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Bruno Fruzzetti, 46 anni, artigiano senza un’occupazione fissa, sposato e già padre separato, con precedenti per furto e due denunce per atti osceni. Sequestra e massacra con 14 coltellate la ragazza che aveva già sequestrato e violentato quando lei era minorenne. Condannato a 28 anni, mentre è in carcere diventa attore teatrale. Nel 2013 (15 anni dopo aver ammazzato la ragazza) è sui social e contatta decine di minorenni. Oggi è un uomo libero e ha ottenuto il diritto all’oblio sul web. Ha anche ripulito tutti i suoi profili social

Torino, 13 Agosto 1998


Titoli & Articoli

L’ ho uccisa. Non volevo perderla (la Repubblica – 15 agosto 1998)
Valeria non voleva più vedermi, me l’ aveva ripetuto tante volte. Troppe. L’ ho aspettata in auto, sotto casa, per tutta la notte. Quando è uscita per andare a lavorare l’ ho chiamata, le ho chiesto di scambiare due chiacchiere per l’ ultima volta. Ha accettato. L’ ho fatta mettere al posto di guida, siamo partiti. E abbiamo subito iniziato a litigare. Le ho mostrato il coltello. Volevo solo farle paura. Ma in piazza lei ha inchiodato, ha fatto per scendere. E io l’ ho afferrata per un braccio e l’ ho colpita. Non volevo perderla…”. Mezzanotte e mezza di giovedì sera. L’ assassino di Valeria Melpignano, 21 anni, l’ impiegata di Torino massacrata a coltellate quella stessa mattina mentre andava al lavoro, si è appena costituito al commissariato di Viareggio. Addosso ha solo una maglietta polo e le mutande. I pantaloni imbrattati di sangue li ha lasciati sulla macchina abbandonata in autostrada, quella “Clio” blu noleggiata per portare la famiglia in vacanza. Polizia e carabinieri gli davano la caccia da ore: Bruno Fruzzetti, 46 anni, idraulico di San Pietro a Vico (Lucca), e originario di Massa, pregiudicato per atti osceni e furto. è lui l’ uomo che 4 anni fa aveva intrecciato una relazione con Valeria poco più che bambina e che due settimane fa era tornato alla carica sequestrandola e intimandole: “Se non torni con me ti ammazzo e la faccio finita anch’ io”.
Ieri, dalle 17 in poi, Fruzzetti è stato interrogato dal pm torinese Lo Mastro nel carcere di San Giorgio di Lucca. Per lui, o meglio per l’ immagine che amava darsi di girovago e playboy con un che di intellettuale, Valeria aveva perso la testa nel 1994: partita per una vacanza- studio presso una famiglia francese, era fuggita dopo pochi giorni ed era giunta fino a Firenze dove aveva conosciuto proprio Fruzzetti, allora divorziato, padre di due ragazzi che ora hanno 22 e 23 anni e in procinto di risposarsi con l’ attuale moglie, Rosella, madre di un sedicenne.
Recuperata fortunosamente dai genitori che avevano sporto denuncia, Valeria era scappata ancora in settembre per raggiungere il suo amore a Lucca: l’ aveva ritrovata la polizia due settimane dopo alla stazione di Pisa, stava pe ripartire con Fruzzetti per chissà dove.
Dopo quell’ estate, però, il rapporto tra i due si è rarefatto. Fino a un anno fa, quando a casa della giovane impiegata hanno iniziato ad arrivare decine di telefonate mute. Sabato 1 agosto il rapimento: Fruzzetti propone a Valeria una “rimpatriata”, una gita in treno a Pont Saint Martin, in Val d’ Aosta. In viaggio le punta il coltello al fianco, la minaccia. La tiene segregata per una notte in albergo, la picchia, la violenta. Poi la porta con sé in Toscana, le fa passare un’ altra notte in quello che chiama il suo “pensatoio”, un angolo sul greto del fiume Magra. Lei fugge, torna a Torino. Lui la bombarda di telefonate. Il 6 agosto noleggia la Clio a Lucca e parte con la famiglia per la Francia. Ma nemmeno di lì dà pace alla ragazza. Mercoledì, con una scusa, carica moglie e figlio su un treno per l’ Italia e raggiunge Torino in auto. Si apposta sotto casa di Valeria, la aspetta per tutta la notte, la uccide.
Sono le 12,30 quando la polizia stradale trova la Clio piena di sangue abbandonata in corsia di emergenza sull’ autostrada Firenze-Mare, presso Migliarino Pisano. Lui, in maglietta e mutande, vaga nella pineta. Getta il coltello. Da Torre del Lago telefona alla moglie, che sapeva già della storia con quella giovane torinese. “Valeria è morta, l’ ha detto la tv”, gli dice lei. Ancora una telefonata: questa volta al 113. “Sono Fruzzetti, quello che ha ammazzato la ragazza di Torino. Venitemi a prendere. Tanto, con Valeria morta, essere libero o in carcere non mi importa più…”.

