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Fabrizio Vitali, 61 anni, manovale disoccupato. Uccide la prostituta con cui si vedeva abitualmente con un colpo di pistola alla nuca. Condannato a 20 anni

Dalmine (Bergamo), 20 Gennaio 2018


Titoli & Articoli

Un colpo alla nuca, poi si costituisce «Venite qui all’hotel, l’ho uccisa» (Eco di Bergamo – 21 gennaio 2018)
«È apparso turbato, sotto choc, spaesato. È consapevole di aver fatto una cosa molto grave, ma non conosce ancora bene le conseguenze. Non ha però dato spiegazioni nel merito della vicenda».
Sono le 19 di sabato sera quando l’avvocato Omar Massimo Hegazi, legale d’ufficio di Fabrizio Vitali, lascia la caserma di via XX Settembre a Treviglio sede della compagnia dell’Arma, dopo aver incontrato il sessantunenne di Bottanuco, reo confesso dell’omicidio dell’amica nigeriana. Ha telefonato lui stesso alle forze dell’ordine: «L’ho uccisa qui nella mia camera all’hotel Daina. Venite subito». Questione di minuti e i militari dell’Arma di Dalmine e Treviglio, hanno raggiunto l’albergo.
Durante l’interrogatorio l’uomo è scoppiato più volte in lacrime, apparendo molto confuso: «Ma cosa ho combinato?», aveva chiesto più volte nel corso della giornata ai carabinieri che lo stavano sentendo nella caserma di Dalmine. Vitali, celibe, vive a Bottanuco con la sorella Donatella, di un anno più giovane, in una villetta di via Enzo Arsuffi. Mai nessun problema con le forze dell’ordine, tanto da essere in possesso di un regolare porto d’armi per uso sportivo e da detenere da anni la pistola Glock calibro 9×21 con il relativo munizionamento (che è stato posto sotto sequestro come atto dovuto).
Quanto alla vittima, Esther Eghianruwa, ma che si faceva chiamare Onane, i carabinieri di Treviglio l’avevano già fotosegnalata in passato perché appunto dedita alla prostituzione nella zona di Dalmine e Osio Sotto. Non aveva parenti in Italia e condivideva un appartamento a Dalmine con alcuni connazionali. I carabinieri hanno preso contatti con l’ambasciata della Nigeria perché vengano contattati i familiari nel Paese d’origine. Nessun commento, invece, dall’albergo Daina: tra l’altro un hotel storico della città, aperto nel 1949 e che, nonostante la vicinanza fisica con l’ex statale e la prostituzione, si è sempre mantenuto volutamente lontano da questo fenomeno purtroppo diffuso nella zona, facendosi così un ottimo nome nel corso degli anni.

 

