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Denis Occhi, 37 anni, muratore con precedenti penali, padre. Si intrufola in casa dell’ex moglie e la uccide con un’accetta. Condannato a 20 anni in primo grado, viene assolto in appello e non viene presentato ricorso in Cassazione. Le denunce per maltrattamenti cadono in prescrizione. Quando confessa di essere l’assassino, il processo è ormai passato in giudicato e lui resta libero e innocente. Nonostante le perizie lo abbiano definito “socialmente pericoloso” e sia stata disposta una “sorveglianza speciale”, continua a commettere furti e rapine a mano armata. Accusato anche di ricettazione, è irreperibile

Jolanda di Savoia (Ferrara), 25 Novembre 2004

denisocchi01gDenis Occhi, 37 anni, muratore con precedenti penali. Ex marito di Giada e padre della bambina. Dopo essere stato assolto, confessa di essere l’assassino, ma ormai il processo è passato in giudicato e resta libero e innocente.


Titoli & Articoli

 

L’assassino libero per legge (La Stampa – 5 gennaio 2009)
Confessa dopo il processo: «Ho ucciso io mia moglie». Già assolto con sentenza definitiva non è punibile
Vorrei confessarmi». Ma non è una chiesa, è la questura. Dica, allora. «Ho ucciso mia moglie». Che ha fatto? «Mia moglie… l’ho uccisa io». Quando? Dove? «Nella sua casa». Sì, ma quando? «Quattro anni fa». Quando?? «Gliel’ho detto. Quattro anni fa. Era novembre 2004».
L’ispettore e l’agente si guardano. Ha un documento? Ecco il documento. Si chiama Denis Occhi, 33 anni, muratore. Aveva già confessato una volta la stessa cosa. Lei era stata massacrata nella casa dove viveva con il nuovo compagno e Denis aveva ammesso, era stato condannato a vent’anni, però aveva ritrattato, in appello era stato assolto per prove non sufficienti e al suo legale il personale della questura ha specificato: «Non più giudicabile», per ricorso non presentato o respinto. Assolto per sempre. In queste feste tra Natale e l’Epifania ci ha pensato su. Dopo Capodanno va alla polizia e dice: «Sono tormentato perché sono stato io». Dopodiché firma il verbale e torna a casa.
«Coscienza» e «diritto» viaggiano su sentieri che si incontrano davanti alle uniformi ma non possono più incidere l’un sull’altro. In «nome del popolo italiano» è innocente. In nome suo è un altro paio di maniche. «Avvocato, mi crederanno?». Si costituisce un po’ in ritardo, in piene festività. Chiamano un legale di turno perché lo assista d’ufficio. Giovanni Montalto si sta occupando di arte e musica, organizza un concerto jazz, lascia tutto e corre da questo strano cliente. Stilano una pagina e mezzo di quello che vuole dichiarare: «Ci penserò su. Chissà se è un tormento o è un condizionamento della propria vita, del carcere che ha fatto, di reminiscenze confuse o se è qualcosa che gli ha lavorato dentro». Una cosa è certa: Denis Occhi non sapeva di essere «esente» dalla prigione. «Adesso verranno a prendermi?», ha chiesto. No, nessuno verrà a prenderti. «Come mai?». Alla spiegazione tecnica non ha reagito: «Davvero funziona così?». Quando si sa della confessione nuova è presto circondato dai giornalisti: «Non so che dire. Ci ho pensato tanto. Ultimamente ci pensavo sempre. Dovevo liberarmi». Giù flash e domande. Alla fine ha avuto una crisi d’ansia, come se liberarsi avesse scatenato un inferno più incontrollabile e grande di quello delle toghe e delle aule di giustizia. Ha negato la confessione appena fatta e si è fatto accompagnare in ospedale, con una crisi d’ansia: «Era una cosa mia».
