Loading

Claudio Ghesla, 49 anni, imbianchino. Uccide a bottigliate la fidanzata, poi va a cena con un amico. Condannato a 16 anni con rito abbreviato

Trento, 31 Dicembre 2011


Titoli & Articoli

«Mi ha deriso e umiliato e l’ho colpita» (Giornale Trentino – 3 gennaio 2012)
Claudio Ghesla ha confessato di aver massacrato Sara Marquez
«Mi ha deriso e umiliato. Diceva che io ero innamorato perso di lei, che le avevo già dato un sacco di soldi e che, se avesse voluto, avrei continuato. Così non ci ho visto più e l’ho colpita». Claudio Ghesla quando parla è agitato e nervoso. E’ passata da poco l’una di notte, quando viene interrogato dagli uomini della squadra mobile dal pm Alessia Silvi. Confessa di aver ucciso Sara Marquez Micolta, la ragazza della quale era innamorato.
L’uomo, assistito dall’avvocato Mirella Cereghini, è stato arrestato a tempo di record, all’una della notte tra sabato e domenica, nei pressi di un locale di Trento nord, ritrovo della località colombiana. Ad attirarlo un amico di Sara, un transessuale che aveva fatto conoscere l’uomo e la giovane colombiana. Infatti, Ghesla, dopo essere scappato dalla casa di Sara ha iniziato a chiamare le amiche della giovane chiedendo cosa fosse successo. Questo ha attirato i sospetti degli uomini della squadra mobile che lo hanno fatto chiamare dal transessuale. Una volta arrestato, l’uomo ha, in un primo momento, ha negato di conoscere bene Sara, poi ammesso di aver colpito la ragazza, con la quale aveva una relazione sentimentale da 6 mesi, in preda a un raptus violento e cieco e di aver lasciato l’appartamento di via Brennero nella convinzione che la ragazza fosse ancora viva. Infine è crollato e ha confessato tutto.
La confessione di Ghesla è agghiacciante. Nel suo racconto, durato quasi due ore, l’imbianchino di Calceranica parte dal pomeriggio di sabato, da quando, verso le 17, dice di aver dimenticato il telefonino nel garage in cui viveva, a Madonna bianca. In quel momento Sara lo ha chiamato più volte. L’uomo non ha risposto. Ghesla dice di aver trovato il cellulare verso le 19 e di aver subito richiamato la ragazza. Secondo il suo racconto, al telefono la giovane gli avrebbe fatto una scenata di gelosia. Gli avrebbe chiesto urlando: «Eri con un’altra donna?». L’uomo ha negato e poi si è fatto accompagnare da un amico al complesso Le Fornaci, in via Brennero, dove Sara riceveva i clienti. La ragazza, infatti, viveva da un’altra parte, in un residence del centro. Aveva preso in affitto quell’appartamento con l’amica Ivon da due settimane e lì Claudio non c’era mai stato. L’uomo è salito in casa verso le 19,30.
L’omicidio. L’orario è confermato dalla vicina di casa Terry Velazquez che verso quell’ora ha sentito iniziare una furiosa discussione. Ghesla ha detto che ha cercato di spiegarsi, di dire che lui amava Sara e che non aveva altre donne. A quel punto, la giovane lo avrebbe deriso. Tutto sarebbe partito dal fatto che Ghesla poche settimane fa aveva dato 5 mila euro a Sara per spedirli ai suoi genitori in Colombia. L’imbianchino racconta: «Mi ha umiliato e ha riso di me. Ha detto che io gli avevo già dato un sacco di soldi e che gliene avrei dati ogni volta che lei avesse voluto. Ha detto che io dipendevo da lei. Io non ci ho visto più. Ho afferrato una bottiglia di liquore e gliel’ho rotta in faccia». Da questo momento Ghesla si è trasformato in una furia. La ragazza si è accasciata sul divano. Lui ha afferrato un’altra bottiglia, questa volta di spumante e piena, ed è saltato sopra la povera Sara.
L’ha colpita almeno altre otto, nove volte con furia, sulla testa, sulla nuca. Una furia devastante. La ragazza non è morta subito. Rantolava. Nel frattempo, Ghesla ha afferrato la bottiglia con la quale l’aveva colpita e alcune lenzuola sporche di sangue che stavano sul divano. Uscendo è stato visto da un’amica di Sara. La fuga. Appena fuori dal complesso Le Fornaci, Ghesla ha chiamato al telefono l’amico che lo aveva accompagnato. Si è fatto venire a prendere in via Brennero. Le sue scarpe e i suoi vestiti erano sporchi di sangue e ha chiesto di potersi cambiare. L’amico lo ha accompagnato a casa sua e gli ha prestato dei vestiti e delle ciabatte. Poi, i due sono andati in auto verso Gardolo.
Sulla strada all’ingresso della tangenziale ha gettato la busta con i vestiti sporchi di sangue. Poco più avanti ha gettato la bottiglia usata per l’omicidio. Poi Ghesla si è fatto portare a casa sua. Ha indossato vestiti suoi. Infine, i vestiti che gli aveva prestato l’amico li ha gettati nei campi vicino ad Aldeno. Quando, si è cambiato e lavato e si è sbarazzato di vestiti e bottiglia ha iniziato a telefonare alle amiche di Sara. La ragazza, nel frattempo, è stata trovata dalla sua coinquilina e dai vigili del fuoco. In via Brennero è arrivata anche la polizia che, sentendo le prime testimonianze, ha subito sospettato di Ghesla. L’uomo alle amiche di Sara diceva di essere a Verona, ma appariva come molto ben informato. Così gli uomini della squadra mobile hanno deciso di attirarlo in trappola.

