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Domenico Digiglio, 47 anni, ex ispettore di polizia penitenziaria in pensione anticipata, padre. Uccide a colpi di pistola la moglie e si suicida

Mestre (Venezia), 27 Settembre 2009


Titoli & Articoli

Congedato e in via di separazione,ha ucciso la moglie e si è tolto la vita (La Nuova Venezia – 28 settembre 2009)
Domenico Digiglio, 47 anni, ha sequestrato la moglie Emanuele Pettenò dentro la sua auto, poi l’ha assassinata e infine si è ucciso
Stressato da un lavoro cambiato e non disposto ad accettare la fine del matrimonio, Domenico Digiglio, 47 anni, ex ispettore della polizia penitenziaria ha ucciso la moglie Emanuela Pettenò, 42 anni, e si è suicidato. E’ successo la notte tra sabato e domenica, verso le 4.30, in via Cimitero a Campalto. I due vivevano con i tre figli in via Case Nuove a Marghera.
Quando l’ispettore della volante ha aperto la portiera della piccola «Citroen C2», Digiglio si muoveva ancora, piccoli sussulti di una vita che se ne stava andando. Un leggero filo di sangue gli usciva dalla tempia. Era ancora vivo. E’ morto mentre i sanitari del Suem, dopo averlo stabilizzato, lo stavano trasportando all’ospedale. E’ l’ultimo atto di una vicenda che per tante persone che conoscevano la coppia ha dell’inatteso. Tutti pronti a dire che pur capendo il tormento che lo attanagliava, mai avrebbero pensato a quanto si è consumato a Campalto. Ma nessuno ha capito fino in fondo il cortocircuito che si era innescato nell’uomo pronto a preparare l’omicidio-suicidio nei particolari con la meticolosità che lo ha sempre contraddistinto.
L’ultimo atto ha inizio verso l’1.30 della notte quando il figlio maggiore della coppia, Daniele, che ha 26 anni, vede uscire di casa il padre. A quell’ora la madre, che lavora come guardia giurata alla Save Security, non è ancora rientrata dopo essere uscita con un’amica per andare a cena in un locale di Marghera. La sorte vuole che a quell’ora Emanuela Pettenò saluti l’amica e prenda la strada di casa. Da questo momento in poi e fino alle concitate fasi finali del dramma, gli agenti della Squadra Mobile che si occupano delle indagini fanno una ricostruzione ipotetica.
A quanto pare l’uomo telefona alla moglie e le dà appuntamento nei pressi del luogo dove lei ha parcheggiato. Quando esce di casa Digiglio, di sicuro, ha la pistola Beretta calibro 7.65 che la moglie, per lavoro, tiene chiusa in una cassetta di sicurezza in casa. E’ riuscito a fare la copia della chiave della serratura e con questa ha aperto il piccolo forziere. E’ l’elemento che fa dire alla polizia che si tratta di un omicidio suicidio premeditato. Dall’1.30 e fino alle 4.20 della coppia non si sa più nulla. Alle 4.20 la donna chiama il figlio maggiore. La sua voce al telefono è concitata dice che Domenico l’ha sequestrata, la minaccia con la pistola. Spiega di trovarsi in via Cimitero a Campalto. Gli uomini del capo della Mobile Marco Odorisio sono convinti che la telefonata sia stata voluta da Digiglio.
Il figlio in preda alla paura chiama il 113. Spiega della telefonata, è choccato. Le parole gli escono confuse ma riesce a fornire all’operatore della centrale il numero di cellulare della madre spiegando anche dove i genitori si trovano. L’agente del 113 chiama il numero per capire che non si tratti di un terribile scherzo. Dall’altra parte risponde la donna che terrorizzata grida: Mi minaccia, ho paura, ha la pistola». La donna non fa in tempo a dire di più perchè Digiglio le strappa dalle mani il cellulare e rivolgendosi al poliziotto dice: «Adesso la faccio finita con lei». Poi riattacca.
Nel frattempo vicino al cimitero sono arrivate due volanti della questura. Gli agenti si mettono a cercare l’auto. Mentre gli agenti con le torce stanno guardando tra i campi sentono due colpi di pistola. Capiscono che la tragedia si sta consumando. Grazie al rumore individuano il luogo dove è parcheggiata l’auto. Con mille cautele nel buio si avvicinano. Trovano lui agonizzante seduto sul sedile lato passeggero. La donna è morta, il collo e il torace trapassati da cinque colpi. Digiglio muore durante il trasporto all’ospedale. (di Carlo Mion)


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