Loading

Paolo Cocconi, 50 anni, impiegato Barilla, padre separato. Strangola la ex fidanzata e si suicida

Parma, 27 Gennaio 2017


Titoli & Articoli

Parma, omicidio suicidio: dipendente Barilla uccide la donna e si toglie la vita (Blasting News – 28 gennaio 2017)
Omicidio-suicidio a Parma nel quartiere San Lazzaro. Ultimo caso di femminicidio a Parma, lei strangolata, lui imbottito di psicofarmaci, i soccorritori li trovano già cadaveri
Il cinquantenne Paolo Cocconi e Arianna Rivara di 43 anni sono stati rinvenuti morti in una casa signorile di Parma in via Ghibertini al numero 6, nella prima periferia della cittadina, in una zona conosciuta come San Lazzaro. Entrambi erano dipendenti di una grande multinazionale emiliana ed erano ex compagni, infatti la scorsa estate avevano interrotto la loro relazione. La vicenda ha avuto luogo ieri notte verso le 23, l’allarme è stato dato da alcuni vicini di casa, in particolare dalla dirimpettaia del Cocconi, anche lei al terzo piano della palazzina, allarmata dalle forti grida provenienti dall’appartamento. Polizia e vigili del fuoco sono accorsi il prima possibile, hanno forzato la porta d’ingresso per poter avere accesso all’appartamento ed hanno trovato i due cadaveri distesi sul pavimento, oramai senza vita. Nella casa non sono state rinvenute armi di alcun genere, le prime ipotesi parlano di un omicidio/suicidio, l’uomo ha strangolato la donna e poi si è imbottito di psicofarmaci che lo hanno portato alla morte. Al mattino presto in via Gibertini sono giunte sia la madre che la sorella di Arianna Rivara.
La notizia della tragedia si è presto diffusa tra conoscenti ed amici, suscitando incredulità e dolore, anche tra i colleghi della Barilla: sia Arianna Rivara sia Paolo Cocconi erano infatti dipendenti del gruppo.
Un tentativo di riappacificazione finito in femminicidio. Da quanto si è appreso, i due ex compagni stavano cercando di riallacciare i rapporti, infatti nella casa è stata trovata una scatolina contenente un anello. Non è dato di sapere con certezza quali fossero le intenzioni dei due ex fidanzati ma sembra che avessero davvero intenzione di fare pace e di recuperare il loro rapporto interrotto. Proprio per questo probabilmente si erano dati appuntamento nell’appartamento del Cocconi in via Ghibertini. I due si erano frequentati per diverso tempo, spiegano i vicini di casa, e per un certo periodo avevano anche convissuto in quell’appartamento. Lui era separato da molto tempo dall’ex moglie, con cui aveva avuto una figlia oggi adulta. Le forze dell’ordine stanno svolgendo le indagini del caso e nel frattempo l’appartamento è stato posto sotto sequestro.
Non si sa se l’uomo fosse un violento, quel che è certo è che Arianna Rivara, qualche mese fa, in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne aveva postato sul suo profilo facebook appoggiando la campagna a favore di chi e vittima di violenza. I femminicidi sembrano non avere mai fine e anche il 2017 è iniziato all’insegna di queste tragedie famigliari che vedono coinvolte le donne come vittime.

 