Il replay di allora: «Sì, va bene, lo ammetto. Sono entrato nella casa…». Era il 25 novembre 2004. Giada Anteghini, 27 anni, con una figlia di 6 anni, si era decisa a lasciare il marito ed era andata a vivere a Jolanda di Savoia col nuovo compagno. Quando uno sconosciuto entra in casa, la bimba dorme in una stanzetta, lei in un’altra. Quasi non si accorge dell’irruzione, subito un’infinità di colpi d’accetta su tutto il corpo e alla testa. La portano via ancora viva, rimane in coma, 14 mesi di agonia in ospedale. Muore il 23 gennaio 2006. Fin dall’inizio le indagini dei carabinieri si chiudono a circonferenza intorno all’ex marito. Arrivano gli uomini del Ris da Parma, si confrontano rilievi, testimonianze. E Denis cede, confessa ai carabinieri di Comacchio: «Sì, sono stato io». Lo sottopongono a una perizia psichiatrica, che rileva un disturbo di personalità border line, che non significa automaticamente «incapacità di intendere e volere».
Il 15 febbraio 2007, in primo grado, il pm Nicola Proto chiede – con il rito abbreviato – vent’anni di carcere. Il giudice per l’udienza preliminare Silvia Giorgi accoglie la richiesta: vent’anni, quattro da scontare in un istituto di cura, per omicidio volontario. Ma ci sono la ritrattazione e il ricorso in Corte d’appello, a Bologna. Dopo tre ore di camera di consiglio, il 27 febbraio 2008, il presidente Aldo Ranieri legge una sentenza che ribalta tutto: non ci sono prove a sufficienza. Ventiquattro ore dopo Occhi torna in libertà. E’ un po’ spaurito e disorientato, non sa bene come muoversi. Si presenta alla redazione del giornale locale, «La Nuova Ferrara»: «Mi hanno assolto, dice. Però la gente ha paura di me, non mi crede. Aiutatemi a far capire che io non faccio del male a nessuno, voglio solo fare la mia vita di muratore». Fine della vicenda giudiziaria.
Il muratore di Migliaro, altro piccolo centro del Ferrarese, riprende la sua quotidianità, un po’ discosto dagli altri e un po’ tra gli altri per scrutare se gli credono o no, se lo temono, se parlano quando si allontana. E che dicono? Dicono che è stato lui? Questi pensieri lo pungono, lo trafiggono, lo avvolgono quando arriva Natale. Per i detenuti era un assassino, per quelli di fuori anche. Lo è anche per se stesso? Si è convinto o si è solo pentito di aver negato? Si è pentito di essere stato assolto per qualcosa che ha fatto davvero? L’avvocato Montalto non entra nel merito della sentenza: «L’ho assistito per questa spontanea confessione». Tutto lì? «In verità no. Mi ha impressionato, mi sono anche un po’ preoccupato dopo che è tornato a casa e l’ho risentito. Subito era come non toccato dalla sorpresa, dal fatto che non sarebbe successo nulla. Ma non come uno che l’abbia messa in conto. Come uno che ha fatto quel che riteneva meglio per star bene, vero o falso che sia. Come legale preferisco discorsi tecnici alle confessioni». Pensa che possa aver mentito adesso? «Lo conosco troppo poco. Certo è che è un soggetto molto fragile, facile alla confusione, al convincimento». A lei hanno confermato che non è più perseguibile? «Sì. Esatto». Denis Occhi, ma allora perché l’hai fatto? «E’ stato quel momento». Avevi ritrattato: «Ma ora mi sono liberato. Ho detto la verità. Dovevo dirla». E, confuso, va all’ospedale col fiato che manca ma per questo assedio, per le domande, per i fotografi che lo cercano, non per il 25 novembre 2004.

