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Mihail Savciuc, 19 anni, studente. Uccide l’ex fidanzata incinta colpendola in testa con una pietra e strangolandola, le ruba i gioielli (che va a rivendere) e getta il corpo in un fosso, coprendolo di foglie. La mattina dopo va a scuola come se nulla fosse. Condannato a 30 anni con rito abbreviato

Formeniga, Conegliano (Treviso), 19 Marzo 2017


Titoli & Articoli

“Sono incinta”. E lui la ammazza a colpi di pietra (il Giornale – 24 marzo 2017)
Il giovane ha gettato l’ex fidanzatina nel fosso coprendola con le foglie. Poi ha confessato
L’ha lasciata lì, nascosta vicino a un fosso, sotto un cumulo di foglie secche, dopo averla colpita a sassate e strangolata. Questa la fine per Irina Bacal, 20 anni, moldava ma residente in Italia, a Conegliano nel trevigiano, dal 2012. E questa la fine per il suo bambino che teneva in grembo da sei mesi. Ad ammazzarli è stato lo stesso padre del nascituro: moldavo, 19 anni, Mihail Savciuc, studente al quarto anno in una scuola media superiore, residente a Godega di Sant’ Urbano e ora arrestato con l’accusa di omicidio. L’omicidio risale a domenica 19 marzo a Manzana, una località tra Conegliano e Vittorio Veneto. Dopo ore di interrogatorio, nella notte tra mercoledì e giovedì, ha confessato di aver ucciso durante una lite la sua ex Irina.
La loro storia era finita da sei mesi e Mihail aveva un’altra fidanzata. Di Irina e di quel bambino non voleva assolutamente sentir parlare e voleva che lei abortisse. La giovane invece avrebbe voluto tenerlo quel bambino.
Così domenica sera si sono incontrati per un chiarimento in un boschetto, ma il chiarimento si è trasformato in lite ed è degenerato. Lui l’ha colpita alla testa e al volto più volte con un sasso e poi l’ha strangolata. Poi ha occultato il corpo vicino al fosso e l’ha seppellito sotto una montagna di foglie. L’ha derubata dei gioielli che indossava, dei documenti e ha fatto sparire borsa e cellulare che non sono ancora stati trovati. La madre di Irina si era subito rivolta alle forze dell’ordine per denunciarne la scomparsa. Le indagini sono scattate da parte degli investigatori della squadra mobile di Treviso, guidati dal dirigente Claudio Di Paola.
Gli investigatori si sono concentrati sul giovane. Hanno intuito che in qualche modo poteva essersi disfatto dei gioielli e hanno cominciato a monitorare i «ComproOro» della zona. Infatti il moldavo aveva venduto i gioielli a un «ComproOro» e questo ha permesso agli investigatori di incastrarlo. Quando si vendono degli oggetti in questi esercizi, il commerciante è tenuto a registrarli, fotografarli e prendere le generalità di chi li vende. Gli investigatori sono riusciti a risalire ai gioielli di Irina grazie a delle foto che lei aveva postato su Facebook. Gli oggetti corrispondevano a quelli venduti al commerciante dell’esercizio che ha subito fornito le generalità del moldavo. Le forze dell’ordine sono andate a prenderselo all’uscita da scuola. È stato il ragazzo poi, dopo ore di interrogatorio, a confessare davanti al pm e ad accompagnare gli investigatori sul luogo del delitto dove aveva nascosto il cadavere. Ora lui si trova rinchiuso nel carcere di Santa Bona a Treviso. È stato arrestato per omicidio, ma sarà il pubblico ministero a decidere se possa profilarsi l’ipotesi di duplice omicidio.

 

 