I genitori di Paolo: «Non era un mostro». Sequestrato il computer (Gazzetta di Parma – 29 gennaio 2017)
«Torna con me o mi uccido» Arianna e quel tragico ricatto
Il giorno dopo tutto è finito, parla solo la disperazione di chi è rimasto. E le domande. E i moniti delle donne in prima linea contro una strage inarrestabile: «Non accettate l’ultimo appuntamento. Guardatevi alle spalle».
Già, l’ultimo appuntamento di Arianna Rivara, giovedì sera nell’appartamento di via Gibertini, a casa dell’uomo che non si rassegnava a lasciarla andare – ha cancellato per sempre la sua vita. Morto anche lui: Paolo Cocconi non ha retto al peso di una colpa assoluta, si è ucciso ingurgitando una manciata di psicofarmaci e chissà cos’altro.
Perché Arianna era andata da lui quella sera? Aveva avuto un sentore – anche minimo – che quell’ex così insistente, così «ingombrante» nella sua incapacità di voltare pagina – potesse di colpo cambiare maschera, mostrare quella deforme e terrificante dell’assassino?
E’ la domanda su cui ci si arrovella sempre, dopo. Da quel che trapela, Paolo Cocconi negli ultimi mesi soffriva di una forte depressione. Depressione che si era acuita dopo che la sua relazione con Arianna era arrivata al capolinea. L’estate scorsa si erano lasciati. Ma era lui che non voleva arrendersi, e riattaccava la stessa litania: torna con me.
Le minacce? Anche quelle sarebbero arrivate – confidano alcune voci vicine all’impiegata 43enne che amava i viaggi, l’arte e la vita all’aria aperta – ma non quelle frasi che in una donna accendono un campanello d’allarme, fanno alzare lo scudo. E ti spingono a chiedere aiuto, quando c’è ancora tempo. Il genere di minaccia sarebbe stato un altro, molto più subdolo. «Se non torni con me mi uccido». Anche questa frase rientra in un copione scritto da un’infinità di uomini: anche quella una forma di violenza, più o meno consapevole, che fa leva sul senso di colpa, sull’istinto di protezione delle donne spiazzate da tanta fragilità.
Probabilmente lei non pensava che potesse essere pericoloso accettare quell’ultimo appuntamento. Arianna sarebbe andata in via Gibertini «per chiarire», mettere un punto definitivo a quella storia ormai finita.
Con tutt’altre aspettative Cocconi aveva aspettato quella serata, organizzata nei dettagli. La cena, la sorpresa dell’anello prezioso in regalo. Il finale tragico ormai è scritto. Cos’abbia fatto scattare la furia omicida si può solo immaginare. Forse proprio quel dono. Un «no grazie», non lo posso accettare, che fa crollare di colpo il castello immaginato. Il solitario è stato trovato sopra una mensola: Arianna non l’aveva messo al dito.
Chi indaga deve mettere insieme altri tasselli di questo nuovo orrore. I carabinieri sono arrivati anche negli uffici della Barilla dove Arianna e Paolo lavoravano. Si sono portati via il pc di lui. Avrebbero trovato alcune lettere di Cocconi indirizzate ad Arianna, mai spedite.
L’autopsia dovrà svelare molto della drammatica sequenza finale. Com’è morta Arianna? Ancora la risposta non c’è. Le striature sul collo hanno subito fatto pensare che sia stata strangolata. Aveva anche una ferita alla testa, e questo apre altri scenari possibili: Cocconi l’ha colpita – e tramortita – mentre lei cercava disperatamente di difendersi? Oppure si è ferita mentre cadeva a terra, sopraffatta dalla morsa di quelle braccia muscolose?
Arianna ha urlato: quel grido «indescrivibile» ha fatto sobbalzare le giovani dirimpettaie di Cocconi, le tre studentesse che hanno dato l’allarme. Un urlo impossibile da dimenticare, come le parole della mamma di Arianna («io lo sapevo che mia figlia è qui dentro, è venuta qui per farlo ragionare»), accorsa quella notte in via Gibertini. I familiari di Arianna adesso preferiscono il silenzio. «Forse un domani, quando sapremo meglio…», dice un parente. Tra le amiche di lei è lo sgomento che prevale: «Non esiste nessuna comprensione – ha scritto Rossella – solo un gran buio assoluto… Solo tanti se, e tanti ma… un dolore lacerante, che attanaglia l’animo».

