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Mohamed Safi, 25 anni, operaio, sposato e padre. Uccide a coltellate l’amante. Condannato a 15 anni che poi non si sa come diventano 12, dopo poco è già fuori per buona condotta e lavora nel bar del tribunale dove prepara caffè ai magistrati. Mentre è ufficialmente ancora detenuto, durante l’orario del permesso di lavoro, 11 anni dopo la condanna per femminicidio, tenta di uccidere la nuova amante

Pradalonga (Bergamo), 9 Giugno 2008

Non voleva ucciderla, ma ha perso la testa e si è ritrovato in mano un coltello già insanguinato. Condannato a 15 anni in primo grado.


Titoli & Articoli

Repubblica
La giovane è stata assassinata in un appartamento – Autore del gesto, un tunisino di 25 anni, sposato e con due figli
L’omicida: “Ho ucciso il mio amore” I due si conoscevano da tempo. L’uomo ha confessato
Accoltellata dal suo amante dopo una lite. E’ morta così Alessandra Mainolfi, una ragazza di 21 anni, uccisa questa mattina in un appartamento nel centro di Bergamo. L’assassino – Mohamed Safi, un giovane di 25 anni di origine tunisina, sposato con una connazionale e padre di due figli – si è autodenunciato alla polizia subito dopo: “Ho ucciso il mio amore”.
Il delitto si è consumato nell’appartamento di Safi, un monolocale al primo piano di una palazzina in via Moroni 37, nella tarda mattinata.
Prima c’è stata una violenta lite fra i due, poi, con un lungo coltello da cucina, l’uomo ha colpito quattro volte Alessandra Mainolfi: due fendenti all’addome, uno al volto e uno alle mani. Poco prima delle undici la chiamata alle forze dell’ordine. I soccorritori hanno trovato la giovane agonizzante, distesa su una poltrona. I medici del 118 hanno provato a rianimarla per mezz’ora, ma per lei non c’è stato niente da fare.
La vittima era originaria di Campobasso ma viveva da anni a Pradalonga, un piccolo centro in provincia di Bergamo, con la madre e la sorella. Da un mese a questa parte frequentava assiduamente Safi, una relazione osteggiata dalla famiglia di lei. Negli ultimi tempi la giovane avrebbe anche manifestato l’intenzione di andare a vivere con lui.
L’assassino è un operaio, incensurato, in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno. Viveva da tempo da solo nel monolocale dove è avvenuta la tragedia, dopo che i rapporti con la moglie si erano deteriorati e lei lo aveva abbandonato portandosi via i due figli. Alcuni inquilini del palazzo hanno riferito di avere visto la moglie di recente. Forse l’uomo voleva mettere fine al rapporto con la giovane bergamasca e provare a ricominciare con la moglie. Gli inquirenti, coordinati dal pm Ilaria Perinu, stanno tentando di fare luce sul movente dell’omicidio.