 

” Se Valeria e’ morta, libero o in cella non cambia nulla ” (Corriere della Sera – 15 agosto 1998)
Bruno Fruzzetti aveva gia’ sequestrato una volta la ragazza minacciandola, ma lei non aveva voluto denunciarlo
Si e’ costituito l’ assassino della giovane accoltellata a Torino: non aveva accettato l’ ennesimo rifiuto
“Se Valeria e’ morta allora la mia vita non ha piu’ senso. Libero o in carcere non cambia nulla”. Si e’ conclusa cosi’ la fuga di Bruno, con poche parole pronunciate davanti agli agenti al commissariato. Bruno Fruzzetti, 46 anni, e’ l’uomo che giovedi’ mattina, quando ha sentito Valeria ripetergli che la loro storia “non poteva continuare”, che lei voleva una vita e una famiglia sua, che la loro differenza di eta’ (25 anni) era un ostacolo, non ha piu’ capito nulla e ha cominciato a colpire. Sei coltellate, l’ultima, mortale, al collo. Una storia di cieca passione. Un amore malato.
Ricordiamo la vicenda. Giovedi’, Torino. Una giornata tragica, in cui due donne hanno pagato con la vita le loro scelte. Valeria e Monica Sassone, 36 anni, strangolata e tagliata a pezzi dal suo ex convivente. Anche lei colpevole di aver deciso di cambiare vita.
Ma torniamo a Valeria. Sono le 7 e 40 di mattina, in piazza Omero, nel quartiere di Mirafiori Sud un’auto si ferma al semaforo. Una ragazza, Valeria Melpignano, 21 anni, impiegata in una finanziaria, scende dalla macchina urlando: “Aiuto, mi uccide”. Ha il corpo coperto di sangue, cade per terra e dopo pochi minuti muore. Dall’auto scende un uomo, ha in mano un coltello: vede Valeria cadere, torna indietro e fugge.
Parte la caccia all’uomo. Si comincia a scavare nella vita della ragazza. Vive con la famiglia: mamma, papa’ e tre fratelli. Alta, un sorriso bellissimo, Valeria cerca l’amore della vita. Nel ’94, Valeria, allora 17enne, conosce a Firenze Bruno Fruzzetti. Nasce una relazione. Quando il padre di Valeria scopre la storia, cerca di impedire alla figlia di continuare quel rapporto. Bruno si rende autore di un “sequestro” della ragazza. Scatta una denuncia. Poi la storia sembra risolversi. La scorsa primavera l’uomo torna a farsi vivo.
Divorziato, due figlie grandi, precedenti per furto e atti osceni, nel frattempo si e’ risposato e vive in provincia di Lucca. Bruno insiste, vuole rivedere Valeria. Lei cede, e all’inizio di agosto accetta un invito. Ma lui la sequestra nuovamente, minacciandola con un coltello. La porta in Valle d’Aosta e poi in Toscana per riconquistarla. Valeria finge di cedere, ma al momento opportuno fugge e torna a Torino in autostop.
Cerca di cancellare quella storia, ma confessa a un amico la forte preoccupazione. Decide di non fare alcuna denuncia. un errore gravissimo. Bruno continua a tempestarla di telefonate. E mercoledi’ scorso arriva a Torino. Aspetta tutta la notte sotto la casa di Valeria. Giovedi’ mattina, quando la vede uscire, le chiede di salire, di guidare lei che conosce la citta’, vuole parlarle. Lei accetta. Pochi minuti e scoppia la lite.
Bruno Fruzzetti con in mano un coltello a scatto, comincia a colpire. Poi la fuga, senza sapere che Valeria a Torino e’ gia’ morta. Quindi la telefonata alla moglie, che sapeva della morbosa passione del marito.E’ li’ che apprende della fine di Valeria e decide di costituirsi: “Se lei e’ morta allora la mia vita non ha piu’ senso. Libero o in carcere non cambia nulla”.
(di Antonio Troiano)

