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Luciano Rinaldi, 81 anni, camionista in pensione, padre. Taglia la gola alla moglie e tenta il suicidio. Considerato non pericoloso, viene inviato in una struttura dove tenta di strangolare l’educatrice. Incarcerato

Livorno, 16 Maggio 2014


Titoli & Articoli

Anziano uccide moglie e tenta suicidio (Ansa – 16 maggio 2014)
A Livorno, il figlio dà l’allarme ai carabinieri
Luciano Rinaldi, 81 anni, malato di Alzheimer, stamani verso le 9.30, ha ucciso la moglie Cosetta Barsotti di 80 anni tagliandole la gola con un coltello da cucina. E’ accaduto a Livorno. La donna e’ stata ritrovata in una pozza di sangue, mentre il marito, ferito gravemente, aveva ancora il coltello in una mano e stava cercando di uccidersi, se non fosse stato fermato dall’arrivo del figlio che tutte le mattine accompagnava la badante dai genitori. Dopo l’allarme, sul posto i carabinieri.

La moglie trovata senza vita nel letto, il marito ai suoi piedi. In cucina la colazione pronta
Il male che gli era nato in testa si chiama Alzheimer e si è mangiato un giorno alla volta 60 anni di vita coniugale, l’affetto dei figli, di un esercito di nipoti e di tutti i ricordi buoni. Il mostro che ha agito ieri mattina in un appartamento al quarto piano dello stabile al numero 37 di via Guarducci, strada di confine tra il quartiere Stazione e via Garibaldi, è cresciuto nonostante le cure e le richieste di ricovero da parte dei familiari, fino a trasformare Luciano Rinaldi, 85 anni, ex camionista e magazziniere, in un assassino; capace di uccidere la moglie Cosetta Barsotti, 81, tagliandole la gola con un coltello di quelli che si usano per il pane, mentre era ancora al letto a dormire.
«Dopo averla quasi decapitata – spiegano i carabinieri che conducono le indagini – è andato in cucina, ha cambiato coltello, è tornato in camera da letto, e ha cercato di togliersi la vita pugnalandosi al petto e al braccio». Prima però ha staccato la luce e chiuso la porta d’ingresso con il chiavistello come se volesse restare solo dentro al buoi delle propria mente.
A scoprire il delitto, intorno alle 9,45, uno dei due figli della coppia che aveva accompagnato a casa dei genitori la badante che da qualche tempo aiuta i due anziani per i lavori domestici. «Sono salita come faccio tutte le mattine – ha raccontato la donna agli investigatori – ma quando ho suonato non mi ha aperto nessuno. Ho provato da sola, ma la porta era chiusa dall’interno. Allora non avendo le chiavi dell’appartamento ho chiamato Valter, il figlio della coppia e l’ho avvisato».
A quell’ora, di solito, la signora Cosetta doveva essere già pronta per uscire di casa e andare fuori a fare la spesa, nonostante l’età e gli acciacchi che le rendevano impegnativi tutti gli spostamenti. «Camminava male ma non voleva arrendersi», racconta una vicina. Invece della madre con le buste della spesa vuote, quando il primogenito, 57 anni, è salito per le scale e ha aperto la porta si è trovato davanti l’inferno. «Ho visto mia madre morta in camera – ha spiegato – mentre mio padre era seduto ai piedi del letto con il coltello ancora in mano».
Valter a questo punto si è precipitato in strada e ha chiamato i soccorsi. Quando i carabinieri sono arrivati nello stabile con gli avvolgibili azzurri e le piante all’ingresso, hanno dovuto attraversare la normalità di un appartamento dove vive una coppia di anziani prima di arrivare dentro alla camera dell’orrore.
L’orrore dentro la normalità. Sul tavolo di cucina i carabinieri hanno trovato la colazione pronta, in bagno gli asciugami freschi di bucato, in tutta la casa pavimenti puliti e finestre senza aloni. «Oltre alla camera da letto – spiega chi è entrato – c’erano solo due cose fuori posto in tutto l’appartamento: il coltello che ha usato per uccidere appoggiato sul mobile della cucina e a terra nell’ingresso un punteruolo per affilare i coltelli».
Per il momento è difficile per gli investigatori fissare l’orario del delitto. Anche se l’omicidio potrebbe essere avvenuto tra le 7,30 e le 9 del mattino. Toccherà al medico legale Luigi Papi, incaricato dal pubblico ministero di turno Antonella Tenerani, ricostruire con esattezza la dinamica e i tempi dell’omicidio.