Torino, aveva ucciso la ex, tenta di sgozzare la compagna: «Prima ti ammazzo, poi mi ammazzo io» (Corriere della Sera – 19 ottobre 2019)
«Prima ti ammazzo, e poi mi ammazzo io». Dopo aver afferrato una bottiglia di vetro e aver sfigurato il volto dell’ex amante, Mohamed Safi ha tentato di sgozzarla. Non ci è riuscito soltanto perché lei, riversa a terra in una pozza di sangue, aveva una sciarpa spessa. «Non riusciva a togliermela, solo per questo ho evitato il peggio», ha detto la donna, tramortita, alla polizia, intervenuta a salvarla in corso Giulio Cesare, a Torino, verso la mezzanotte di venerdì.
Bello e sempre sorridente
Quel che Concetta, torinese di 43 anni, aveva scoperto poco prima dell’ultima — e quasi fatale — lite con Safi, è che quell’uomo, bello e sempre sorridente, non era soltanto un tunisino di 36 anni che faceva il cameriere, ma un assassino. Una persona violenta, che nel 2008 a Bergamo aveva ucciso una fanciulla di 21 anni di cui s’era invaghito, Alessandra Mainolfi. Safi era stato condannato a 12 anni. In virtù della «buona condotta», nel 2015 aveva iniziato a lavorare nel panificio del carcere di Alessandria. Nel maggio del 2017, il grande salto: un lavoro vero, fuori dalla galera, per la cooperativa Pausa café. Al Palagiustizia Safi lo conoscevano tutti, fino al giugno scorso. Faceva i caffè a magistrati, giudici, avvocati. Dopo era stato trasferito in un bar di Grugliasco.
«L’ho conosciuto ad aprile, su una chat», ha raccontato Concetta agli agenti del commissariato Barriera di Milano. «Non mi aveva detto di essere un detenuto, e nemmeno di aver ammazzato una donna, sono stata io a scoprirlo», ha rivelato la donna, separata e con due figli. «Mi ero insospettita — ha detto la 43enne — perché non poteva mai fermarsi a dormire con me, così navigando su Internet, ho scoperto il suo passato». Quando Concetta annuncia a Safi che la loro relazione è finita, lui non si rassegna.
L’ultimo saluto
Venerdì sera, pare dopo il lavoro, Safi vede Concetta in un bar di via Sansovino. Dovrebbe essere il famoso «ultimo saluto». E finisce in tragedia, come ogni volta, perché Safi non lascia andare Concetta, ma la segue sul tram. «Sono scesa in via Lauro Rossi e lui era dietro di me, in via Verres mi ha aggredita e mi sono ritrovata faccia a terra», è il ricordo di lei. Concetta urla, attira i passanti e la volante che in quel momento passa di lì. L’arresto del tunisino è immediato. La vittima viene operata dall’equipe di chirurgia plastica all’ospedale Maria Vittoria: ha il nervo facciale distrutto. Anche Safi resta ferito, nel colpire la donna, e sbatte la testa cadendo a terra. Verrà piantonato al repartino delle Molinette. «Era un lavoratore modello, un ottimo barista», afferma Marco Ferrero, presidente della cooperativa di recupero sociale Pausa café. Safi ora risponde di tentato omicidio aggravato.
In carcere da 11 anni
Era in carcere da 11 anni: gli mancava un anno per finire di scontare la pena per l’omicidio di Alessandra Mainolfi. La sorella Valentina vive ancora a Pradalunga, vicino a Bergamo. Ieri ha preferito non esprimersi. «Soffre ancora», spiega una parente. Il tunisino adesso non rischia solo la condanna per avere aggredito Concetta. Ieri il Guardasigilli, Alfonso Bonafede, ha sollecitato l’ispettorato del ministero della Giustizia a compiere accertamenti riguardo all’utilizzo dei permessi. Non è chiaro infatti come Safi potesse incontrare la sua amante, visto che, nell’orario in cui era fuori dal carcere — tra le 15 e le 2 — era tenuto a lavorare.

«Prima ti ammazzo, e poi mi ammazzo io»: aveva ucciso la ex, tenta di sgozzare la compagna (HeadTopics – 20 ottobre 2019)
Detenuto alle Vallette per femminicidio, Mohamed Safi era in premesso per lavorare. La donna si è salvata perché aveva una sciarpa spessa. Dopo aver afferrato una bottiglia di vetro e aver sfigurato il volto dell’ex amante, Mohamed Safi ha tentato di sgozzarla. Non ci è riuscito soltanto perché lei, riversa a terra in una pozza di sangue, aveva una sciarpa spessa.
«Non riusciva a togliermela, solo per questo ho evitato il peggio», ha detto la donna, tramortita, alla polizia, intervenuta a salvarla in corso Giulio Cesare, a Torino, verso la mezzanotte di venerdì. Quel che Concetta, torinese di 43 anni, aveva scoperto poco prima dell’ultima — e quasi fatale — lite con Safi, è che quell’uomo, bello e sempre sorridente, non era soltanto un tunisino di 36 anni che faceva il cameriere, ma un assassino. Una persona violenta, che nel 2008 a Bergamo aveva ucciso una fanciulla di 21 anni di cui s’era invaghito, Alessandra Mainolfi. Safi era stato condannato a 12 anni.
In virtù della «buona condotta», nel 2015 aveva iniziato a lavorare nel panificio del carcere di Alessandria. Nel maggio del 2017, il grande salto: un lavoro vero, fuori dalla galera, per la cooperativa Pausa café.