 

Espedienti, denunce e dolore – La vita travagliata di Bruno Fruzzetti, interrogato in carcere (il Tirreno – 15 agosto 1998)
Una vita travagliata condita da piccoli precedenti penali
. Bruno Fruzzetti, 46 anni (in serata è stato interrogato incarcere dal sostituto procuratore torinese Lo Mastro), da poco più di un anno viveva con la seconda moglie Rosella, 40 anni, dipendente in un cappellificio nella Piana, e il figlio in unappartamento di S. Pietro a Vico.
All’apparenza un’esistenza tranquilla anche se alcuni vicini avevano notato qualcosa d’insolito nel suo comportamento. Di tanto in tanto si assenteva- sostengono – per qualche giorno. Pensavamo fosse per motivi di lavoro, ma poi abbiamo saputo che non aveva un’occupazione fissa. Svolgeva saltuariamente attività artigianali, ma in pratica era la moglie a tirare avanti la famiglia. Un tipo solitario? Sulle spalle Fruzzetti ha tre denunce, due delle quali per attiosceni in luogo pubblico.
La prima l’8 giugno 1992 in provinciadi Lucca e la seconda il 16 ottobre 1994 in provincia di Pistoia. Per questi reati era statoanche condannato in primo grado. Poi, il 27 gennaio 1995, l’accusa di furto a Viareggio. Mitomane? Esibizionista? Difficile dirlo. Sicuramente una personalità complessa.
Nativo di Forno, in provincia di Massa, Fruzzetti aveva lasciato il paese natale nel 1968 e, dopo una breve parentesi a Lecco, era andato ad abitare in via XX settembre a Torre del Lago nel1975, dopo il matrimonio con E.G., casalinga, dalla quale aveva avuto due figli. Nel 1983, lasciata la famiglia, era andato a vivere con l’attuale compagna a Torre, in Lucchesia. Un anno fa la decisione di lasciarela casa per il costo dell’affitto eccessivo, per trasferirsi provvisoriamente in un appartamento di S. Pietro a Vico.
La vittima l’aveva conosciuta quattro anni fa, durante una gita a Firenze.Tra i due era nato un sentimento all’inizio forse reciproco, anche se all’epoca la giovane non era maggiorenne. Da una segnalazione della polizia risulterebbe che, proprio 4 anni fa, la coppia sia stata notata ferma in auto di sera alla stazione di Viareggio. Gli agenti, insospettiti,si erano avvicinati richiedendo i documenti. Una relazione segreta, anche secondo i conoscenti. E’ Rosella non ne ha mai parlato – dicono – eppure era solita confidarsi con gli amici. Se avesse saputo una cosa del genere si sarebbe sfogata con qualcuno?. Impossibile avvicinare la compagna, provata e sottochoc: ha appreso la notizia dell’arresto del marito nel cuore della notte dalle forze dell’ordine,dopo che aveva trascorso laserata assieme al figlio in compagnia di alcuni vicini.
Per compiere il delitto Fruzzetti avrebbe uZato la stessa Renault Clio blu presa a noleggio da un’agenzia di piazza S. Maria, poco fuori le Mura urbane, con la quale aveva trascorso le vacanze in Francia in compagnia della studentessa di cui era innamorato. La sua Lancia Prisma era rimasta alla moglie,che la utilizzava per andare al lavoro. La follia omicida è scattata al suo ritorno a casa quando,stando all’accusa, la ragazza gli aveva telefonato comunicandogli la fine del rapporto. A quel punto era partito, semprecon l’auto a noleggio, per Torino portandosi da casa un coltello a serramanico: quello, non ancora recuperato, servito a infliggere alla studentessa le coltellate mortali. (l.t.)