 

Dopo il massacro Ghesla è andato a cena (Giornale Trentino – 5 gennaio 2012)
Nuovi particolari sulle indagini della polizia sull’omicidio di San Silvestro
Una cena nel veronese dopo il delitto. Questo è il nuovo particolare emerso dalle verifiche della polizia sull’omicidio di San Silvestro. Il lavoro dei poliziotti va infatti avanti per definire in maniera univoca e chiara tutto il contesto in cui si inserisce la morte violenta di Sara Micolta Marquez, morte per la quale Claudio Ghesla è in carcere.  E si lavora in particolare sulle ore precedenti e seguenti la scoperta del corpo agonizzante della ragazza colombiana.
Si è così scoperto che Ghesla, una volta uscito dall’appartamento di via Bolzano, ha chiamato un amico e dopo essersi cambiato gli abiti (sporchi di sangue) i due sarebbero andati nel veronese per una cena. Come se nulla fosse successo. A quel punto sarebbero state le numerose telefonate arrivate a Claudio da amiche ed amici di Sara a spingerlo a tornare a Trento, In particolare quella fatta dal viado contattato dalla mobile lo avrebbe convinto definitivamente ad accettare un appuntamento fuori da un locale di via Brennero. E lì, ad aspettarlo, ha trovato i poliziotti.
Ieri intanto è stata eseguita l’autopsia sul corpo della 28enne colombiana. Il medico per i risultati si è preso 90 giorni ma la causa della morte è riconducibile allo sfondamento del cranio e al dissanguamento. Oggi il sostituto procuratore Alessia Silvi dovrebbe quindi firmare il nulla osta per la sepoltura e così il corpo della ragazza potrà tornare in Colombia grazie anche ai soldi che si stanno raccogliendo attraverso un’associazione.
Nei prossimi giorni Ghesla, che dopo le prime ammissioni si è avvalso – in sede di convalida – della facoltà di non rispondere – sarà di nuovo risentito e sono tante le domande cui dovrà rispondere.  Ricordiamo che il corpo di Sara Micolta Marquez è stato ritrovato verso le 21 della sera di San Silvestro grazie alla chiamata della sua coinquilina che, tornata a casa, aveva visto Ghesla uscire di corsa dal residence. I due avevano una relazione che durava da circa sei mesi ma quel giorno avevano litigato. «Mi ha deriso» così ha raccontato in prima battuta l’uomo che avrebbe reagito massacrando la ragazza con due bottiglie. Gli effetti sono stati devastanti. Il volto e la testa di Sara sembravano come martoriati. La ragazza ha iniziato a perdere sangue copiosamente. Poi se ne sarebbe andato.