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In memoria di

Uccise la moglie a coltellate, prova a strangolare l’educatrice (il Tirreno – 28 dicembre 2014)
Il seme della violenza cresciuto dentro Luciano Rinaldi, 85 anni, ex camionista malato di Alzheimer, è sbocciato di nuovo cento giorni dopo aver ucciso a coltellate la moglie, Cosetta Barsotti, nella loro casa di via Guarducci, strada che divide il quartiere Stazione da via Garibaldi. Stavolta la furia dell’85enne, arrestato dai carabinieri all’indomani del delitto a cui è seguito un tentativo di suicidio, si è sfogata contro l’educatrice professionale che il 29 luglio scorso lo ha accolto e preso in consegna nella residenza sanitaria assistita Cardinale Maffi di Rosignano Marittimo. «Prima mi ha aggredita e poi ha cercato di strangolarmi. Solo per una casualità sono ancora viva», racconta Rita Bertini, 45 anni, dipendente della Rsa e residente in Val di Cecina.
Quello che è avvenuto all’interno della struttura dove l’uomo era stato trasferito perché considerato «non pericoloso», è stato ricostruito davanti al giudice Beatrice Dani che al termine dell’incidente probatorio e dopo aver chiesto il parere di un esperto, ha disposto per l’ex camionista padre di due figli, il trasferimento in un ospedale psichiatrico giudiziario.
«Tanto per me è finita». È il 21 luglio quando il giudice per le indagini preliminari che si occupa dell’indagine sul delitto di via Guarducci firma l’ordinanza con la quale dispone il trasferimento di Luciano Rinaldi dal carcere di Pisa, dov’è detenuto da due mesi, alla residenza sanitaria di Rosignano Marittimo. Il tentato omicidio è avvenuto all’interno dell’ascensore che dal punto di accoglienza avrebbe dovuto portare l’educatrice e l’85enne nella sua nuova stanza. Quello che è successo lo ha ricostruito il pubblico ministero Luca Masini nel capo d’imputazione dove contesta all’indagato anche le lesioni inferte ai due agenti di polizia penitenziaria che hanno salvato la donna. «Prima – si legge – le ha sferrato una serie di pugni al viso e sui fianchi, poi tirandola per i capelli e continuando a colpirla, l’ha trascinata sul fondo dell’ascensore e l’ha afferrata per il collo con il braccio destro stringendola con forza».
È a questo punto che l’aggressore ha iniziato a urlare: «Tanto per me è finita, tanto per me è finita».
Prima «di continuare a colpire la donna con pugni sul viso, aumentando la stretta al collo e provocando una forte pressione sulla carotide cagionandole ipossia e cianosi». Un comportamento – secondo il pubblico ministero – che confermerebbe «la volontà di uccidere». Per fortuna però, l’educatrice è riuscita a trovare la forza per premere il tasto dell’allarme all’interno dell’ascensore attirando l’attenzione dei due agenti della polizia penitenziaria che poco prima avevano lasciato Rinaldi in consegna all’infermiera. «Ha provato a colpire anche noi con il passamano che aveva staccato poco prima dalla parete». Poi la resa e l’arresto.
Il processo. Sono servite tre udienze e la consulenza del professorRolando Paterniti, direttore del reparto di psichiatria dell’ospedale di Careggi per ricostruire il profilo dell’ex camionista e accertare le sue condizioni mentali. In particolare verificarne la pericolosità sociale e la capacità di intendere e volere al momento del tentato omicidio. La relazione depositata dal perito lo scorso 15 dicembre all’ufficio del giudice per le indagini preliminari è arrivata a due conclusioni: al momento dell’aggressione la capacità di intendere e di volere era «completamente abolita», e si tratta di una persona «socialmente pericolosa». Ma c’è di più. «Sussistono – si legge in uno dei passaggi chiave della relazione – concrete possibilità che possa reiterare comportamenti antisociali se viene lasciato ma sé stesso senza adottare opportune misure sanitarie e logistiche atte a contenerne il pericolo».
«Non è stato protetto». Subito dopo il delitto della moglie, furono gli stessi figli della coppia a denunciare di «essere stati lasciati soli a combattere contro la malattia che aveva colpito il padre».Evidentemente però la lezione non è stata percepita da chi doveva intervenire e tutelare sia l’85enne che le persone che lavoravano intorno a lui. Scrive il giudice Beatrice Dani in un passaggio dell’ordinanza che pesa come un macigno. «Il tentato omicidio troverebbe infatti verosimilmente una causa indiretta proprio nel non essere stato il Rinaldi adeguatamente preparato e protetto dal punto di vista farmacologico e psicologico».Ecco perché – è la conclusione alla quale arriva il magistrato nelle sue conclusioni – «è necessario disporre una misura di sicurezza di tipo detentivo». (di Federico Lazzotti)