Ombre su Torino – 13 agosto 2023

13 agosto 1998
Mentre a San Paolo si scopre il cadavere orrendamente mutilato di Monica Sassone, a Mirafiori un’altra storia d’amore che si trasforma in tragedia ricopre di sangue Torino.
Ore 7.40.
Una Clio blu inchioda in piazza Omero e dal posto di guida scende una ragazza. È bellissima, magra, giovane, con un sorriso meraviglioso ma, in quel momento, non sta ridendo. Urla, corre, chiede aiuto. Fa pochi passi e poi cade a terra in un lago di sangue, trafitta da sei coltellate. Dalla macchina scende anche un uomo che guarda la scena, poi rimonta e parte a razzo, sparendo nel nulla.
Valeria Melpignano, 21 anni, muore, anche lei, perché il suo ex non si capacita che la loro storia sia finita. L’uomo, Bruno Fruzzetti, di 25 anni più grande, originario di Lucca, sposato e con due figli, ha conosciuto la ragazza che era ancora minorenne. Si incontrano a Firenze dopo una fuga di Valeria dalla famiglia ed è subito amore. Una storia fatta di passione e di clandestinità, di incontri, addii e riavvicinamenti. Per quattro anni, fino a quella lettera che verrà trovata addosso all’assassino nel momento in cui, la sera stessa, deciderà di costituirsi nei pressi di Viareggio. In questa la ragazza scrive: “Non avevo mai conosciuto davvero un uomo, non avevo mai amato davvero. Adesso non è più come prima, ti amo ancora, ma in un modo diverso. Sono cinque mesi che cerco di trovare il modo di darti questa notizia. Anche se tu hai deciso di divorziare, io non me la sento più. Non ce la faccio a venire a vivere con te”.
Quando la furia omicida si impossessa di Fruzzetti, l’assassino si trova a Nizza con la famiglia. Da lì chiama Valeria ma lei si nega, gli chiude il telefono in faccia. Allora decide di mettere su un treno moglie e figli, torna in macchina a casa, prende quella lettera e punta verso Torino. Dorme una notte in auto e la mattina dopo è sotto casa della vittima. Racconta che non la vuole uccidere, la vuole minacciare e farla tornare con lui. Poi, in piazza Omero, Valeria tenta di scendere dalla Clio e lui la colpisce, senza pietà. Anche lui, ai poliziotti, ripeterà la stessa frase: “Non volevo perderla”.
Il primo dicembre 1999, qualche giorno dopo il suicidio della madre di Valeria (che si getta dal quarto piano) Bruno Fruzzetti viene condannato a 28 anni di reclusione.
Due storie simili, terribili, di uomini che non si rassegnano alla fine di una relazione. Condite dalle vite distrutte dei morti e dei sopravvissuti, da suicidi, lettere e parole “d’amore” che si somigliano e che si rincorrono nelle stesse ore, nella stessa città. A Torino, in due giorni, in una terrificante estate di 25 anni fa