«Ho guardato a lungo nostra figlia poi ho ammazzato Giada nel letto» (Corriere della Sera – 6 gennaio 2009)
Il racconto di Denis Occhi. «Non avevo intenzione di farle del male»
Il muratore di Ferrara ha confessato l’omicidio dell’ex moglie dopo essere stato assolto e ora non può più essere processato. «Ho voluto parlare perché altrimenti il rimorso mi avrebbe fatto a pezzi»
«Prima di colpire mia moglie ricordo che guardavo la mia bambina dormire nella stanza vicina con l’abat-jour accesa, come faceva sempre… Sono stato lì a guardarla per un po’, poi sono entrato nella stanza da letto di Giada e l’ho vista. Non c’era molta luce e ricordo di aver visto solo la testa. Ricordo che l’ho colpita, non so bene dove, con il tubo d’acciaio che avevo portato con me, simile a un piede di porco. Non avevo intenzione di farle troppo male…». Tutto scritto di filato. Non una pausa di riflessione né un momento di incertezza. Men che meno una lacrima.
Perché lui, Denis Occhi — l’uomo prima assolto e ora reo confesso dell’omicidio della sua ex moglie — fa sempre così: racconta ogni cosa allo stesso modo, senza emozioni apparenti. Chi lo ha visto scrivere questa confessione (la prima, da indagato) o l’ha sentito parlare di «quella sera» venerdì scorso (ammissioni-fotocopia ma ormai da imputato assolto definitivamente) giura che Denis ha l’aspetto di uno che si sta preoccupando di una contravvenzione, niente di più. Dopodiché ogni volta ritratta. Eppure quando confessa (l’ha già fatto tre volte) mescola ricordi confusi a dettagli così precisi che quasi quasi lo puoi vedere mentre scardina la porta della vittima, mentre si ferma sull’uscio della cameretta di sua figlia, mentre infierisce contro Giada, che morirà dopo 14 mesi di coma profondo.
Era il 25 novembre 2004. «Quel giorno, nel pomeriggio, c’era stata una telefonata brusca fra me e mia moglie» attacca Denis nel suo ultimo verbale. «Avevamo discussioni continue per la separazione e perché lei non voleva farmi vedere la bambina. La telefonata è finita a insulti e io alla sera decisi di andare da lei per un chiarimento. Volevo parlare con lei della mia bambina e allora sono andato fino a Jolanda di Savoia, dove lei viveva con il suo nuovo convivente».
Denis, oggi disoccupato ma all’epoca muratore, aveva portato con sé un «cacciaspine » una specie di punteruolo sottile che serve a smontare valvole e bulloni. Qualche volta, nelle due precedenti confessioni, Denis chiama quell’attrezzo «tubo d’acciaio». «Per entrare in casa ho dovuto rompere con il tubo d’acciaio la porta d’ingresso e poi la porta delle scale», dice. Parla della pausa davanti alla cameretta della bambina, poi di come «nel buio ho colpito Giada, non so dove. Ricordo che tutto è durato più o meno venti minuti. Dopo sono corso via, in macchina, fino al Ponte della Madonnina e lì ho gettato in acqua il bastone d’acciaio». La parte che riguarda l’arma (mai trovata) è diversa dalle altre nell’ultima confessione. L’altro giorno l’ex imputato ha raccontato di aver «nascosto vicino alla casa di Giada il cacciaspine con cui l’avevo colpita. Sono andato a riprenderlo il giorno dopo e quel punto l’ho gettato fra il materiale del cantiere di una casa in costruzione».
Fuori verbale, al suo avvocato (Giovanni Montalto), ha aggiunto che «ero disperato, sono andato a casa e ho pianto tutta la notte. Sono rimasto lì, fermo, ad aspettare i carabinieri. Non lo so perché è successo ma è successo, mi è preso un raptus ed è andata a finire così ». Anche venerdì, dopo la deposizione negli uffici della Squadra mobile di Ferrara ha chiesto al suo legale: «quando vengono a prendermi per arrestarmi? » Prima di cominciare la deposizione il difensore aveva provato a ragionare sull’opportunità di una nuova confessione. «La voglio fare, la devo fare per forza sennò il rimorso mi farà a pezzi ». I giudici della corte d’assise d’appello che l’hanno assolto dopo i vent’anni del primo grado scrivono di lui che si comporta «come se fosse stretto fra una pulsione autoaccusatoria e la controspinta innocentista» e che «a volte prevale la prima, a volte la seconda». Come davvero sia andata quella sera di novembre non sarà mai più accertato. Nessuno saprà mai se ha ragione il Denis che ripeteva a sua madre «ti spacco la testa come a Giada» oppure quello che oggi balbetta «nessuna confessione, mi avete tutti frainteso».

