Mustafa Zeeshan, 38 anni, pizzaiolo. Massacra di botte e infine soffoca la moglie incinta all’ottavo mese. Ergastolo con isolamento diurno
Versciaco (Bolzano), 30 Gennaio 2020
Titoli & Articoli
Uccise la moglie incinta, la procura di Bolzano chiede l’ergastolo: «Si fece un selfie prima di chiamare aiuto» (Corriere del Veneto – 8 marzo 2023)
Mustafa Zeeshan ha soffocato Fatima. La pm Rielli: «Montisci, il consulente mentì in aula: ora va indagato»
«Vi chiedo di ridare voce a Fatima, a cui è stata ingiustamente spezzata la vita, e di condannare Mustafa Zeeshan alla pena massima prevista nel nostro ordinamento, perché ha commesso uno dei crimini più atroci che possano essere commessi. Ha ucciso la moglie incinta all’ottavo mese, prima massacrandola di botte e poi soffocandola, e con lei la bambina che sarebbe nata da lì a poche settimane. Lasciando entrambe abbandonate sul letto per 10-15 ore. E facendosi pure un selfie prima di chiamare i soccorritori».
La richiesta di ergastolo. La richiesta della pm Sara Rielli, al termine della requisitoria, è la più dura di tutte: per Zeeshan, accusato di l’omicidio volontario aggravato e l’interruzione di gravidanza, è stato chiesto l’ergastolo,con isolamento diurno di nove mesi. Non solo: Rielli ha pure chiesto la trasmissione degli atti in procura contestando, al consulente della difesa, Massimo Montisci, i reati di frode in processo penale e depistaggio. Davanti alla Corte d’Assise, Zeeshan, 40 anni, è rimasto immobile durante tutta la requisitoria della pm. All’apparenza impassibile, anche quando è stata formulata la richiesta della pena più dura.
Quattro le aggravanti contestate: il fatto che l’omicidio sia stato commesso (volontariamente) contro la moglie, l’abuso di relazione domestica, il fatto che Fatima fosse in stato di gravidanza e la minorata difesa (legata proprio alla gravidanza). Accanto a lui i suoi legali, Giulia Bruno, Federico Fava e Amanda Cheneri, la cui arringa è in programma venerdì.
«Oppressione e sopraffazione». Una fila dietro il fratello di Fatima, Hamza, che si è costituito parte civile al processo per la morte della giovane donna, nella notte tra il 29 e il 30 gennaio 2020. «Ci troviamo davanti a un classico caso di femminicidio — ha esordito la pm —, espressione della volontà di possesso e dominio di un marito sulla moglie. Trovare una spiegazione è tanto più difficile in casi come questo, in cui la vicenda si è svolta tra le mura domestiche, lontano da occhi estranei». E dove Fatima era stata relegata dal marito, chiusa a chiave nella casa che condivideva con lui a Versciaco. Fatima, 28 anni, era arrivata in Italia il 5 febbraio 2019, ma la «storia di oppressione e sopraffazione», come l’ha definita Rielli nella sua ricostruzione, è iniziata molto prima. E cioè a quando, subito dopo il matrimonio combinato, nel 2018 (prima del quale i due sposi non si conoscevano), era andata a vivere a casa dei suoceri. Dopodiché Fatima, che studiava e lavorava come maestra d’asilo, si era trasferita a casa dei suoceri, mentre il neo sposo era tornato a Versciaco per lavorare nella pizzeria nella quale era impiegato.
Soccorsi chiamati dopo 10-15 ore. «Le è stato impedito di continuare a studiare e lavorare — riprende Rielli —, e dai genitori, che vivevano a 40 chilometri di distanza, poteva andare solo una volta ogni due mesi. Non vedeva l’ora di trasferirsi in Italia, dove sognava di emanciparsi». E invece, arrivata a Versciaco, era stata relegata in casa, «in balia di un uomo che disponeva di lei a piacimento. L’aveva fatta conoscere ai colleghi come fosse un trofeo, dopodiché di lei non aveva più parlato». Le giornate le trascorreva facendo le pulizie e telefonando ai parenti a casa, nel timore di non restare incinta ed essere rispedita in Pakistan.