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In memoria di

Quando la vita è una tv accesa (La Stampa – 3 gennaio 2007)
Viaggio a Volterra nel carcere più “colto” d’Italia
Dici Volterra e pensi a tremila anni di storia. Il passato che ritorna dai tempi in cui da qui partiva la civiltà etrusca, una delle più misteriose dell’umanità. Arrivando da nord, le mura della Fortezza sono visibili già a molti chilometri di distanza. Ieratiche, sinistre, cariche di passato al punto tale da far sentire al forestiero un senso di colpa per la propria inferiorità culturale ed emotiva. Un istituto di pena noto in tutta Italia e non solo – paradossalmente – per la sua propensione alla comunicazione, attraverso una forma nobilissima, il teatro.
L’arte per rinascere
«I detenuti sono 170», spiega l’ispettore capo Salvatore Mercurio, divisa d’ordinanza blu carta da zucchero, scarpe nerissime, lucide, cappello ben piantato sul capo generoso. «Sono qui da 23 anni. Una vita. Undici consumati da agente diventato poi ispettore capo». Sovrano del castello, provochiamo. Ci guarda fisso senza condividere l’ironia. «Siamo ottanta addetti, tutti contribuiscono a fare funzionare l’Istituto». Un carcere modello, insistiamo noi, ma il Comandante si schermisce: «Un dato è significativo. Qui controlliamo 170 detenuti, e molti, circa una decina, dopo essere usciti, sono rimasti a vivere in pianta stabile nel territorio. Un chiaro segnale». Sbuchiamo in un ingresso lungo sul quale si affacciano la palestra, la biblioteca, l’ambulatorio medico e l’ufficio spesa. Dalle porte in metallo color verde spuntano i volti incuriositi dei detenuti. La vena creativa del luogo non risparmia neanche le pareti del carcere su cui campeggiano dipinti in stile pseudo impressionista eseguiti dai detenuti stessi. La coercizione estremizza i sentimenti umani, scriveva Bruno Bettelheim, a proposito dei lager nazisti nel Cuore Vigile. Qui ne abbiamo una prova, in positivo però. Centosettanta tra criminali, trafficanti di droga, uxoricidi, eccetera trasformati in attori, pittori, scrittori, musicisti. Con risultati a volte sorprendenti, se si pensa che la compagnia teatrale si è aggiudicata due volte il premio Ubu.
Il mondo visto dalla tv
Per l’intervista, gli agenti convogliano una ventina di «ospiti» nella sala Teatro. L’ambiente è lungo e stretto. In fondo, un piccolo palcoscenico rosso fuoco. Il pretesto è la comunicazione. Ma dalle prime battute intuiamo che sul tema sono ferratissimi e non sarà una passeggiata.
Ne è prova il subitaneo intervento di Salvatore Arena, 30 anni, di Capo Rizzuto, fisico robusto e atletico messo in mostra da una tuta aderente, a Volterra da 2 anni e tre mesi. Sorridente specifica: «La tv in carcere? Ti fa spaziare con la mente – sospira -. Dà libertà alle emozioni, che in un posto come questo non è poco. Vedi la vita. Per un ragazzo come me è importante». Vita? Come la mettiamo con i reality? Mi zittisce: «E’ tutto falso. Un uomo con un proprio carattere non si mette a nudo davanti al paese». Facendo capire con gli occhi che il pudore per lui è una forma di virilità. Oltre all’Isola dei Famosi, boccia i toni a suo dire alti di Buona Domenica. Salvatore preferisce Quark, Ulisse, Gaia, Stargate. Ma soprattutto adora «i programmi di Giovanni Minoli, un fuoriclasse, uno che non si tira indietro nello spiegare le cose complesse a noi popolo». Prende la parola Mario Zidda, 45anni, anche lui in tuta, fisico asciutto, fede al dito, da sei anni e 4 mesi in galera. Attivo come attore nella compagnia, si capisce che è un leader dal silenzio che accompagna le sue dichiarazioni. Ma si scaglia contro l’informazione: «Guardo tutti i tg. Confronto ciò che dicono, ovvero le stesse cose in modo diverso. Secondo me alcuni confondono ancora di più la gente. I reality? Non sono reali: la tv è una scatola che vende il prodotto». Dal carcere il giudizio su chi la guarda non è tenero: «Gran parte della gente fuori si identifica con questi programmi». Ben inteso, Mario ci tiene a precisare che «quelli fuori non sono tutti Pupe e Secchioni, ma certo il consenso per certi programmi è inquietante. L’Italia che li guarda è deprimente».