Mihail: «L’ho fatto perchè Irina voleva dire a tutti del bambino» (Corriere del Veneto – 24 marzo 2017)
Cappellino da rapper calato sulla testa, sguardo sprezzante e duro, anche dopo ore di interrogatorio serrato
«Non vuoi tuo figlio? Allora lo dirò alla tua nuova ragazza e ai tuoi genitori che uomo da niente sei». Queste parole, pronunciate con la rabbia di una donna innamorata e respinta, sono state la molla che ha fatto scattare nella testa di Mihail Savciuc l’istinto omicida. Lo ha ammesso il 19enne, con la felpa col cappuccio, il cappellino da rapper calato sulla testa e lo sguardo sprezzante e duro, anche dopo ore di interrogatorio serrato. Mihail, con i suoi 19 anni di ragazzino che non è ancora un uomo, è apparso così agli investigatori che mercoledì lo hanno torchiato fino a notte fonda.
Ma lui ha reagito tirando su un muro di risposte vaghe, depistaggi e freddezza. «Irina non la vedo da settimane», ha assicurato, e subito dopo: «Sì l’ho vista, ma poi lei se n’è andata via con qualcun altro». Anche di fronte all’evidenza di quei gioielli venduti al «Compro Oro»: «Me li aveva dati lei perché li vendessi». Un reticolo di bugie e contraddizioni che il giovane ha tenuto in piedi per ore. Fino a quando in commissariato a Conegliano è arrivata sua sorella. Quando lui l’ha vista, la durezza di quelle ore si è sciolta in un pianto, lei lo ha accarezzato e rassicurato e solo allora il 19enne ha confessato: «L’ho uccisa perché mi aveva minacciato di raccontare a tutti del bambino». Era ormai tarda sera quando la sorella, di qualche anno più grande, ha raggiunto Mihail in commissariato. Sono nati entrambi in Moldavia, ma ormai da molti anni vivono in Italia, a Godega di Sant’Urbano (Treviso). Una famiglia normale, almeno fino a ieri. Lei gli è sempre stata accanto, facendogli quasi da mamma, e lo ha fatto anche nel momento nel quale le hanno detto che il suo «fratellino » era sospettato di essere implicato nella sparizione di una ragazza, la sua ex fidanzata Irina Bacal. E che due giorni prima Mihail era andato a vendere i gioielli della giovane che dalla domenica non dava più notizie di sé. La sorella allora si è avvicinata al 19enne, lo ha abbracciato e gli ha parlato piano. Solo allora sul viso di Mihail sono scese le lacrime, le uniche versate dal ragazzo. Con le sue carezze e le sue parole dolci, la giovane è riuscita ad aprire un varco in quel muro e a convincerlo a confessare: «Stai tranquillo Mihail, tutto si risolve, ma devi parlare, devi raccontare quel che è successo».
E lui alla fine ha ceduto e ha parlato. Prima agli investigatori del commissariato e della Squadra mobile di Treviso e poi, assistito dall’avvocato Daniele Panico, al sostituto procuratore Mara Giovanna De Donà. Con loro è salito lungo via Manzana a Formeniga, dove i vigili del fuoco hanno illuminato a giorno i vigneti deserti e silenziosi. Mihail li ha condotti dentro la vegetazione, fino al punto in cui aveva lasciato il corpo della sua ex fidanzata. Mostrandolo agli inquirenti è tornato a essere freddo, quasi distaccato. Anche nel racconto nel quale ha spiegato che Irina non ne voleva sapere di abortire e che da settimane discutevano di questo. Lui quel bambino non lo voleva, aveva un’altra storia d’amore, la scuola, il divertimento. Un futuro ancora da costruire. Quel bambino era un ostacolo. Ma Irina lo voleva a tutti i costi e rivoleva anche lui. Così, domenica sera sono andati in quel luogo isolato di Formeniga, per parlare. Hanno discusso, lui ha provato a convincerla, lei si è mostrata determinata e di fronte al rifiuto di Mihail lo ha minacciato di raccontare a tutti di quel bambino che stava arrivando.
Una minaccia insostenibile. Se avesse parlato, tutti avrebbero saputo che aspettava un figlio da lei. I suoi genitori e la sua nuova ragazza. Così rischiava di perdere tutto e di doversi assumere una responsabilità che non voleva. Per questo l’ha uccisa. L’autopsia, che sarà eseguita nelle prossime ore, stabilirà quanto brutale è stata la violenza usata per stroncare la vita di Irina e del suo piccolo. «E’ stato un omicidio d’impeto — spiega il suo avvocato — nella sua mente c’è stato un blackout totale che ha portato alla tragedia. Un delitto del quale il ragazzo si è chiaramente pentito». Quel che ha fatto dopo, come ha vissuto i giorni seguenti però, non mostrano pentimento. Mihail ha ripreso la sua vita come se nulla fosse successo. I suoi amici dicono che, in classe o al bar, era sempre lo stesso. Il ragazzo col cappello da rapper, la fidanzatina e un terribile segreto nascosto sotto un tappeto di foglie e rovi.

 

