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Jannati Abdel Fattah, 39 anni, magazziniere, padre. Dopo essere stato denunciato per maltrattamenti e minacce, uccide la moglie con tre coltellate al cuore davanti alla figlia più piccola. Ergastolo

Cadoneghe (Padova), 24 Novembre 2020

 


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Padova, uccise la moglie «ribelle» con tre coltellate: c’è l’ergastolo (Corriere Veneto – 6 ottobre 2022)
Cadoneghe, il delitto a ottobre 2020. La sentenza contro il marocchino Abdelfettah Jennati: «Ha pianificato l’uccisione di Aycha El Abioui». Lei si era rivolta al centro antiviolenza del Comune contro le angherie del marito. Risarcimento per i figli
La corte d’Assise di Padova ha condannato all’ergastolo Abdelfettah Jennati per l’omicidio della moglie Aycha El Abioui, uccisa con tre coltellate al petto la sera del 24 ottobre del 2020. È stata accolta, quindi, la pena che il pubblico ministero Marco Brusegan aveva chiesto al termine della requisitoria dello scorso 15 settembre. Forse è questo l’inizio della fine almeno per un fatto di sangue che aveva disorientato e lasciato incredula non solo la comunità di Cadoneghe — dove i coniugi vivevano, insieme ai tre figli — ma anche l’intera città di Padova, con echi persino sul piano nazionale. Il «fine pena mai» era stato paventato dalla procura del capoluogo euganeo proprio in virtù del fatto che la condotta Abdelfettah Jennati abbia voluto colpire proprio la moglie, colpevole ai suoi occhi di aver cercato di sottrarsi alla quotidiana violenza e sopraffazione di quel rapporto, ragioni che avevano spinto la donna a rivolgersi ad un centro anti violenza comunale.
La richiesta di auto inaccettabile. Disperata, Aycha cercava solo protezione, un luogo sicuro per sé e per i suoi bambini, lontano da quell’uomo così morboso e possessivo. Per Abdelfettah, il comportamento della moglie era inaccettabile, e secondo la pubblica accusa, aveva preso già da tempo la decisione di ucciderla, anche se gli elementi a sostegno della fredda premeditazione non sono stati considerati sufficienti per assumere rilevanza in sede processuale. Un delitto brutale. Tre coltellate, precise, nette, al punto da trapassare il corpo della donna, lasciando che la lama si conficcasse nel materasso dove era distesa. Una violenza fredda, cinica, che non si è fermata nemmeno di fronte alla presenza della figlia più piccola, che dormiva in camera con i genitori e che ha assistito all’omicidio della madre.
L’autodenuncia «Ho ammazzato mia moglie, venite a prendermi», con queste parole — che Jennati ha pronunciato al telefono con i carabinieri alle 23:40, consegnandosi subito dopo il fatto — iniziò invece la ricostruzione degli inquirenti. In un primo momento, l’uomo aveva fornito dichiarazioni all’apparenza deliranti, affermando di sentire delle voci e di soffrire di problemi psichiatrici. Sul tema era intervenuto in qualità di incaricato il dottor Alessandro Saullo, dirigente medico del centro di igiene mentale di Gorizia, che con un’apposita valutazione aveva confermato la piena capacità d’intendere e di volere del quarantenne marocchino, nonostante la linea intrapresa dai suoi legali sia sempre stata orientata a dimostrarne l’infermità mentale. Avrebbe agito con piena coscienza dunque, ipotesi sorretta anche dalle informazioni raccolte durante il procedimento sulle settimane che avevano preceduto il delitto.
Jennati aveva fatto ricerche online su veleni potenzialmente letali, su tratte di traghetti che potessero condurlo all’estero e persino sulle possibili condanne penali a cui incorrono gli uxoricidi. L’uomo è ora condannato non solo all’ergastolo, bensì anche al pagamento di ingenti somme a tutte le parti civili del processo, in primo luogo ai tre figli: dovrà infatti corrispondere 300 mila euro ad ognuno di loro, 50 mila a favore di ciascun genitore della donna, 10 mila ai fratelli e 2 mila a favore del centro veneto progetto donna. «È sotto gli occhi di tutti come il periodo che stiamo vivendo sia a dir poco preoccupante per quanto riguarda le violenze contro le donne — ha commentato Aurora D’Agostino, rappresentate del centro assistenza donne di Padova costituitosi parte civile — a maggior ragione quelle senza mezzi. Se Aycha avesse potuto avere un supporto reale, economico, non sarebbe dovuta tornare in quella casa».


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