I medici lo avevano previsto: “Occhi confesserà e ritratterà ancora”
L’OMICIDIO DI GIADA VISTO DAGLI ESPERTI
“Se ci fosse stata una sola confessione, giunta dopo una sentenza irrevocabile di assoluzione, avrei detto senza dubbio che Denis Occhi era colpevole, e aveva confessato per soddisfare un bisogno di espiazione. Ma adesso, dopo quattro ‘rivelazioni’ e altrettante ritrattazioni, inizia a essere chiaro che qualcosa non va: al di là del coinvolgimento oggettivo, chi fa una cosa del genere ha una personalità disturbata e malata. E potrebbe confessare e ritrattare di nuovo, pur non essendo colpevole”.
Renato Ariatti, psichiatra bolognese, è uno dei luminari delle perizie ‘criminali’. E pur non essendo stato il perito del caso occhi, spiega come le dichiarazioni del 32enne di Migliaro — e le successive ritrattazioni — siano da prendere con le molle. “Perché lui, comunque, ha problemi di personalità importanti. E ci sono personalità molto simili a quelle borderline, quelle dei mitomani, di cui vedo in questo caso molti aspetti”.
Borderline:
 partiamo da qui. Da questa parola che in inglese significa disturbo della personalità che provoca instabilità grave e comportamenti imprevedibili. Così durante il processo lo psichiatra milanese Franco Martelli aveva definito Occhi. Una persona “socialmente pericolosa”, affetta da “disturbo di personalità con prevalenti componenti di tipo borderline”. E se giudicato responsabile, si dovrà “ritenere che la sua capacità d’intendere e volere” all’epoca dei fatti “fosse grandemente scemata a causa del disturbo di personalità di rilevante incidenza clinica”.
Questo era il succo della perizia psichiatrica sul muratore. Diciotto pagine vergate in cinque mesi di lavoro da Martelli per spiegare che Occhi in parte aveva problemi (e la diminuzione della pena lo dimostra). “Occhi è persona caratterizzata da vivissima suscettibilità al confronto con scenari di pensiero diversi dal proprio, da spiccata reattività, da impulsività e da un assai precario controllo degli impulsi, in specie quelli aggressivi”, si legge nella perizia. Dove si spiega anche che Occhi “ha una povertà di ideazione” e che spesso i suoi pensieri e quello che esprime non corrispondono a realtà.
“Nessuno saprà mai se sia stato Occhi a uccidere la ragazza — continua Ariatti — ma io riscontro in lui molti aspetti del mitomane. C’è come un bisogno di autoincolparsi per sentirsi più importanti, c’è la necessità di ritagliarsi dei ruoli fantastici in queste persone disturbate. E l’oscillazione continua di Occhi, anche a distanza di così tanto tempo, fra confessioni e ritrattazioni, fa pensare a un problema serio di personalità. Fa pensare a una mitomania che si è sviluppata non su base delirante, ma su base di protagonismo. E in questo senso la falsificazione del ricordo serve proprio al bisogno di protagonismo”. Per lo psichiatra “Occhi ha problemi a prescindere dal coinvolgimento oggettivo nella vicenda”. E dunque questo non aiuta “a rendere credibili le sue dichiarazioni”.
La continua oscillazione di Occhi dalla condizione di innocente a colpevole, da quella di ‘buono’ a ‘cattivo’, trova riscontro anche nella relazione di Martelli, che riporta nel suo documento una frase del muratore: “Io sono buono ma in giro hanno paura di me, perché sanno che picchio, e quando picchio perdo la testa, perdo la cognizione, non mi interessa niente, anche se so che mi metto nei guai”.
Vanno dunque separate, secondo gli specialisti, la capacità processuale e la difficoltà nel relazionarsi con gli altri e di esprimere i pensieri da parte di Occhi. Questo anche alla luce delle continue confessioni: “Che non confermano la colpevolezza, anzi…”

