Giovanni Ballarin, 18 anni. Strangola la fidanzata e la seppellisce sotto la sabbia. Condannato a 25 anni, evade durante un permesso per partecipare a un gruppo di rieducazione
Sottomarina di Chioggia (Venezia), 25 Ottobre 1987
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In memoria di
EVADE L’ ASSASSINO DELLA GIOVANE JESSICA (la Repubblica – 26 ottobre 1995)
Per evadere ha atteso l’ anniversario, l’ ottavo, del feroce delitto di cui era stato protagonista. Giovanni Ballarin aveva 18 anni quando uccise la fidanzatina che non voleva far l’ amore con lui. Una settimana fa è uscito dal carcere Due Palazzi di Padova e non è più tornato. Aveva ottenuto un permesso dal giudice di sorveglianza per seguire una terapia psicologica. Il delitto di cui si era macchiato Ballarin è uno di quelli che aveva sconvolto e fatto discutere non soltanto Chioggia, la città in cui vivevano sia lui che la vittima, ma l’ intera regione. Ora, la sua evasione ha fatto tornare alla mente quel terribile 25 ottobre 1987. Il ragazzo aveva strangolato Jessica Nordio, 14 anni, per impedirle di urlare mentre tentava disperantamente di respingere le sue avances sessuali. Erano sulla spiaggia di Chioggia, Sottomarina, e dopo l’ omicidio il giovane aveva sepolto il corpo di lei sotto la sabbia. Ballarin era poi tornato a casa e per 54 giorni era riuscito a raccontare bugie, a sviare i sospetti. Partecipava attivamente alle ricerche assieme al padre della ragazza. Era partito per Bologna per contattare una medium che era in grado di rivelargli dov’ era finita Jessica.
Nel frattempo, gli inquirenti, i quali speravano ancora che la ragazzina fosse viva, magari nascosta da qualche parte, avevano fatto scrivere ai giornali che la madre di Jessica stava per morire, un ultimo disperato tentativo per convincere la ragazzina a tornare, eventualmente fosse solo fuggita di casa. Alla fine, il 18 dicembre 1987, gli investigatori avevano chiamato Giovanni Ballarin negli uffici della questura di Venezia. Era allora capo della Squadra mobile Arnaldo La Barbera, attuale questore di Palermo. Suo vice era Gino Savina, attuale capo della Squadra mobile palermitana: gli investigatori per dodici ore di seguito, alternandosi in quattro, interrogarono il ragazzo che alla fine crollò, pianse e raccontò dove aveva sepolto Jessica. La mossa vincente venne attribuita a La Barbera, che escogitò uno stratagemma: vestì un poliziotto da prete e lo mandò da Ballarin. Un retroscena, però, smentito da tutti.
Non era la prima volta che il giovane otteneva un permesso per uscire dal carcere. Durante i primi anni di cella aveva tenuto un comportamento esemplare, tanto da essere ammesso ad un programma di rieducazione: un’ équipe di psicologi aveva deciso che poteva essere recuperato ed era stato affidato ad un centro di psicoterapia di Bassano del Grappa. Così, una volta ogni quindici giorni, da due anni ormai, lasciava il carcere, saliva sul treno, raggiungeva Bassano, poi rientrava a Padova, al Due Palazzi. Per mesi, dunque, tutto era filato liscio. Fino a mercoledì scorso, quando ha deciso di non rientrare più.
Adesso, polizia e carabinieri lo stanno cercando, non ritengono possa essere andato molto lontano. Hanno ripercorso la strada che ha fatto l’ ultima volta, hanno chiesto a possibili testimoni. Non ritengono si sia rifugiato a Chioggia, dove tutti si ricordano di lui e nessuno sicuramente vorrà dargli una mano. “Riprensentarsi subito – dicono – è la cosa migliore che possa fare”. I genitori di Jessica, Dorino e Vally Nordio, ancora non sono riusciti a cancellare quella tragedia e non vogliono commentare la fuga dell’ assassino della loro ragazza. (di GIORGIO CECCHETTI)
Le tappò la bocca soffocandola brutalmente (il Gazzettino – 25 ottobre 2017)
Jessica Nordio, la ragazza di 15 anni brutalmente soffocata 30 anni fa dal diciannovenne Giovanni Ballarin che si autodefiniva il ragazzo della vittima.
La uccise per impedirle di reagire urlando mentre stava tentando di usarle violenza. Commesso il delitto, l’assassino aveva sepolto il cadavere in una buca scavata nel declivio di duna, non lontano dalla foce del Brenta. Il mancato rientro della ragazzina, solitamente assai puntuale, fu immediatamente segnalato alla Polizia. Un paio di giorni dopo, il padre Dorino, operaio metalmeccanico e la madre Vally, disperati, chiesero aiuto agli organi d’informazione. Quando ci ricevettero, con loro c’era anche Ballarin; aveva gli occhi lucidi e tremava; probabilmente, però, per la paura d’essere smascherato. Fingeva di non riuscire nemmeno ad immaginare cosa fosse accaduto alla povera Jessica. Sosteneva di amarla più d’ogni altra persona al mondo. Qualcosa di lui, tuttavia, non risultava del tutto convincente. Diceva, infatti, d’essere pescatore, ma le sue mani troppo lisce e curate per chi esercita quel mestiere destavano perplessità. Fatto sta che, ben presto, divenne il sospettato numero uno. Qualche seppur velata conferma dell’inaffidabilità del ragazzo giungeva anche da Mestre. Dopo la foto sul giornale, lette le sue dichiarazioni, alcune persone che l’avevano conosciuto erano pervenute alla conclusione che il ragazzo cercava di farsi passare per quel che non era. Intanto, sulla scomparsa di Jessica, circolava una ridda di ipotesi. Il Gazzettino aveva, nel frattempo, messo a disposizione una decina di milioni delle vecchie lire, come premio per chi fosse stato in grado di fornire qualche ragguaglio utile e veritiero. Passavano le settimane ed il mistero apparentemente s’infittiva, anziché dipanarsi. La sola traccia lasciata da Jessica consisteva nella sua bicicletta nera, trovata appoggiata al muro lungo una via. E l’alibi dell’assassino, benché carente, pareva comunque assai difficile da scalfire. Gli indizi raccolti con estrema discrezione dagli investigatori andavano, però, accumulandosi. Trascorsi quasi due mesi dalla scomparsa della ragazza, l’allora capo della Squadra mobile di Venezia Arnaldo La Barbera ritenne finalmente di potercela fare. Ben presto, l’ennesimo interrogatorio si rivelò risolutivo. L’assassino ammise tutto sostenendo, tuttavia, di aver tappato la bocca di Jessica solamente per impedirle di urlare, non per ucciderla. Versione, questa, che, poi, non ha affatto convinto il Tribunale. Recatisi sul luogo indicato dall’assassino stesso, disseppellito il cadavere, gli esperti della Scientifica avevano infatti accertato che l’omicida aveva agito con violenza e determinazione. (di Roberto Perini)