Giuseppe Parmiani, 81 anni, pensionato, padre. Uccide la moglie con una coltellata all’addome e si costituisce. Condannato a 10 anni poi ridotti a 6, chiede la grazia
Cento (Ferrara), 2 Maggio 2015
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Ferrara, uccide a coltellate la moglie invalida: era stanco della sua malattia (il Messaggero – 3 maggio 2015)
Un uomo di 82 anni ha ucciso in casa con una coltellata all’addome la moglie ottantenne, invalida e ammalata, poi ha chiamato il 118 e ha atteso l’arrivo dei sanitari, che a loro volta hanno avvisato i carabinieri. È accaduto nella tarda serata di ieri a Cento, nel Ferrarese. Lo riferisce La Nuova Ferrara.
La vittima è Carmen Tassinari; il marito, Giuseppe Parmiani, è formalmente in stato di fermo. Indagano i carabinieri, sul posto anche la Scientifica e il pm Barbara Cavallo. Parmiani, originario di Comacchio, era sposato da tantissimi anni con la donna, originaria di Sabaudia. L’ipotesi prevalente è che abbia ucciso la moglie con una coltellata all’addome, stanco ed esausto della situazione cui era costretto, vivendo appunto con la donna invalida e gravemente malata, nella loro la casa a Cento in via Borselli 9. L’uomo al momento, è in stato di fermo in attesa dell’evoluzione della situazione giudiziaria.
«Mia moglie soffriva tanto. Ecco perchè l’ho uccisa» (La Nuova Ferrara – 6 maggio 2015)
Poco meno di mezzora davanti al giudice, per spiegare il perchè della decisione di cancellare la vita della moglie Carmen Tassinari, 80enne: perchè soffriva troppo, anche solo a toccarla, ha spiegato Giuseppe Parmiani, l’82enne che ha ucciso la donna sabato sera nella camera da letto della casa in cui abitavano da anni, in via Borselli a Cento.
A conclusione dell’udienza che si è svolta in tarda mattinata in tribunale, la pm Barbara Cavallo ha chiesto la custodia agli arresti domiciliari per l’anziano, mentre il suo difensore Giampaolo Remondi, dal punto di vista tecnico, ha chiesto la liberazione poichè non sussistono gli elementi per la sua detenzione, non c’è nessun pericolo che giustifichi esigenze cautelari. Rilievi tecnici, sui quali ha deciso concedendo i domiciliari e la possibilità di uscire di casa dalle 10 alle 12. Durante l’interrogatorio reso, Parmiani tra lacrime e commozione ha confermato quanto aveva già detto: la moglie stava malissimo da anni e si era aggravata negli ultimi mesi.
Ha ricordato il sabato sera della tragedia, quando dopo averla messa a letto si era coricato vicino a lei, ma soffriva, stava male e si lamentava solo a toccarla. D’ impeto, senza pensare a ciò che stava facendo, è andato in cucina, ha preso il coltello e l’ha colpita. Non ce la faceva più a vederla in questo stato di sofferenza e ha preso la decisione all’improvviso. Ma è possibile che anche la moglie stessa lo abbia chiesto? Un dubbio degli stessi inquirenti e del difensore, per cui l’anziano ha spiegato che quando la moglie stava bene gli aveva sempre detto che se fosse rimasta invalida avrebbe preferito morire, lo ripeteva anche quando era lucida. Ma sabato sera ha agito lui, d’impulso. E lo ha ripetuto ai magistrati piangendo, creando una situazione di estrema commozione in tutti i presenti. Restano gli atti tecnici, ma c’è poco da indagare: l’autopsia fissata per oggi, i test sui reperti e il coltello. Poi i funerali, nei prossimi giorni. (d.p.)
Cento, uccise la moglie invalida. Chiede la grazia a Mattarella (il Resto del Carlino – 17 dicembre 2019)
Giuseppe Parmiani è stato condannato a sei anni. Il suo legale ha ottenuto il differimento della pena in attesa del responso del presidente
Pena definitiva ma ‘differita’ per Giuseppe Parmiani, l’86enne a processo per avere ucciso la moglie, Carmen Tassinari. All’inizio del mese la corte di Cassazione ha fissato a sei anni, due mesi e venti giorni la pena finale per il delitto, avvenuto il 2 maggio del 2015 in via Borselli, a Cento. A spingere l’anziano a rivolgere contro la consorte 80enne un grosso coltello da cucina è stata la disperazione per le gravi condizioni di salute della donna. A quattro anni dai fatti, la suprema corte ha messo la parola fine alla vicenda giudiziaria.
Per Parmiani esiste però ancora una speranza di evitare la pena detentiva. Il giorno successivo alla sentenza, infatti, il legale del pensionato – l’avvocato Giampaolo Remondi – ha depositato l’istanza di grazia al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Nel contempo, ha inoltrato al magistrato di sorveglianza la richiesta di differimento della pena, in attesa della decisione del capo dello Stato. La prima conseguenza di queste richieste è stata la concessione del differimento in via urgente e provvisoria da parte del magistrato di sorveglianza. Uno slittamento di sei mesi in attesa della risposta del Quirinale sulla grazia. Nel frattempo, gli atti relativi all’istanza sono stati inviati al tribunale di sorveglianza per il via libera definitivo.
La decisione del presidente della Repubblica, attesa nell’arco di alcune settimane, potrebbe quindi chiudere il sipario una volta per tutte su una triste vicenda iniziata una sera di primavera di quattro anni fa. Anche quella volta come ogni giorno, dopo aver dato da mangiare alla moglie e averla lavata, Parmiani l’ha messa a letto. Non appena la donna si è addormentata, lui l’ha colpita con un fendente all’addome. Dopo averla uccisa si è consegnato ai carabinieri.
Nelle ore successive all’arresto, il gip lo ha messo ai domiciliari. Venti giorno dopo, però, il tribunale della libertà lo ha liberato, accogliendo l’impugnazione della misura cautelare da parte dell’avvocato. Nel giugno del 2016, il gup lo ha condannato a dieci anni di reclusione, ritenendo le attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante di aver ucciso la consorte. Nel 2017, la corte d’Assise d’Appello ha ridotto la pena a nove anni e quattro mesi. Nell’aprile del 2018, la corte di Cassazione ha annullato la sentenza di secondo grado limitatamente all’attenuante del danno risarcito (Parmiani si era offerto di risarcire i figli, che non hanno accettato avendo compreso le ragioni profonde del tragico gesto del padre). A maggio 2019, l’Appello bis ha concesso l’attenuante riducendo la pena a sei anni, due mesi e venti giorni. Una decisione ora diventata definitiva dopo l’ultima impugnazione della difesa.