Gli unici contatti erano con una vicina, ma solo per pochi minuti e solo quando i rispettivi mariti erano assenti, fino a maggio 2019, quando l’amica si era trasferita. «Nello stesso momento in cui Fatima ha scoperto di essere incinta, è rimasta completamente sola». Poile tensioni di Zeeshan con i genitori, la malattia della madre, e a gennaio l’efferato omicidio. «Zeeshan ha preso Fatima a calci e pugni, come dimostrano le lesioni riscontrate sul collo del piede — continua Rielli —. Sulle mani di Fatima, invece, non è stata trovata alcuna ferita da difesa. È stata picchiata mentre lui era in piedi e poi soffocata, per un lasso di tempo compreso fra i 3 e i 5 minuti. Lui non ha chiamato i soccorsi se non dopo 10-15 ore. E solo perché i colleghi, che l’hanno chiamato non vedendolo arrivare al lavoro, lo hanno esortato a farlo».
Il caso Montisci. Rielli ha poi ripercorso le tappe principali delle indagini, con l’incidente probatorio sulla capacità di intendere e di volere di Zeeshan (accertata da tre perizie — del giudice, della Procura e della difesa — prima del colpo di scena finale, con la consulente Anna Palleschi che ha sostenuto il contrario), e del processo, con le perizie sui presunti disturbi del sonno dell’uomo (esclusi sia quello Rbd, che comporta movimenti involontari, sia le parasonnie ipotizzate dalla difesa) e i sei mesi di telefonate dal carcere intercettate. In più occasioni, l’uomo ha parlato alla sorella della possibilità di simularsi «psicopatico» per ottenere uno sconto di pena, «dimostrando di essere perfettamente cosciente del lavoro e dell’orientamento dei consulenti — afferma Rielli —. Anche i due tentati suicidi sono stati solo dimostrativi. Non ha mai mostrato pentimento e ha tenuto un comportamento menzognero per tutta la durata del procedimento, cambiando continuamente versione quando gli si chiedeva di ricostruire le fasi dell’omicidio».
Oltre alla massima pena per Zeeshan, Rielli ha pure chiesto di trasmettere gli atti alla Procura, perché indaghi sul comportamento del consulente della difesa Montisci. Il medico legale ha portato in aula le immagini di una donna di 74 anni con delle lesioni al volto, paragonandole a quelle riscontrate sul corpo di Fatima (concentrate sul volto e sul lato sinistro del torace) e tracciando un parallelo con il disturbo del sonno Rbd che la difesa aveva ipotizzato per Zeeshan. «Ma senza indicarne l’eziologia», puntualizza Rielli: Montisci le avrebbe ricondotte al disturbo del sonno Rbd del quale avrebbe sofferto il marito, poi accusato di omicidio, mentre in realtà di disturbo del sonno soffriva la donna, che si sarebbe così solo ferita, sbattendo sullo spigolo della scrivania.
Femminicidio di Versciaco, Zeeshan condannato all’ergastolo (Rai News – 11 marzo 2023)
Fatima, la 28enne moglie incinta del pizzaiolo pachistano, era stata picchiata e soffocata in Alta Val Pusteria nel 2020
La Corte di assise di primo grado di Bolzano ha condannato all’ergastolo il quarantenne pachistano Mustafa Zeeshan per l’uccisione della moglie Fatima, di 28 anni. La giovane, incinta di otto mesi, era stata picchiata e soffocata nel suo letto a Versciaco, in Alta Val Pusteria, nella notte del 30 gennaio 2020. La pena prevede anche l‘isolamento diurno per sei mesi, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’interdizione legale durante l’esecuzione della pena. A titolo di provvisionale, Zeeshan è chiamato a pagare 50.000 euro e a rifondere le spese del procedimento alla parte civile. La determinazione dei danni patrimoniali e non per la parte civile sono rimessi al giudice civile.
