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Giovanni Rubbo, 33 anni, ex studente universitario, ex tossicodipendente con problemi psichici. Tenta di violentare e strangola la sua amica d’infanzia

Ischia (Napoli), 19 Agosto 2001


Nessuna notizia del processo e di eventuali condanne


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Il mio dolore è immenso. Penso a quello di sua madre
ISCHIA – «Adesso Marina non c’ è più. E il mio dolore è immenso, nessuno più me la potrà restituire. Ma penso anche al dramma di Giovanni, alla sofferenza della mamma. Infinita, come la mia». Arturo Caccia Perugini, 62 anni, padre di Marina, vice prefetto e attualmente commissario straordinario al comune di Marigliano, è sconvolto. La notizia della tragedia lo ha raggiunto nel Beneventano, dove trascorreva alcuni giorni di vacanza. Ora è tornato a casa, a Pozzuoli, una cittadina che si è stretta attorno al dolore dei familiari. Sono conosciuti i Caccia Perugini, una schiatta che ha dato lustro alla cittadina flegrea. In Via Vecchia delle Vigne, nella zona della Solfatara, dove vivono i Caccia Perugini, le finestre sono chiuse.
«Mi chiamava papino. Era sempre sorridente, gentile, generosa, disponibile a tutti. Qualunque cosa gli chiedessero lei si metteva subito all’ opera, senza batter ciglio. Per lei era una specie di missione: offrire amore e generosità a piene mani, senza aspettarsi nulla. Una vocazione che ha proiettato nel suo lavoro: la riabilitazione psichiatrica. Una strada che ha scelto appena ha iniziato gli studi e che ha confermato appena ha conseguito il diploma». Sabato mattina l’ ha sentita per l’ ultima volta: «Ci vediamo presto, stai tranquillo: qui è bellissimo, come ogni anno. Ci stiamo divertendo. Loro sono sempre così gentili con me», le aveva detto al cellulare. «E infatti dovevamo incontrarci in questi giorni», ricorda Arturo Caccia Perugini.
Che ha parole di conforto per Rosa Saggiomo, l’ amica di famiglia, una «sorella» per lui. Non solo, spende parole di perdono per il figlio, Giovanni: «Immagino quello che ha provato nell’ aprire la porta della dependance. Vedere lei, la mia piccola, senza più vita. La nostra è un’ amicizia che dura da generazioni, parte dai nostri trisavoli. Giovanni non è cattivo, è anche lui un ragazzo dolce. No, non era malato. Non ha mai dato segni di squilibrio. Mi ha sempre chiamato “zio”, da quando era piccolo. Il suo è stato forse un gesto disperato. E’ un ragazzo che ha sofferto molto. Da quando probabilmente ha perso il padre». Tradisce la sua emozione, Arturo Caccia Perugini, quando poi passa a raccontare l’ amicizia tra i due ragazzi. «Stavano sempre insieme, fin da piccoli. Sono cresciuti aiutandosi reciprocamente. Marina gli è stata vicina dopo la morte del papà e negli anni più difficili della sua vita. Sono stati tempi duri per lui. Ora quello che è accaduto non mi sembra vero. Che Dio lo perdoni»

Strangola l’amica d’infanzia, atroce delitto nella Napoli bene
Ha le mani che tremano, Giovanni, e il viso graffiato. E’ sudato, sconvolto, mentre sfugge allo sguardo e agli interrogativi della madre. «Marina, la mia amica non c’ è più~»
. Lo tradiscono le chiavi della dependance di Villa Rubbo, a Succhivo, Ischia, sull’ incantevole baia di Sant’ Angelo. Le stringe in pugno, quasi volesse nascondere la verità. Ma a squarciare il velo di mistero è proprio lei, Rosa Saggiomo, 62 anni, sua madre.
Marina Caccia Perugini, 28 anni, è riversa sul letto, supina, seminuda, il pareo strappato, piena di lividi, e senza più vita: strangolata. «Non c’ è più», continua a farfugliare Giovanni. «Abbiamo litigato~ sono stato io», racconta ai familiari. Quando arrivano i carabinieri è confuso, nega tutto, cerca di fuggire. Ma quei graffi, sul viso e sulle gambe, le sue ciabatte trovate nella camera da letto, il racconto dei suoi familiari offrono troppi indizi di colpevolezza.
I militari della compagnia di Ischia lo fermano per omicidio volontario. Giovanni Rubbo ha ucciso la sua amica d’ infanzia, strangolandola. Lei ha cercato disperatamente di fermarlo, di farlo desistere dalle sue avances. Un rifiuto che ha scatenato la furia omicida di lui e che le è costato la vita. Finisce così, in tragedia, l’ amicizia antica tra due famiglie della Napoli bene.
Lo scenario è proprio la villetta bianca di Succhivo che suggellava ogni estate un’ intesa cominciata tre generazioni fa. Una sorta di rito senza tempo tra i Caccia Perugini di Pozzuoli e i Rubbo di Napoli. Lei, Marina, 28 anni, bella, piena di vita, figlia del viceprefetto Arturo, una laurea con indirizzo socialepsichiatrico, un contratto a termine in un istituto ospedaliero. Lui, Giovanni, 33 anni, figlio di un noto odontoiatra morto alcuni anni fa, ex studente di medicina, problemi di tossicodipendenza alle spalle. Dal tunnel della droga era uscito dopo qualche anno di comunità, ma anche grazie all’ aiuto di lei.
L’ estate di Marina a Ischia era iniziata cinque giorni fa: ospite della dependance di Villa Rubbo. Una vacanza all’ insegna della tranquillità: riposo, la mattina e il pomeriggio al mare con i parenti di Giovanni, la sera a godersi la brezza della baia di Sant’ Angelo, lontano dalla caotica movida di Ischia Porto. E’ il pomeriggio di sabato. L’ isola diventa frenetica, affollata com’ è da turisti e pendolari. Marina non si sente bene. «Ho mal di stomaco», dice alla mamma e ai parenti di Giovanni. Rinuncia al consueto bagno e decide di riposarsi. Lui è lì, ascolta e subito si offre di farle compagnia. Passano quattro ore. Sono le 19 e 30 e la famiglia Rubbo torna. La villetta è deserta. Il giovane torna solo due ore dopo, da solo sulla sua Ford Fiesta. «Dov’ è Marina?», chiede la madre preoccupata. Lui balbetta, è agitato, sconvolto: «Marina non c’ è. Abbiamo litigato». Ma in mano ha le chiavi della dependance. Rosa Saggiomo capisce tutto. Gliele strappa e corre ad aprire la porta. La scena è raccapricciante: Marina è sul letto, morta. Accanto le ciabatte del suo aggressore, e una scopa. Secondo gli inquirenti è l’ arma del delitto: è stata strangolata dopo una lunga ma inutile colluttazione per sottrarsi al tentativo di violenza. E’ la madre a chiamare i carabinieri. Giovanni non parla, anzi, cerca disperatamente la fuga ma viene bloccato prima di essere trasferito in stato di fermo nel carcere di Poggioreale. Alla madre devastata dal dolore ha ammesso la sua colpa. Agli inquirenti che lo hanno interrogato, in evidente stato di choc, ha offerto solo silenzi.

Napoli criminale


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