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Dritan Sulollari, 37 anni, disoccupato, padre. Sgozza la moglie e dice al figlio che la mamma è partita

Gradisca d'Isonzo (Gorizia), 8 Novembre 2017


Titoli & Articoli

«Mamma è partita qualche giorno». La bugia del papà-killer al figlio (il Gazzettino – 9 novembre 2017)
«Non siamo di fronte all’escalation di violenza di un marito geloso: i coniugi stavano affrontando un percorso di separazione consensuale e oggi è accaduto l’irreparabile, un epilogo totalmente inaspettato»: sono le parole dell’avvocato Paolo Bevilacqua, al termine dell’interrogatorio di Dritan Sulollari, omicida reo confesso della moglie Migena Kellezi, uccisa a coltellate a Gradisca d’Isonzo (Gorizia).
Il legale ha spiegato che nonostante la situazione di grave turbamento psicologico e dopo essere stato sottoposto ad un intervento chirurgico al tendine della mano, il suo assistito ha inteso rendere dichiarazioni spontanee. L’avvocato tende a escludere che alla base dell’aggressione ci possa essere il timore da parte dell’uomo di una presunta infedeltà della donna, proprio perché erano già state avviate le pratiche per giungere a un epilogo dell’unione matrimoniale. Bevilacqua ha voluto sottolineare il dramma interiore dell’assassino, una volta resosi conto dell’enormità di quanto aveva fatto. L’uomo ha cercato, riuscendoci, di evitare al figlio lo strazio di vedere la mamma morta: ha raccontato al bambino che egli doveva essere medicato in ospedale per le ferite alla mano e che la madre si era allontanata per qualche giorno per raggiungere dei parenti in Albania.
Uccide la moglie con il figlioletto in casa: “Mi rinfacciava che non lavoravo” (Tiscali – 10 novembre 2017)
L’uomo nel corso del l’interrogatorio svoltosi di fronte ai carabinieri del Nucleo investigativo di Gorizia ha dichiarato di non avere “nessuna immagine dell’aggressione”
“Ricordo solo che stavamo litigando. Mi rinfacciava che non lavoravo e, subito dopo, come se il tempo di fosse fermato, sento mio figlio che mi chiama dall’altra stanza”. E’ quanto ha riferito il 37enne Dritan Sulollari, reo confesso dell’omicidio della moglie, avvenuto giovedì scorso a Gradisca d’Isonzo (Gorizia). L’uomo, nel corso del l’interrogatorio svoltosi di fronte ai carabinieri del Nucleo investigativo di Gorizia e del suo legale di fiducia Paolo Bevilacqua, ha dichiarato di non avere “nessuna immagine dell’aggressione”.
“Mi rinfacciava che non lavoravo” L’albanese rammenta solo che il litigio  era scoppiato per le solite ragioni: “Che non avevo un lavoro e che stavo sempre in casa. Inoltre, non c’era accordo sulla separazione e sull’affido del bambino”. Nulla però sulle fasi dell’aggressione. “So che ho evitato di far vedere a mio figlio che ha solo 8 anni  la mamma morta in camera e gli ho detto che mi ero ferito e che dovevo andare in ospedale – ha concluso Sulollari – ma non chiedetemi cosa sia accaduto quando avevo il coltello in mano e come mi sono ferito alla mano perché non lo so”.
Al momento dell’omicidio figlio della coppia era a letto.  Secondo le prime ricostruzioni, la lite, culminata con una coltellata fatale alla gola della donna, sarebbe avvenuta attorno alle 7.30 di giovedì. Per questo il bimbo di otto anni non era ancora stato svegliato dalla mamma per andare a scuola. L’assassino, resosi conto della gravità del gesto, sarebbe rimasto moltissimo tempo accanto al cadavere della moglie, salvo poi decidersi a chiedere l’intervento delle forze dell’ordine anche per evitare che il figlio vedesse la tragica scena della madre priva di vita. Il bambino è stato affidato dal giudice minorile ad un amico di famiglia della coppia in attesa di capire cosa accadrà quando arriveranno i nonni dall’Albania.
Uccisa da una coltellata alla gola. Secondo i primi rilievi del medico legale, la vittima è stata uccisa da alcune coltellate, tra cui un fendente alla gola che non le ha dato scampo. Dolore e costernazione tra i vicini anche perché la coppia non avrebbe mai dato l’impressione di avere dei problemi. Dopo i rilievi della Scientifica, il magistrato di turno ha dato il nulla osta per la rimozione della salma.
Il ricordo delle colleghe. “Migena era una persona fantastica ed era sempre sorridente: non possiamo darci una spiegazione per questa tragedia”: così le colleghe del negozio di telefonia di Villesse (Gorizia) dove la donna lavorava da un paio di mesi. “Si era inserita alla perfezione – hanno aggiunto – anche perché aveva precedenti esperienze nel settore” Quanto a eventuali attriti con il marito, le colleghe dicono di non sapere nulla. “C’è stato troppo poco tempo per entrare in intimità – spiegano – Comunque non ne ha mai parlato male. Non avevamo la minima idea che potesse accadere questo dramma”.