Nelle motivazioni della sentenza che ha condannato il marito all’ergastolo emerge l’insofferenza della donna per la situazione in cui si trovava. La Corte d’assise ha negato le attenuanti
Il diario con le parole italiane interrotto dopo un primo periodo, le visite dalla ginecologa sempre accompagnata dal marito, l’appartamento tenuto con grande cura. «Si può ritenere e affermare che la vita di coppia fosse in qualche modo arida, con mustafa impegnato al massimo nel lavoro e fatima essenzialmente limitata a casa in attesa del marito e delle poche occasioni in cui con lui usciva per esempio per fare la spesa». È questa la sintesi contenuta nelle motivazioni della sentenza con la quale la Corte d’assise ha condannato Mustafa Zeeshan all’ergastolo con isolamento diurno per sei mesi per il femminicidio pluriaggravato di Fatima, la donna incinta all’ottavo mese con cui il 41enne originario del Pakistan era sposato. Nella loro casa di Versciaco nella notte tra il 29 e il 30 gennaio del 2020. La sentenza di condanna risale allo scorso 11 marzo, mentre le motivazioni sono quelle depositate lo scorso fine settimana
«Zeeshan era lucido» La Corte ha escluso ogni patologia che potesse in qualche modo incidere sulla capacità di intendere e di volere di Zeeshan con il conseguente rigetto di un supplemento di perizia avanzato dalla difesa. Le motivazioni della sentenza riferiscono che «l’aspetto del movente è rimasto sullo sfondo nel senso che non è possibile affermare con assoluta certezza quali siano le intime ragioni che abbiano condotto l’imputato a compiere un gesto che ha tragicamente posto fine alla vita di Fatima e della nascitura e a rovinare certamente in modo definitico anche la vita dell’imputato». Una considerazione che in ogni caso, prosegue la Corte presieduta dal giudice Carlo Busato, «non è assolutamente necessaria ai fini della decisione». Invece hanno svolto un ruolo chiave le risultanze degli aspetti scientifici.
La vita di Fatima a Versciaco. Sono le testimonianze di conoscenti e familiari e le condizioni in cui la notte del femminicidio gli inquirenti trovarono l’appartamento della coppia – in ordine, ben tenuto e curato – a restituire uno scorcio della vita di Fatima e Mustafa Zeeshan nel piccolo paese della val Pusteria. Si sarebbero conosciuti il giorno del matrimonio in Pakistan. All’inizio del 2019 Fatima raggiunse il marito in Italia, a Versciaco, dove in sostanza ebbe inizio la loro vera vita matrimoniale. Gli elementi che testimoniano «nella prima parte della vita in comune» un accudimento di Zeeshan nei confronti della moglie sono il diario in cui venivano annotate le parole italiane da imparare e il fatto che il marito accompagnasse la moglie alle visite ginecologiche. Al contempo però emerge dall’interruzione del diario «come poi nella quotidianità sia certamente subentrato un elemento di povertà affettiva», dice la sentenza. La ginecologa ha riferito «un’impressione di tristezza e mestizia nel comportamento di Fatima», che durante le visite «interloquiva solo con il marito».
Gli unici contatti di Fatima, che trascorreva la maggior parte del tempo a casa, erano con i familiari propri e con quelli del marito, via social. Dalle conversazioni con i parenti della donna «emergeva in modo molto larvato una situazione di insofferenza per il tipo di vita che in quel momento Fatima stava conducendo ma al tempo stesso di consapevolezza del proprio futuro ruolo di madre», così la Corte.
L’atteggiamento di Zeeshan. La sentenza include le ragioni che hanno portato la Corte a negare all’imputato le circostanze attenuanti generiche, dopo aver confermato tutte le aggravanti – dall’«abuso di relazioni domestiche e coabitazione» a quelle legate alla gravidanza e alla corporatura esile di Fatima.
Nel corso delle indagini, Zeeshan ha mantenuto un comportamento collaborativo. Ma quando si è trattato di ricostruire le precise circostanze dell’uccisione, avrebbe tenuto secondo le considerazioni del professor Eraldo Mancioppi, incaricato della perizia, «un atteggiamento oppositivo, di chiusura, di mutamento di versioni, di negazione di circostanze evidenti».
«L’accorta lettura dei dialoghi intercettati tra l’imputato e i familiari in più occasioni», prosegue la Corte, «permette di cogliere che l’imputato esprima non tanto una situazione di lutto quanto una accettazione rassegnata di una volontà di Allah che aveva posto fine alla vita di Fatima. In altri termini si respira un atteggiamento di fatalismo che per quanto culturalmente diverso non è interpretabile come espressione di lutto». Un fatalismo tale da fare affermare all’imputato in una intercettazione «che la situazione è questa e quindi lui si sposerà un’altra volta», così è riferito ancora nelle motivazioni. (S.M.)