Denis Occhi patteggia sette mesi (La Nuova Ferrara – 23 marzo 2011)
Altri guai giudiziari per Denis Occhi, giá processato e poi assolto per l’omicidio della ex moglie Giada Anteghini.  L’uomo ieri in tribunale ha patteggiato una pena di 7 mesi (con una multa di 200 euro) per furto aggravato. I fatti risalgono al marzo del 2009, quando Occhi si impossessó di un furgone Ford Transit parcheggiato in una strada di Mesola e con le chiavi inserite nell’accensione. Il proprietario aveva denunciato il furto e poco dopo aveva ‘avvistato’ l’auto rubata segnalando il fatto ai carabinieri. I successivi accertamenti avevano permesso di risalire a Denis Occhi. Ieri il patteggiamento davanti al giudice Rizzieri. La pubblica accusa era sostenuta dal giudice onorario Elisa Bovi.

Tentata rapina, fermato Denis Occhi (Estense.com – 21 marzo 2012)
Sarebbe il reo confesso dell’omicidio della moglia Giada l’autore del reato
Sarebbe un personaggio ben noto alle cronache l’uomo che questa mattina attorno alle 9.30 ha tentato una rapina all’Interspar del Darsena City a Ferrara. Si tratta di Denis Occhi, il 34enne condannato in primo grado a 20 anni e poi assolto in via definitiva dall’accusa di aver ucciso l’ex moglie Giada Anteghini nel 2006, poi sorvegliato speciale come misura di prevenzione sociale. Fu un caso nazionale quello di Occhi, divenuto tale dopo che l’uomo si presentò in questura per autodenunciarsi dell’omicidio della moglie, uccisa con colpi di accetta alla testa.

 

 

Nuovi guai per Denis Occhi, ma è irreperibile (Estense.com – 8 giugno 2018)
L’uomo noto per aver confessato l’omicidio della ex moglie dopo essere stato assolto in via definitiva è a processo per ricettazione È a processo per la ricettazione di un assegno, ma è irreperibile con le udienze che continuano ad essere rinviate. L’imputato è Denis Occhi, noto alle cronache per aver confessato il violento omicidio della ex moglie solo dopo essere stato assolto in via definitiva.
Il fatto è relativo al 2015, ma la procura non è stata in grado di trovare Occhi e notificargli le accuse a lui rivolte. L’uomo nel marzo 2012 era stato anche arrestato per aver compiuto  una rapina all’Interspar all’interno del Darsena City.
Occhi nel novembre del 2004 massacrò con una spranga la ex moglie, Giada Anteghini, 27 anni, mentre dormiva nella casa del suo nuovo compagno, dove era presente anche la figlia di 6 anni. La donna entrò in coma senza più risvegliarsi e morì un anno dopo. L’uomo confessò in un primo momento – per poi ritrattare subito dopo – e venne condannato in primo grado a 20 anni di reclusione. Nel 2008 venne assolto dalla corte d’appello e la sentenza divenne definitiva. Nel gennaio 2009 si presentò in caserma e confessò di nuovo tutto.

NUOVI GUAI PER OCCHI  – Paga con assegno rubato Condannato dal giudice (la Nuova Ferrara – 11 febbraio 2021)
Accusato di aver usato un assegno rubato, ieri è stato condannato alla pena di 9 mesi dal giudice Silvia Marini su richiesta della pm Stefania Borro: protagonista del processo di ieri mattina in tribunale Denis Occhi, al centro in passato del caso dell’omicidio dell’ex moglie, Giada Anteghini, per cui Occhi venne assolto e poi combattuto dai rimorsi confessò alla polizia di aver ucciso lui la donna: però, essendo stato assolto in via definitiva, scattò per lui il principio “ne bis in idem” (non si può essere processati due volte per lo stesso reato) e restò libero. E da allora raccoglie guai anche processuali: quello di ieri per aver speso una assegno rubato, nel settembre 2015, alla Coop, Occhi lasciò invece ai commessi documenti e il suo telefono e quando si scoprì che l’assegno non era spendibile (faceva parte di un libretto che era risultato rubato) scattò la denuncia di ricettazione: per la cronaca in questo modo Occhi spese 698 euro, compilando la cifra nell ’assegno. —

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