Il Dna conferma: il figlio di Irina era stato concepito con il killer (la Tribuna di Treviso – 20 aprile 2017)
I sommozzatori hanno ripescato dal Monticano la borsa della ragazza gettata via dall’assassino Si aggrava ancora la posizione di Mihail Savciuc che rischia l’accusa di aver premeditato il delitto
L’esame del Dna ha confermato che il figlio che Irina Bacal portava in grembo era di Mihail Savciuc, il ragazzo ora in carcere a Pordenone, già reo confesso del delitto dell’ex fidanzata. È quanto è emerso dall’esame autoptico eseguito dal dottor Alberto Furlanetto che ha stabilito che la giovane era incinta almeno da sei mesi. Sono solamente alcuni dei particolari che stanno emergendo in questi giorni dalle indagini sulla morte di Irina, il cui cadavere venne trovato il 23 marzo scorso.
Ma è proprio la confessione di Mihail a vacillare di fronte ai nuovi elementi in mano alla Procura che sta valutando se contestare anche la premeditazione dell’omicidio. Prima di tutto i sommozzatori hanno trovato la borsa che Irina aveva con sè quella notte. Ed è stata trovata esattamente dove Mihail aveva detto di averla gettata, nel Monticano. Ma dall’analisi del ritrovamento è emersa una prima discrepanza con il racconto del giovane: questi aveva affermato che il cellulare di Irina era nella borsa. Invece l’aveva prima preso e poi aveva richiuso la borsetta della ragazza. E sempre riguardo allo smartphone di Irina è emerso un dettaglio che potrebbe inguaiare ulteriormente Mihail. Dall’analisi del contenuto gli inquirenti hanno capito che il giovane aveva provato a cancellare l’intera memoria per riportarlo allo stato di quando era stato acquistato da Irina. Ovviamente il tentativo non è riuscito e gli uomini della Scientifica sono stati in grado di accedere ai messaggi e all’intera memoria del dispositivo.
E al vaglio della Scientifica ci sono anche i vestiti indossati da Mihail nel corso di quella notte. Da diverse immagini delle telecamere è emerso che il giovane si è cambiato dopo l’incontro con Irina. Per questo motivo, ipotizzano gli inquirenti, non sarebbero state trovate tracce di sangue sugli abiti che erano indossati dal ragazzo quella sera. E sul sangue si stanno concentrando le indagini sull’auto di Mihail. Il luminol ha infatti reagito sia nel tappetino a lato passeggero, che nel bagagliaio della Renault Clio. Dovranno essere eseguiti ulteriori esami di laboratorio, per verificare a chi appartengano quelle tracce ematiche. Gli esperti della polizia scientifica sono andati alla ricerca di macchie di sangue, invisibili ad occhio nudo. Savciuc, reo confesso dell’omicidio della sua ex, Irina Bacal, 20 anni, con quell’auto aveva portato la ragazza nel boschetto di via Manzana a Formeniga. Lì, a quanto ha riferito, si è consumato il delitto e si è poi il giovane si è sbarazzato del cadavere.
Per stabilire a chi appartengono quei residui e se siano riconducibili al delitto, dovranno essere recuperate eventuali tracce di Dna. «Se fossero di Irina si tratterebbe di un ulteriore elemento a supporto delle tesi della Procura», aveva commentato l’avvocato Andrea Piccoli, il legale della famiglia della vittima, con cui collabora lo Studio 3A di Mestre. La Clio era nuova, acquistata lo scorso settembre, e Mihail la teneva come un gioiello. È stata ripulita dopo l’omicidio? Oppure quelle tracce non c’entrano nulla? Il luminol può reagire anche con sangue animale, oltre che con candeggina. «Mi ha sostituito con un’auto», era stato uno dei pensieri di Irina, quando nello stesso periodo la coppia si era lasciata, dopo tre anni di conoscenza e oltre un anno e mezzo di fidanzamento. Per gli accertamenti informatici sugli smartphone dei due giovani e quattro chiavette usb, il perito nominato dalla Procura avrà 45 giorni di tempo per esprimersi. In particolare il Samsung J5 di Irina, che è stato formattato dopo l’assassinio, richiederà una particolare attenzione per cercare di recuperare i dati. Intanto nei giorni scorsi Mihail Savciuc è stato trasferito nel carcere di Pordenone, per evitare tensioni a Santa Bona, dove dagli altri detenuti non era ben vista la sua presenza. (Giorgio Barbieri)

 