La sorella dell’omicida della nigeriana: «Avevo paura di lui, una vita senza parlare» (Corriere della Sera – 21 gennaio 2018)
Donatella Vitali è la sorella di Fabrizio, che sabato mattina ha ucciso a Dalmine una ragazza di 37 anni
Un anno di differenza, due vite vissute nella stessa casa tra genitori malati, tensioni e rabbia, senza più parole da dirsi e senza nemmeno sguardi da scambiarsi. Sembra di poter leggere tutto negli occhi azzurrissimi e persi di Donatella Vitali, 60 anni, sorella di Fabrizio. Scende dall’auto dei carabinieri che l’hanno accompagnata e imbocca il sentiero in ghiaietto della villetta di via Arsuffi, a Cerro di Bottanuco. La recinzione della casetta su due piani è limitata al muretto di calcestruzzo, ma il prato è ben tenuto, due ulivi crescono in aiuole circondate da pietre, una grotta con la Madonnina spunta in un cespuglio e una pietra a forma di cuore è appoggiata a un albero. «Ho fatto tutto io, la pietra l’ho trovata in giro, mi è piaciuta e l’ho messa lì». Donatella Vitali si chiude nel giubbotto, davanti le si è appena aperto un mondo che era già accanto a lei, ma chiuso come un pugno. «Io e mio fratello vivevamo insieme da sempre, ma da tanto non ci parlavamo più, nemmeno una parola. Lui viveva in un mondo tutto suo, stava sempre in camera, che teneva chiusa a chiave».
Lei operaia in pensione da qualche anno, lui muratore saltuario, nessuno dei due sposato. Hanno dovuto affrontare prima il tumore del padre Riccardo, morto nel luglio 2000, poi l’ictus della madre Enrica Brambilla, originaria di Trezzo, morta a febbraio di un anno fa. All’inizio della malattia, dieci anni fa, Donatella lavorava ancora, e Fabrizio ha deciso che il proprio lavoro sarebbe stato quello di accudire la madre. I vicini lo vedevano portarla a spasso e, nella bella stagione, imboccarla sul terrazzino al primo piano. Ed era sempre lui a gestire la pensione della madre. «Quando alla fine mia mamma è morta mi sono detta, almeno adesso potrò tirare un po’ il fiato, ho cominciato anche a fare un po’ di volontariato — continua Donatella Vitali —. Ma con Fabrizio è stato peggio, visto che senza la pensione della mamma c’erano ancora meno soldi».
Si sale sulla scala verso l’ingresso, un gradino traballa: «Questa casa l’ha tirata su mio padre con le sue mani nel ‘65, tutte le case qui intorno erano dei muratori che se l’erano costruite. Fabrizio ha sempre lavorato qua e là ogni tanto, in tutto ha messo insieme vent’anni di contributi. Adesso la casa è vecchia, ha bisogno di manutenzione, ma lui non vuole mai fare niente. Anche il giardino lo curo io. Una volta ho tagliato l’erba e potato gli alberi, gli ho chiesto se mi aiutava a ripulire e mi ha detto che era stanco. Gli ho chiesto: stanco di che cosa? Da quel momento non mi ha mai più parlato». I rapporti fra i due erano sempre stati tesi, le urla dei litigi arrivavano anche alle finestre dei vicini. «Non lo puoi contraddire, appena gli dici una parola si mette a gridare — racconta la sorella —. Una volta durante una lite mi ha detto delle cose così brutte che sono stata proprio male, ho smesso di mangiare e ho perso venti chili; incontravo la gente in giro e mi chiedeva se fossi malata. Litigavamo anche davanti a mia madre, che era sofferente e ci diceva sempre di fare i bravi. Una volta lei mi ha chiesto: tu hai paura di Fabrizio? Io ho risposto di sì. Ma non avrei mai pensato che potesse arrivare a questo punto».
Fabrizio Vitali ha sempre condotto una vita riservata. Al massimo arrivava a Concesa a giocare a bocce ma ha smesso quindici anni fa. Un suo coscritto di Bottanuco dice di averlo perso di vista ai tempi della scuola, una vicina cresciuta con lui racconta che da anni si limitava a salutarla. Non si conoscono relazioni sentimentali. «Ho visto quella donna di colore una volta sola, quando me la sono trovata al funerale della mamma — spiega la donna —. La gente mi chiedeva: è la fidanzata di Fabrizio? E io dovevo rispondere che non lo sapevo. Io non so che vita fa: esce, torna, non dice niente. Se deve telefonare prende il cellulare ed esce in strada, solo che è un po’ sordo e deve gridare, così tutto il quartiere sente le sue telefonate. Ogni tanto prende la Vespa e sparisce, a volte torna alle 3 di notte, altre addirittura il giorno dopo. L’ultima volta l’ho visto venerdì pomeriggio alle quattro. Io tornavo dalla casa dove vado a fare due ore di pulizie e lui se ne andava. È stato fuori tutta la notte ma non era la prima volta che succedeva».
Finché nel primo pomeriggio di ieri alla villetta hanno suonato i carabinieri: «Stavo guardando la televisione quando sono arrivati e mi hanno detto che dovevano cercare delle cose in camera di mio fratello. Per la prima volta sono entrata anche io, ho trovato delle cose che mi hanno fatto mettere le mani nei capelli. Mi rendo conto che mio fratello non lo conosco. Mi hanno detto i carabinieri che aveva il porto d’armi, e chi lo sapeva? Chissà dov’è andato a prendere la pistola». Donatella Vitali apre la porta, sta per entrare in una casa con la prospettiva di viverci per la prima volta da sola. «Adesso è capitata anche questa cosa che cambia tutto, perché non ci andrà di mezzo solo lui e anche quella povera donna che non so chi era, adesso cambia la mia vita, un’altra volta». Giunge le mani e guarda in alto: «Spero che i miei genitori guardino giù e mi aiutino perché non so proprio cosa fare». Entra nell’ingresso buio: «Mi dicono che adesso lui è dai carabinieri, forse lo porteranno in carcere. Dovrei andare a portargli le sue cose. Sono tentata di mandarlo al diavolo, però è pur sempre mio fratello. Ma chissà se mi parlerà». (di Fabio Paravisi)

 