 

Tentò di uccidere la compagna, aveva già ucciso la ex: “Questa condanna è una vittoria mia e di Alessandra” (La Stampa – 25 marzo 2022)
La corte d’appello di Torino ha confermato la pena a 16 anni per Mohamed Safi
«Questa vittoria non è solo mia, ma anche di Alessandra che lui ha ucciso nel 2008». Francesca è una donna coraggiosa. Sopravvissuta al fidanzato che ha cercato di tagliarle la gola perché voleva lasciarlo, per quattro anni ha dato battaglia nelle aule di Palazzo di Giustizia. E oggi la Corte d’appello ha confermato i 16 anni di carcere inflitti in primo grado a Mohamed Safi, il trentanovenne che l’aveva aggredita nell’ottobre 2019.
Francesca, rappresentata dalle avvocate Anna Ronfani e Vittoria Canavera, ha combattuto. Per sé stessa, certo. Ma anche per Alessandra Mainolfi, uccisa a 21 anni da Mohamed nel 2008 a Bergamo. «È la nostra vittoria», dice. Sua e di Alessandra. Entrambe vittime di un uomo che le considerava degli oggetti: «Sei mia e sarai mia per sempre».
Alessandra Mainolfi voleva lasciarlo, lui l’ha pugnalata al petto.
Finito in carcere, al Lorusso e Cutugno di Torino stava scontando una pena di 15 anni. Beneficiava della modalità di lavoro esterno prevista dall’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario: prima come aiuto pasticciere da Gaudenti, locale nel centro città, poi come cameriere ai tavoli del bar di Palazzo di Giustizia, e infine al bistrot di Grugliasco.
Mohamed e Francesca si conoscono in chat nell’estate di quattro anni fa. Messaggiano, iniziano a vedersi. Si frequentano per sei mesi, ma lui ha comportamenti e atteggiamenti sospetti. «Mi dava sempre appuntamento negli stessi posti, alla stessa ora – aveva spiegato Francesca alla polizia – Cambiare programma era impensabile. Così come organizzare una gita fuori città, un pranzo o una serata al cinema». Perché? Mohamed era detenuto per aver ammazzato la fidanzata. Questo, però, a Francesca non l’aveva mai detto. Lei si insospettisce. Per scoprire il suo segreto, le basta una breve ricerca su Google. A quel punto decide di lasciarlo. Lui cerca di ucciderla.
La sera tra il 18 e il 19 ottobre 2019 si erano dati appuntamento fuori dal bistrot di Grugliasco. Salgono su un tram della linea 4, lei gli spiega che vuole chiudere la relazione. Arrivati a Barriera di Milano, la donna si dirige verso casa. Mohamed la getta a terra e si avventa su di lei con una bottiglia di vetro. Cerca di sgozzarla, davanti ai passanti. Quella ferita sul viso di Francesca è ancora lì. Nemmeno la giustizia può cancellarla. «Sono viva solo perché alcuni passanti non si sono girati dall’altra parte, ma mi hanno salvata quando stava per finirmi. Grazie a loro sono ancora qui, posso andare avanti e posso continuare a raccontare ciò che è successo. Per me e per Alessandra. Io sono viva, lei no. Ma ha vinto lo stesso attraverso di me».


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