Omicidio di Gradisca: negati i domiciliari all’omicida (il Friuli – 30 novembre 2017)
Migena Kellezi uccisa con due coltellate. Dritan Sulollari potrebbe uccidere ancora
Sono due le coltellate che hanno provocato la morte di Migena Kellezi, la donna uccisa dal marito a Gradisca d’Isonzo. A rivelarlo l’autopsia eseguita sabato scorso, a Udine dal medico legale, Carlo Moreschi. Tra 60 giorni saranno pronti anche gli esiti di altri esami eseguiti che completeranno il quadro.   Dritan Sulollari, il marito reo confesso chiuso in carcere a Gorizia, avrebbe colpito la moglie con una decina di fendenti. C’è pericolo di fuga e di inquinamento delle prove, ma soprattutto Sulollari potrebbe uccidere ancora – queste le motivazioni con cui è stata respinta la richiesta dei domiciliari. Il legale, Paolo Bevilacqua, però ha annunciato di voler impugnare il provvedimento.

 

Femminicidio a Gradisca: sconto di pena per il marito (il Piccolo – 19 ottobre 2019)
Ridotta da 20 a 19 anni la condanna a Sulollari che uccise la moglie Migena a coltellate. Inalterati i risarcimenti stabiliti per i familiari della vittima e il figlio minorenne
Ridotta a 19 anni la pena a carico dell’albanese 37enneDritan Sulollari, che l’8 novembre 2017 uccise la moglie Migena Kellezi, 30 anni, in un appartamento di via della Campagnola, a Gradisca d’Isonzo. La sentenza di primo grado, che di anni ne aveva stabiliti 20, a fronte del rito abbreviato, è stata riformata dalla Corte d’Appello, al termine di una lunga udienza, ieri mattina, al Tribunale di Trieste. La Corte, presieduta da Igor Maria Rifiorati, ha pronunciato la sentenza dopo oltre due ore di Camera di consiglio. Un anno in meno, dunque, accogliendo il concordato che è stato patteggiato tra la Procura generale, attraverso il dottor Federico Prato, e la difesa, rappresentata dall’avvocato Paolo Bevilacqua. Motivo di accordo è stata la riduzione dell’aumento di pena in ordine all’aggravante legata al figlio della coppia, minorenne, che era in casa la mattina del tragico evento. L’applicazione per questa aggravante è stata una riduzione di pena di un anno, portando a 29 anni la condanna complessiva, rispetto ai 30 anni stabiliti in primo grado, giungendo pertanto ai 19 anni per effetto dello sconto di un terzo previsto dal rito abbreviato.
Sono state confermate tutte le altre disposizioni contenute nella sentenza del Tribunale di Gorizia. Invariate quindi anche le provvisionali, 70 mila euro per ciascun genitore della vittima, 50 mila euro per la sorella di Migena, nonché 250 mila euro per il figlio della coppia. Durante l’udienza è stata illustrata l’istanza di patteggiamento di concordato, a fronte del parere favorevole della pubblica accusa, la Procura generale. Sono seguiti gli interventi delle parti civili, gli avvocati Alberto Tarlao che rappresenta la madre e la sorella di Migena Kellezi, e Fabrizio Carducci che sostiene il padre della vittima, i quali si sono espressi per il non accoglimento del concordato.
I legali di parte civile, all’esito del procedimento, hanno osservato: «La riduzione si è limitata ad un anno, rispetto alla pena stabilita in primo grado. Ritenevamo, tuttavia, giusta la conferma dei 20 anni, anche perché l’imputato meritava una pena ben maggiore. Ora – hanno aggiunto i legali – con le recenti riforme intervenute, l’imputato sarebbe stato condannato alla massima pena. Non sono infatti più previsti riti abbreviati per i reati punibili con l’ergastolo, anche in ordine al reato di omicidio nei confronti del coniuge».
Migena Kellezi era deceduta per choc emorragico da lesioni vascolari multiple provocate da un coltello da cucina. Alla donna erano stati inferti fendenti diffusi in più parti del corpo. Lo stesso 37enne era rimasto ferito al palmo della mano. Dopo la morte della consorte, l’uomo aveva chiamato al telefono un amico carabiniere per raccontargli quanto aveva appena compiuto: «Ho fatto una sciocchezza», sarebbero state le prime parole pronunciate da Sulollari al carabiniere.
Il 37enne, che da 20 anni si trovava in Italia proveniente dall’Albania, con un difficile percorso di vita che l’aveva inserito in più contesti lavorativi, allora era in attesa di occupazione e da tempo comunque provvedeva ad ogni incombenza domestica. La coppia, da quanto all’epoca era dato sapere, era in via di separazione.

 


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