Omicidio di San Silvestro, sedici anni a Ghesla (Giornale Trentino – 21 novembre 2012)
L’imbianchino che ha massacrato a bottigliate la fidanzata colombiana condannato ieri mattina. Deve pagare 230 mila euro, ma non ha un soldo
Non c’era, Claudio Ghesla, quando il giudice Michele Maria Benini ha letto la sentenza con la quale lo condannava per l’omicidio di Sara Micolta Marques. Sedici anni di reclusione più un risarcimento provvisionale di 230 mila euro ai parenti della ragazza, il figlio di undici anni, l’anziana madre e quattro tra fratelli e sorelli. Ad ascoltare la sentenza, oltre al pubblico ministero Alessia Silvi e all’avvocato difensore, Mirella Cereghini, c’era solo la sorella di Sara, Dolores, con lei l’avvocato di parte civile Andrea Lovato. Lo avevano chiamato il delitto di Capodanno. La sera di san Silvestro dell’anno scorso in un appartamento al secondo piano del numero civico 108 di via Brennero, Ghesla, 50 anni, imbianchino di Calceranica, aveva massacrato a bottigliate la povera Sara, una ragazza colombiana di 28 anni fuggita dal Sudamerica per guadagnare i soldi con cui mantenere il figlioletto e la mamma. Tra Ghesla e la ragazza c’era una relazione che, tra alti e bassi, andava avanti da sei mesi. Quella sera dovevano cenare insieme, ma tra i due scoppiò un litigio, Ghesla si sentì umiliato e deriso e iniziò a colpire la ragazza al volto con una bottiglia piena di spumante. La colpì una decina di volte, soprattutto al volto, poi scappò. Sara morì poco dopo. Ghesla venne arrestato quella notte stessa, dopo che gli uomini della squadra mobile l’attirarono con una scusa davanti a un locale di Trento nord, noto ritrovo di sudamericani. Aveva già fatto in tempo a disfarsi dei vestiti imbrattati di sangue e dell’arma del delitto gettandoli nei campi. Ieri mattina si è tenuta l’ultima udienza del giudizio abbreviato.
Il giudice Benini lo ha ritenuto responsabile di omicidio volontario e gli ha concesso le attenuanti generiche che ha ritenuto equivalenti alle aggravanti contestate dal pm Silvi per aver agito con particolare crudeltà e per futili in motivi. Il giudice è partito dalla pena di 24 anni, per l’omicidio il minimo è di 21 anni, alla quale ha tolto lo sconto di un terzo previsto per la scelta del rito abbreviato. Ed ecco così che è giunto alla pena finale di 16 anni. L’avvocato di Ghesla ha sostenuto la tesi dell’omicidio preterintenzionale. In altre parole, il legale ha detto che Ghesla non voleva uccidere la ragazza, ma ha reagito in maniera molto violenta alle sue provocazioni. Il giudice non ha, però, ritenuto credibile questa ricostruzione.
Contro l’imbianchino di Calceranica innanzitutto le modalità del fatto. L’uomo la notte stessa dell’arresto aveva confessato l’omicidio aveva detto che Sara l’aveva preso in giro: “Mi ha deriso e umiliato. Diceva che io ero innamorato perso di lei, che le avevo già dato un sacco di soldi e che, se avesse voluto, avrei continuato. Così non ci ho visto più e l’ho colpita”, aveva detto quella sera prima di chiudersi nel mutismo. Il giudice, però non ha creduto alla tesi del raptus o della reazione violenta a una provocazione. In primo luogo contro questa ricostruzione c’è il numero dei colpi inferto alla vittima. Ghesla ha colpito la donna prima con una bottiglia di liquore che si ruppe. Questo non lo fermò. Afferrò una bottiglia di spumante e continuò a colpire la ragazza alla testa. In tutto undici o dodici colpi violentissimi che devastarono il volto della ragazza. Non solo. Dopo aver sfogato la sua rabbia, Ghesla fuggì e non pensò minimamente a soccorrere la donna che sosteneva di aver amato. In auto lo attendeva un amico e lui portò con sé gli abiti sporchi di sangue e la bottiglia dei quali si disfece nella campagne di Ravina. Tutti elementi, questi, che contrastano con la tesi di un’esplosione di rabbia. Il giudice ha anche condannato l’imbianchino al risarcimento danni ai parenti della ragazza. Ha liquidato 65 mila euro alla mamma di Sara, altri 65 mila euro al figlio di 11 anni e 25 mila euro a testa ai quattro fratelli. In tutto, 230 mila euro.
Soldi che, però, difficilmente la famiglia di sara vedrà mai. Infatti Ghesla era praticamente nullatenente. E’ separato dalla moglie, viveva in un garage di Madonna bianca e lavorava in nero. Per questo l’avvocato Lovato ha spiegato che la parte civile è pronta a chiedere il risarcimento alla Presidenza del Consiglio. Infatti, l’Italia è già stata condannata più volte perché nel nostro ordinamento non è previsto un fondo di garanzia a favore delle vittime di questo tipo di reati.

 


Link