Uccise la moglie incinta: “La trattava come una schiava” (Today – 14 giugno 2023)
Nelle motivazioni, i giudici riconoscono una vita schiacciata dalla presenza del marito
Si può ritenere e affermare che la vita di coppia fosse in qualche modo arida, con Mustafa impegnato al massimo nel lavoro e Fatima essenzialmente limitata a casa in attesa del marito e delle poche occasioni in cui con lui usciva per esempio per fare la spesa”. Si legge questo nelle motivazioni della sentenza con la quale la Corte d’assise di Trento ha condannato Mustafa Zeeshan all’ergastolo con isolamento diurno per sei mesi per il femminicidio della moglie Fatima, la donna incinta all’ottavo mese che il 41enne originario del Pakistan aveva massacrato a calci e pugni nella loro casa di Versciaco (Bolzano) nella notte tra il 29 e il 30 gennaio del 2020.
Nelle motivazioni, i giudici riconoscono una vita schiacciata dalla presenza del marito per la donna, arrivata in Italia nel 2019. Da quella volta per lei, che aveva 28 anni, l’esistenza era diventata a totale disposizione del marito.
Gli elementi che lo testimoniano sono il diario in cui venivano annotate le parole italiane da imparare e il fatto che il marito accompagnasse la moglie alle visite ginecologiche. Al contempo però emerge dall’interruzione del diario “come poi nella quotidianità sia certamente subentrato un elemento di povertà affettiva”, dice la sentenza. Un altra testimonianza è quella della ginecologa, che parlato di un’impressione di tristezza e mestizia nel comportamento di Fatima, che durante le visite interloquiva solo con il marito”. Insomma la 28enne, prima di essere uccisa, stava già vivendo un incubo fatto di reclusione in casa, lontana dagli affetti e dalla famiglia, sia la sua che quella dell’uomo. Una vita divisa fra l’insofferenza e il dovere dettato dal ruolo di moglie e madre. Prima della fine per mano dell’uomo.
Uccise la moglie incinta di 8 mesi a Bolzano, Corte d’Appello conferma l’ergastolo per Mustafa Zeeshan (Fan Page – 5 marzo 2024)
Confermata la condanna all’ergastolo per Mustafa Zeeshan, il 43enne che nel 2020 uccise la moglie 28enne Fatima Zeeshan, incinta di 8 mesi. La giovane viveva da tempo segregata in casa ed era vittima di maltrattamenti costanti.
È stato condannato all’ergastolo Mustafa Zeeshan, il 43enne che uccise la moglie Fatima incinta di 8 mesi. La giovane, 28 anni, venne prima presa a calci e poi soffocata nell’appartamento di Versciaco dove si era trasferita con il marito. Il delitto avvenne nella notte tra il 29 e il 30 gennaio 2020 a Bolzano. Accolta, dunque, la richiesta della pm, Donatella Marchesini, per la massima pena, mentre sono state respinte le richieste della difesa: gli avvocati Federico Fava e Amanda Cheneri avevano chiesto il rinnovo della perizia sul loro assistito, sia psichiatrica che quella sui presunti disturbi del sonno, asserendo nuovamente che fosse incapace di intendere e di volere al momento dei fatti. I legali del pizzaiolo 43enne avevano inoltre chiesto di considerare le attenuati generiche prevalenti rispetto alle aggravanti. Le motivazioni della sentenza sono attese ora tra 90 giorni.
Secondo l’accusa, la moglie 28ennedi Zeeshan fu picchiata ripetutamente, poi soffocata e infine lasciata per 10 ore agonizzante sul letto di casa. La donna era inoltre costretta da tempo a vivere segregata in casa in una situazione di abuso e violenza domestica che andava avanti nonostante la 28enne fosse in stato interessante. La giovane, infatti, non poteva uscire da sola neppure per fare la spesa. Zeeshan, inoltre, non si occupava di lei e non acquistava neppure cibo a sufficienza per la moglie in gravidanza.
Dopo il femminicidio, l’uomo avrebbe fornito più volte versioni contrastanti senza mai mostrare pentimento per la barbarità commessa. Per l’uomo era stata quindi chiesto l’ergastolo per omicidio volontario aggravato e nove mesi di isolamento diurno. La difesa del 43enne ha puntato subito all’infermità mentale dell’imputato, smentita però dai periti dell’accusa e dalle perizie effettuate per conto del giudice. (di Gabriella Mazzeo)