Omicidio di Dalmine, la pistola presa sei mesi fa: il manovale aveva paura (Corriere della Sera – 23 gennaio 2018)
A Fabrizio Vitali contestata anche la premeditazione. Non aveva più soldi: oggi l’interrogatorio di convalida. Nulla osta alla sepoltura, ma nessun familiare della vittima si è fatto avanti
Deve essere iniziato tutto da qui, da questo appartamento con il balcone trasformato in discarica: i panni stesi in modo sciatto, i sacchi pieni di rifiuti e a pochi passi una cappelletta che non potrebbe sembrare più triste. Sono le palazzine che la Dalmine aveva fatto costruire in centro al paese per il suo cinquantenario, nel 1956. Fabrizio Vitali ogni tanto ci andava. «Parcheggiava là». L’indice del ragazzo nigeriano punta verso la rastrelliera per le biciclette. Non vuole dire come si chiama, nemmeno l’età, ma sulla coinquilina uccisa propone una serie di dati tutti suoi: che non faceva la prostituta, che si chiamava Esther Eghianruwa, «come ha scritto questo giornale» ed estrae l’articolo fotografato col telefonino. Poi che aveva una sorella, ora accorsa dalla Germania, e che l’uomo che frequentava (Vitali) prima di costituirsi si è precipitato nell’appartamento per fare sparire il suo passaporto.
Sono tutte circostanze smentite categoricamente dalle indagini. Eccetto una
. Il manovale di Bottanuco, 61 anni, da sabato in carcere per omicidio volontario, bazzicava in via Cinquantenario, dove la vittima dormiva dal 2015. È tra quelle mura, in un ambiente al limite del degrado e della legalità, che potrebbe avere maturato l’idea di armarsi. Le autorizzazioni gli erano state rilasciate dalla questura sei mesi fa, quando già erano iniziati i problemi di soldi. Vitali era disoccupato da tempo. Dopo la morte della madre, il febbraio scorso, aveva perso anche la sua pensione e non riusciva più a pagare l’«amica», che frequentava ogni settimana da due anni. Aveva iniziato a temere lei e il contesto che la circondava, avrebbe spiegato a caldo dopo l’arresto.
Secondo gli accertamenti dei carabinieri della compagnia di Treviglio, coordinati dal pm Letizia Ruggeri, le continue richieste economiche avrebbero fatto degenerare il rapporto fino al raptus di sabato mattina nella stanza 24 dell’hotel Daina. Non proprio raptus, sempre per gli inquirenti. A Vitali, che oggi in carcere sarà interrogato dal gip Marina Cavalleri (difensore Omar Hegazi), è contestata anche la premeditazione.
In albergo si erano incontrati venerdì sera. Vitali era arrivato per primo e aveva parcheggiato la sua Vespa nel garage della struttura. Sofia Sony, 37 anni, nigeriana, clandestina, fotosegnalata in passato durante alcuni controlli anti prostituzione proprio lungo l’ex statale 525, lo aveva raggiunto in bici. Esther Eghianruwa era uno dei suoi alias, quello che usava per registrarsi alla reception, dove pensavano facesse la badante. L’autopsia di ieri, con numerosi conoscenti ma nessun parente nella sala di attesa del Papa Giovanni, non ha fatto emergere nuovi elementi. La procura ha firmato il nulla osta alla sepoltura, mentre i carabinieri sperano di risalire alla famiglia attraverso l’ambasciata. Sofia era stesa sul letto, sveglia. Vitali ha impugnato la sua Glock 9X21 e ha sparato un unico colpo, alla testa. Sia l’ogiva sia il bossolo sono stati recuperati. Subito dopo, il manovale ha fatto scattare l’allarme con il 118. È anche sceso, ha preso il motorino e lo ha parcheggiato all’esterno. Ma poi è rientrato, ha avvertito il personale che stava per arrivare l’ambulanza e con la pistola in mano ha aspettato i carabinieri in corridoio. (di Maddalena Berbenni)

Omicidio di Dalmine, rito abbreviato: Vitali condannato a 20 anni di carcere (Eco di Bergamo – 15 gennaio 2019)
È stato condannato a 20 anni di carcere in rito abbreviato Fabrizio Vitali, ex operaio, 61 anni, reo confesso dell’omicidio di Esther Onane Eghianruwa, 37 anni, in un hotel a Dalmine il 20 gennaio 2018.
Il 61enne di Bottanuco ha ucciso la 37enne Esther Onane Eghianruwa, di nazionalità nigeriana. L’uomo, disoccupato, confessò subito l’omicidio, compiuto con un colpo di pistola alla testa, il 20 gennaio 2018 in un hotel di Dalmine. Fu lo stesso Vitali a chiamare i soccorsi chiedendo un intervento immediato perché c’era una donna grave. Arrivarono i medici e i carabinieri. L’uomo non fece resistenza e venne subito arrestato dai militari di Treviglio e Dalmine. Davanti al sostituto procuratore Letizia Ruggeri, e poi di fronte al gip Marina Cavalleri, il 61enne ricostruì l’accaduto. Lui e la prostituta si vedevano saltuariamente da alcuni d’anni. Ma l’uomo, disoccupato da tempo, non aveva più soldi per gli incontri e voleva quindi chiudere la relazione con la nigeriana. Una decisione che, sempre secondo le parole di Vitali, la 37enne non aveva accolto positivamente. All’ultimo incontro, la sera del 19 gennaio, lui arrivò con la pistola (detenuta legalmente) dentro una valigetta. Per paura di essere aggredito da lei che, in collera perché voleva diradare la frequentazione, avrebbe più volte minacciato di picchiarlo.
I due dormirono insieme in una stanza in un hotel di Dalmine e, la mattina dopo, lui le puntò l’arma alla nuca. E fece fuoco. Uno sparo che pare nessuno abbia sentito. Fabrizio Vitali chiamò soccorsi e, quando sul posto arrivano i carabinieri, si consegnò spontaneamente a loro. Interrogato in carcere, Vitali raccontò in lacrime ai magistrati l’accaduto ripetendo più volte: «Non volevo ucciderla».


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