«Il suo ricorso ha fatto perdere tempo alla Giustizia»: multa al killer di Irina (il Gazzettino – 6 settembre 2018)
È inammissibile il ricorso in Cassazione contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, disposta nei confronti di Mihail Savciuc per l’assassinio dell’ex fidanzata Irina Bacal, incinta del loro figlio. E scatta anche una multa. A quasi 12 mesi dall’udienza davanti alla Suprema Corte, sono state pubblicate le motivazioni per cui è stata considerata corretta la valutazione del Tribunale di Venezia nel ritenere adeguata la misura a carico del 20enne di Godega di Sant’Urbano, condannato in primo grado a trent’anni con l’accusa di aver ucciso la 21enne di Conegliano, il 19 marzo 2017 a Formeniga. Per questo il killer dovrà pagare non solo le spese processuali, ma anche duemila euro alla Cassa delle Ammende: l’impugnazione della decisione lagunare, in sostanza, avrebbe solo fatto perdere tempo alla giustizia.
 LA VICENDA
Il 7 aprile dello scorso anno il Riesame di Venezia aveva rigettato la richiesta avanzata da Savciuc contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa il precedente 24 marzo dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Treviso, in occasione della convalida del fermo. Nella circostanza erano state riepilogate le tappe delle indagini, condotte dalla sezione investigativa del Commissariato e culminate nella confessione del ragazzo: vista l’intenzione di Irina di rivelare la gravidanza alla madre e alla nuova fidanzata di lui, Mihail l’aveva colpita con un sasso, le aveva stretto le mani al collo per due o tre minuti, aveva occultato il cadavere, aveva gettato nel Monticano la pietra e la borsetta della vittima, dopodiché aveva cercato di vendere i suoi monili ad un compro-oro, dove però era stato fermato dalla polizia giudiziaria. A fronte di questo quadro, il gip Bruno Casciarri aveva reputato sussistenti le esigenze cautelari, «per l’estrema gravità del fatto, la giovane età della vittima, il suo stato di avanzata gravidanza, il preesistente rapporto affettivo, i motivi e le modalità efferate, la personalità incline alla violenza».
LE IMPUGNAZIONI
Assistito dall’avvocato Andrea Zambon, il detenuto aveva impugnato l’ordinanza, sostenendo che fosse altamente improbabile l’eventualità di una reiterazione del reato, «maturato in un contesto specifico, correlato al suo rifiuto di accettare la gravidanza impostagli dalla vittima». Ma come riassume la Cassazione, i giudici lagunari avevano definito «illogica» questa tesi, visto che «il ricorso alla violenza nei termini sproporzionati e gratuiti emersi» in quel femminicidio «rendeva imprevedibile il compimento di atti violenti ovvero di atti aggressivi per la persona da parte dell’indagato, che aveva agito con intenso dolo omicidiario, persistendo nella condotta volta alla soppressione della vittima pur potendo recedere», dimostrando così «elevatissima pericolosità» e «totale assenza di autocontrollo».
A quel punto era scattata la seconda impugnazione, questa volta davanti alla Suprema Corte, sostenendo che non era stata data adeguata attenzione «alle circostanze personali proprie e della vittima che lo hanno indotto al gesto delittuoso, alle minacce proferite dalla vittima, alla fattiva collaborazione resa nelle indagini e al pentimento espresso»,
LE MOTIVAZIONI
Secondo gli “ermellini”, però, il ricorso «è inammissibile» in quanto le censure sono «manifestamente infondate ovvero non consentite». In particolare i giudici hanno sentenziato che il ricorrente «non ha assolto all’onere di evidenziare gli elementi idonei a dimostrare la insussistenza di esigenze cautelari e la loro tutelabilità con misura diversa». Di conseguenza resta valido il convincimento del Tribunale del Riesame, esposto «in modo logicamente coerente con le emergenze concrete e con adeguata valutazione critica» delle argomentazioni difensive, per cui Savciuc già un anno e mezzo fa doveva rimanere in carcere per il «pericolo di reiterazione criminosa», tale da escludere la «possibilità di adozione della misura della detenzione domiciliare». Attualmente il 20enne è in attesa del giudizio di Appello.

 

Uccise l’ex fidanzata incinta, il killer di Irina condannato a trent’anni (Treviso Today – 20 novembre 2018)
Processo di appello presso l’aula bunker di Mestre: per Mihail Savciuc, 20 anni, reo confesso, è stata confermata la sentenza di primo grado. Il crimine eisale alla sera del 19 marzo 2017: l’omicida, dopo averla tramortita colpendola con una grossa pietra, strangolò la ragazza
Sì. Trent’anni a quell’assassino. Giustizia è stata fatta per mia figlia e per mio nipote». E’ stata accolta come una liberazione da Galia, la mamma di Irina Bacal, la lettura della sentenza con cui oggi, 20 novembre 2018, in aula bunker a Mestre, la Corte d’Assise d’Appello di Venezia ha confermato in toto la condanna inflitta in primo grado a Mihail Savciuc, il carnefice reo confesso della figlia e del bimbo anche suo che portava in grembo. Dunque, nessuno sconto di pena.
Il crimine è stato perpetrato la sera del 19 marzo 2017: l’omicida, oggi ventenne, dopo averla tramortita colpendola con una grossa pietra, ha strangolato l’ex fidanzata, appena vent’anni, residente a Conegliano, che non aveva voluto interrompere la gravidanza, e poi ne ha occultato il cadavere in un boschetto nel Vittoriese.
L’imputato, che aveva chiesto il rito abbreviato, in primo grado era stato condannato dal Tribunale di Treviso a trent’anni di reclusione, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Il giudice, dott.ssa Piera De Stefani, aveva anche accolto la richiesta del legale di parte civile, l’Avv. Andrea Piccoli, per il risarcimento dei danni da liquidarsi in sede civile, accordando una provvisionale già esecutiva di 200mila euro a favore della mamma Galia e di 80mila euro per la sorella Cristina, costituitesi appunto parte civile.


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