Un po’ moralisti un po’ goliardi
Per questo lui si impegna nel teatro «abbiamo recitato i Pescecani, l’Opera da tre soldi, l’Amleto. Per noi più che la tv è il teatro la vera terapia. Incanala tutta l’energia negativa che uno ha in corpo e la trasforma in energia positiva. Mi ha cambiato, non ascoltavo gli altri. Per esempio i tagli dei governi alla cultura e ai teatri appiattiscono la gente, la consegnano nelle mani dei programmi trash». Insomma stando qui sembra che l’affollamento di corpi di donne nude in tv piaccia solo fuori… Una risata generale fa seguito ad un boato di plastico dissenso dell’uditorio. Si ribella Salvatore per tutti: «Di donne in tv non ce n’è mai abbastanza… Lasciateci almeno quello». E qui il moralismo si dissolve. Stefano Balestri, 32 anni, di Pisa, da 4 anni e 5 mesi in carcere rompe il tono cultural buonista: «Il libro che ho consumato di più ha un titolo eloquente, Rendila felice…». Sorvoliamo sul prevedibile contenuto. Poi tornano seri e pensosi. Interviene Gianfranco Sestili, romano, sui 55, cappello da hiphopper, naso aquilino, da 4 anni e due mesi a Volterra e una barba biancastra da radere che circonda il volto scavato. Occhi chiari e leggermente velati è un fiume in piena, anche lui attore da un paio di anni: «Recitare ti fa dimenticare di essere dentro. Ti dà vita. Il buonismo della tv mi fa schifo. Dovrebbe essere più come il teatro, più immediata, spontanea, com’era una volta». Tanto livore non ne impedisce il consumo massiccio. «La guardo anche 10 ore al giorno. Adoro il calcio. Adoro Totti». E’ tranchant: ne viene fuori un’Italia di vizi privati e pubbliche virtù. «La vorrei più vicina al teatro, che pur essendo finzione è più vicino alla realtà vera». Ma non disprezza tutto. Per esempio, inaugura ogni mattina in cella in compagnia di Monica Maggioni «brava e bella, è un bel modo per iniziare».
Poi c’è la musica
Ma le 24 ore scandite una per una tra le sbarre lasciano spazio anche ad altri sogni. Per esempio attraverso la musica, che coinvolge soprattutto i detenuti più giovani. Come afferma Gianluca Matera, 30 anni, da appena 3 mesi dietro le sbarre. «Ascolto molta musica, soprattutto Claudio Baglioni. La tv la guardo poco, i programmi che mi piacevano li hanno chiusi. Per esempio gli Invisibili di Marco Berry, che descrive la vita vera delle persona in mezzo alla strada». Salva Porta a Porta di Bruno Vespa e Anno Zero di Michele Santoro. «Mi piace il loro realismo». La radio resta però il suo mezzo preferito. E’ diretta, spiega, fa parlare di più le persone, «anche noi carcerati, di cui non ha paura…». Qui ha anche imparato a divorare libri. «Di Ken Follet ho letto quasi tutto». E distende i nervi costruendo modellini di barche. Anche di lusso. «Mi tengono impegnata la mente. E non penso…». Un «calcio» ai cattivi pensieri Già, non pensare. Un formidabile antidoto al pensiero è sempre stato usato dai governanti utilizzando i giochi. Mai come dietro le sbarre poter attingere all’immaginario sportivo è sinonimo di sopravvivenza.