I genitori di Paolo: «Non era un mostro» «Nostro figlio non era un mostro. Stava male e tentava di curarsi. Penso che qualcosa nella sua testa sia andato in tilt. Ci dispiace immensamente per Arianna e per la sua famiglia. Loro hanno perso una figlia, noi conviviamo con un dolore doppio. Abbiamo perso lui e siamo costretti a convivere con il suo gesto». Parla il papà di Paolo Cocconi, circondato dall’abbraccio della moglie, eppure lontano.
Testa e cuore sono rimasti là. Nell’angolo più buio di via Gibertini, dove si è consumato un dramma «che nessuno riuscirà mai a capire fino in fondo». Anche ieri mattina l’ottantenne ha fatto tappa in questo spicchio del Lubiana macchiato dalla tragedia. «Sono andato a prendere il pane, ho sentito voci di sconosciuti, ma forse volevo solo capire. Svegliarmi da quest’incubo». Come venerdì pomeriggio, quando insieme alla nipote – la figlia 25enne di Cocconi – ha sfilato di fronte all’appartamento della tragedia. «Non ci siamo nemmeno fermati, temevamo l’agguato delle telecamere. Era solo per cercare di comprendere».
I coniugi Cocconi decidono di accogliere un cronista nell’intima casa nemmeno tanto distante da via Gibertini «solo per spiegarvi chi era davvero Paolo. Perché non vengano dette sciocchezze». E l’80enne, umanità di altri tempi, ricostruisce l’ultimo giorno. «Giovedì sera aveva appuntamento con Arianna per una cena a casa. Era venuto da noi verso le 17,30 e ci aveva mostrato quell’anello».
Il brillante, forse l’ultimo asso da giocarsi per tentare di ricomporre una relazione andata in fumo. «Ce l’aveva mostrato dicendo: “spero che lo accetti, se no lo regalerò a mia figlia”. Poi ha preso con sé la torta ordinata in pasticceria, che io ero passato a ritirare, e non l’abbiamo più visto. Era da un po’ che le aveva fatto una proposta di fidanzamento, ma lei aveva temporeggiato. Non so se c’entrasse qualcosa con l’ultima rottura».
Brandelli di ricordi inzuppati di sensi di colpa e d’amore: «L’ha fatta grossa, sicuramente non ci sono giustificazioni. Ma era mio figlio». Parla circondato dall’affetto della moglie, della nipote («se non ci fosse lei, non avremmo più nessuno») e dall’ex moglie di Paolo. Rimasta un punto di riferimento in tutti questi anni, nonostante la separazione. «Da due mesi era caduto nell’abisso della depressione ed era in cura da uno psichiatra – chiosa ancora il padre, segnato dalla notte in bianco e dalla cruda disperazione -. Lui e Arianna stavano insieme da quasi vent’anni».
Fra tramonti e schiarite, «avevano convissuto due volte: prima a casa di lei a Casaltone, poi in via Gibertini». Oggi teatro della tragedia, ma proprietà della famiglia Cocconi da una vita: «Era l’appartamento dov’è andato a vivere dopo essersi sposato a vent’anni, dov’è nata la sua bambina». Ma su una questione non ci sono dubbi: «Il nostro Paolo è sempre stato un timido». Probabilmente dietro quella scorza dura e i muscoli cesellati era fragile. «Era caduto in depressione dopo la rottura del rapporto con Arianna, ma era molto riservato. Non conosciamo i motivi dell’ultima definitiva separazione. Ci risulta che già a maggio si fossero lasciati, ma non abbiamo nessuna certezza».
Il male che scava dentro però l’aveva ingoiato negli ultimi mesi. E tre giorni fa i suoi fantasmi sono diventati mostri ingovernabili. E si torna a parlare della 43enne che irradiava luce col sorriso: «L’abbiamo vista poche volte, ma ci sembrava una bella persona. Riservata ma molto legata a Paolo». Tanto che «sapeva perfettamente ed era preoccupata per il suo malessere. Era a conoscenza della terapia dallo psichiatra e ne avevamo parlato insieme» prende la parola l’ex moglie del 50enne. E aggiunge: «Il nostro è stato un amore sbocciato tra i banchi di scuola, al Melloni. Ci siamo innamorati e sposati giovanissimi. Poi è nata nostra figlia e ci siamo separati dopo pochi anni».
La domanda anche se dolorosa sgorga spontanea e la risposta è ancor più schietta: «Paolo non era un violento. Non ha mai alzato una mano contro di me o contro nessun altro». Dopo il diploma, il 50enne aveva subito trovato lavoro in Posta e successivamente per un’altra azienda. Prima di approdare in Barilla nei primi anni ’90. «Era un uomo dolce anche se davvero molto timido. Amava lo sci, le moto sportive e il calcio. Era un tifoso bianconero, ma giocava anche».

E soprattutto scriveva Paolo. Quasi volesse compensare una chiusura di carattere che solo con pochi intimi riusciva ad attenuare: «Credo che per lui fosse più semplice mettere nero su bianco pensieri ed emozioni. Per questo scriveva lunghe lettere e mail».

Il ritratto che affiora è molto diverso da quel che è emerso venerdì. Quando Cocconi è apparso un figlio smarrito. In lotta con l’ex compagna e con se stesso. Inseguito dai fantasmi interiori. Schiacciato da un presente sfuggente e un futuro inarrivabile.


Link