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Emiliano Santangelo detto “la bestia”, 32 anni, pluripregiudicato per molestie, violenze sessuali e atti di libidine violenta, si fingeva poliziotto per fermare le ragazzine. Dopo mesi di stalking, violenta una ragazzina di 14 anni, lei lo denuncia. Dopo 3 anni è libero e riprende a perseguitarla per altri sette anni, lei lo denuncia in continuazione, finchè la uccide a coltellate. Di nuovo in carcere, si impicca

Biella, 25 Novembre 2005


Titoli & Articoli

La follia di Emiliano Santangelo (GQ Italia – 21 novembre 2017)
Lo strano caso di Emiliano Santangelo e del delitto di Deborah Rizzato
Sono le sette del mattino del 22 novembre 2005. Una giovane venticinquenne di Cossato, Deborah Rizzato, arriva allo stabilimento tessile di Trivero, Biella, dove lavora come addetta ai controlli dei tessuti da poco più di un anno. Scende dall’auto e si appresta ad entrare in ditta. Ma ad attenderla, su un’altra vettura, c’è un uomo che purtroppo conosce bene da troppo tempo. E che nemmeno dovrebbe avvicinarsi a lei. Ha con sé un coltello. Ed è questione di pochi attimi. La colpisce sette volte e la lascia al suolo. Quindi sale sull’auto della vittima e se ne va. Non ci vuol molto ai carabinieri per capire chi sia l’assassino. Si chiama Emiliano Santangelo, 32 anni, originario di Catania ma residente a Carema, Torino, diviso dal paese di Cossato dalla Serra, la montagna che svetta alle spalle di Ivrea.
Lo stalking. Disoccupato, ha una vita sbandata. Soprattutto, dal 1995 è l’incubo di Deborah. Lei aveva solo 14 anni. Lui la testa in aria: attenzioni morbose di continuo nei suoi riguardi, fino all’aggressione che gli era costata una denuncia e una condanna penale. Da allora il rancore nell’uomo era cresciuto in un’escalation di minacce da una parte e querele dall’altra. “Sfaccendato e mitomane” lo definiscono a Carema quando i carabinieri arrivano a cercarlo. E infatti, davanti all’ingresso di casa ha appeso una targa con il titolo di “avvocato”. Ma lui non si trova. La fuga dura 24 ore. Poi viene casualmente bloccato da un vigile di Genova per non essersi fermato ad uno “stop”: è ancora a bordo della macchina di Deborah e ha con sé i documenti della giovane.
“Sono il cugino di Annamaria Franzoni” Il vigile lo raggiunge in scooter. E resta spiazzato quando Santangelo, dopo avergli fatto presente la propria fretta, sbotta: «Davvero non mi riconosce? Sono il cugino di Annamaria Franzoni». Parole deliranti che suggeriscono un controllo, da cui risulta che l’auto è rubata. Di più. Santangelo ha i jeans sporchi di sangue. E non appena si vede spacciato tenta la fuga dal portello posteriore dell’auto. Lo portano in ospedale, ma devono legarlo perché dà in escandescenze. Poi, ripresosi, si fa vedere mentre sorride.
Sua sorella Rosaria, raggiunta dai cronisti, scuote la testa: «Che vergogna, chiedo perdono a quella famiglia». Mentre Giovanna Giletti, madre di Deborah, si tormenta. «Da quando era uscito di prigione – spiega piangendo – non la lasciava un attimo in pace, voleva incontrarla, pretendeva addirittura di sposarla». Tutto sarebbe iniziato in una discoteca. Emiliano aveva preso a importunarla in maniera sempre più angosciante. I Rizzato, pur di far finire quelle pressioni, avevano cambiato il numero di telefono. Ma invano. La cercava giorno e notte. Inutili le denunce per le persecuzioni. Era sempre lì a tormentarla, nonostante fosse fidanzata con un falegname di un paese vicino. Di certo, ultimamente, Deborah cercava di non uscire più da sola.
Dalle cronache emerge che Santangelo avrebbe «sfogato» la propria violenza anche su madre e sorella. Quest’ultima commenta la cattura del fratello con parole che non lasciano adito a interpretazioni: «Vada ad ammazzarsi». E pensare che l’ultima denuncia di Deborah era appena di un mese prima, 22 ottobre: «mi perseguita, mi minaccia, non ne posso più» raccontava ai poliziotti. Lettere, telefonate, sms, pedinamenti. Ma non era l’unica ad averlo denunciato. Tanto che la Procura di Biella, durante la fuga dell’uomo, aveva disposto misure di sicurezza per le ragazze che in passato Santangelo aveva molestato. Due lo avevano accusato nel ’97 di violenza sessuale. Per un’altra denuncia del genere, lo avevano condannato a nove mesi. Non manca nel curriculum dell’arrestato anche una denuncia per sostituzione di persona, giunta quando si scoprì che si spacciava per poliziotto per fermare le ragazzine. Querele per atti di libidine violenta gli erano state mosse da due cubiste di una discoteca di Vercelli.
La fine È evidente che qualcosa nella sua mente non funzioni. E infatti in passato è stato ricoverato in un centro di igiene mentale e prende un’invalidità civile per problemi psicologici. Davanti al pm le sue parole lasciano di sasso. Sostiene di non ritenersi capace di uccidere, ma precisa: «Se è vero che l’ho fatto, anche se non credo di essere capace di fare una cosa simile, chiedo scusa ai familiari della ragazza, alla ragazza e a mia madre». Sostanzialmente, spiega, non ricorda nulla.
La sorella di Deborah, Simona, si sfoga sui giornali, perché Deborah non è mai stata tutelata abbastanza dalle forze dell’ordine: «In dieci anni non hanno mai fatto niente: la scusa era sempre la stessa, abbiamo le mani legate. La paura cresceva sempre più con il tempo, eravamo letteralmente perseguitati da questo pazzo, non solo Deborah, ma tutta la famiglia. Ci hanno tagliato le gomme più volte e anche tentato di bruciare l’auto».
Santangelo pare interessarsi al satanismo. Poco dopo l’arresto, avrebbe confidato di sentirsi a volte “angelo” e a volte “diavolo” e che proprio il diavolo gli consigliava di non parlare all’interrogatorio. Nell’auto usata per la fuga è poi stato trovato un biglietto con l’anagramma di parte del cognome: “Satan”. E ai propri avvocati avrebbe detto di aver inviato a Deborah anche biglietti raffiguranti croci rovesciate e il numero 666, quello della Bestia biblica. Non si sa bene cosa significhi. Di certo non perde il vizio di minacciare. Anche se stavolta cambia obiettivo: se la prende con Cronaca Vera. Il settimanale non ha usato mezzi termini per definirlo e riceve una lettera datata 12 dicembre e pervenuta il 15, con minacce al direttore e alla redazione. La firma è“Santangelo Emiliano” e la lettera non è affrancata: qualcuno l’ha portata quindi a mano da Biella alla redazione di Rho e l’ha lasciata lì. Ma chi è il postino misterioso? Non ci sarà il tempo per approfondire. La sera del 3 febbraio 2006 Santangelo si suicida in cella infilando la testa in un sacchetto di plastica.


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