Come testimonia Oreste Staguaglia, appena venticinquenne, qui da 4 mesi. Studia alla scuola di geometra del carcere. Per lui l’agonismo attivo e passivo è quasi una ragione di vita. «Ma ormai il calcio in tv è diventato inguardabile, osserva. Su Rai 2 al posto delle partite la domenica pomeriggio mettono in scena insulsi balletti. Preferisco Italia Uno, il programma Direttissima, dove almeno si vedono tutti i retroscena. E non disdegno i discorsi di Biscardi». Se c’è un posto in Italia dove l’ascesa di Sky è oltremodo sgradita è da queste parti. «La tv a pagamento ci ha derubati di una delle poche gioie che avevamo». Gianfranco è inviperito: «E’ stata come un’amputazione, la negazione di una valvola di sfogo». Però la Rai almeno si è aggiudicata i diritti di Champions League, ribattiamo noi. «Rompe il silenzio Luigi Remicco 48 anni, napoletano, da 7 a Volterra: «Almeno un tempo con Rete 4 avevamo accesso a tutte le partite di Champions, ora solo una sintesi che è un’altra cosa. Anche se Paola Ferrari è brava». Imparare a vivere Vivere. Per alcuni la permanenza dietro le sbarre insegna paradossalmente proprio quello. «Due anni fa non sapevo neanche parlare, né iniziare un discorso, oggi sono migliorato tantissimo grazie alla scuola» dice Luigi. Un’isola felice? Calogero, che è qui dal ‘99 è di penitenziari ne ha girati parecchi commenta: «In questo carcere c’è maggiore umanità e maggiore interesse da parte della direzione alla riabilitazione dei detenuti». Il dibattito si fa poi serrato quando si tocca la parola gossip in tv. Esplode la platea. Se ne portavoce Enrico Molone, una quarantina d’anni, da tre a Volterra, robusto, piccoli occhiali da vista con montatura coloro oro che ornano gli occhi celesti: «Da certe trasmissioni viene fuori un’Italia fatta di bulletti. Ho una figlia di 10 anni e mi dà fastidio pensare che guardi certe trasmissioni del pomeriggio…».
Più o meno in sintonia Giampiero Ghirotti anni 45 circa, capelli chiari ondulati, occhi chiari, da 2 anni e 6 mesi in carcere, lavora in sartoria dove taglia i vestiti per il teatro. Lui si difende dal mezzo televisivo scrivendo la notte. La giudica diabolica. «Tende ad amplificare il tarlo, quel che c’è di negativo nell’uomo».
Per tutti i presenti tv e giornali hanno la colpa di aver alimentato ingiustamente il partito anti indulto. Come ribadisce Massimo La Spina, 32 anni, di Reggio Calabria, fisico tarchiato voce decisa, qui da 4 anni e 7 mesi: «Dopo 16 anni hanno fatto l’indulto grazie a magistrati e direttori di carceri. Ma l’informazione televisiva si è accanita violentemente contro di noi». Informazione e indulto Rincara la dose Domenico Vitale, 50 anni di Catanzaro fisico longilineo, qui da 5 anni, parla velocemente, con voce bassa: «La tv non ha spiegato che è uscito solo chi era alla fine della pena. Doveva dare più informazioni. Quello che emerge è una nazione di cartoni animati».
Un tema che da sorella benevola trasforma la televisione in un pericoloso anestetico, come dice Gennaro Bonomo, 50 anni, a Volterra da soli 4 mesi. «le tragedie riguardano sempre qualcun altro: è tutto una grande fiction!»
La conversazione volge al termine. Restano 10 irriducibili. Tra questi Bruno Fruzzetti da Lucca, 55 anni da 6 a Volterra, le mani protette da guanti in pile gialli, si abbandona ai ricordi: «Ero un viaggiatore. Sono stato in Senegal, Kenia, Thailandia, Brasile… Con Licia Colò continuo idealmente questi viaggi e così passa la nostalgia». Come quando l’Italia vinse i Mondiali. «Abbiamo fatto casino anche noi», dice Oreste. E chiude: «la contentezza è di tutti, anche di noi detenuti». Abbiamo parlato per tre ore ma sono volate. Usciamo travolti dalle loro manifestazioni di affetto. Prima di entrare, un funzionario ci aveva ammonito: «non dimenticate chi avrete davanti…» Aveva ragione, ma non è stato facile.

 

L’Opera da tre soldi | Compagnia della Fortezza