il processo il vizio di mente, ma la perizia del tribunale accertò che in quel momento Patrizio era lucido e cosciente. Una conclusione che i giudici della prima sezione penale della Cassazione, specializzata in omicidio, presieduta da Maria Cristina Siotta, hanno condiviso. Per uguale richiesta si era pronunciato anche il sostituto procuratore generale Massimo Galli, nella sua requisitoria questo pomeriggio.
All’alba del 4 febbraio, Franceschelli, 27 anni, con precedenti per droga, entrò a casa della famiglia della compagna dopo l’ennesima lite con lei, ricoverata in ospedale. Il bambino era diventato un peso e motivo della discordia per via dell’affidamento. Se lui non l’avesse avuto, nemmeno la madre avrebbe dovuto. Dopo il tragico fatto vagò per la città per alcuni minuti, poi venne fermato dai carabinieri ai quali ammise poche confuse parole: «L’ho gettato io nel Tevere».