Alessandro Sacchi, 80 anni, agente di commercio in pensione. Uccide la moglie con un colpo di pistola
Arezzo, 21 Giugno 2024
Titoli & Articoli
Donna uccisa in casa con un colpo di pistola. Arrestato il marito. Chi era la vittima (La Nazione – 21 giugno 2024)
L’uomo le ha sparato nella propria abitazione in viale Giotto
Tragedia nella notte. Spara e ammazza la moglie con un colpo di pistola al culmine di una lite. Arrestato. È successo ad Arezzo in zona Giotto poco prima della mezzanotte di ieri, 20 giugno. L’uomo, 80 anni, italiano, non aveva precedenti penali. Per la Polizia di Stato che si sta occupando del caso, la dinamica del delitto deve essere ancora ricostruita nei contorni. L’80enne, che si chiama Alessandro Sacchi, avrebbe raccontato agli agenti di aver compiuto il gesto perché totalmente logorato dalla grave malattia della donna, Serenella Mugnai, una 72enne da tempo affetta da Alzheimer che lui faticava ad accudire. Successivamente, dopo aver detto ai vicini ciò che aveva fatto, ha chiamato lui stesso i soccorsi.
A indagare sul caso la squadra mobile della Questura di Arezzo guidata dal nuovo dirigente Davide Comito. A coordinare l’inchiesta in procura il Pm Marco Dioni. Per i soccorsi presente la Croce Bianca di Arezzo che non ha potuto fare altro che constatare il decesso. Sempre in base ad una prima ricostruzione, la donna è stata raggiunta da un solo colpo di pistola, una vecchia arma regolarmente denunciata. L’uomo, una volta tratto in arresto, è stato portato in questura in stato di choc. (di Luca Amodio)
“Volevo spaventarla, ero sfinito”. Dall’omicida rose rosse al funerale (La Nazione – 2 luglio 2024)
Sacchi interrogato in carcere: “Serenella non voleva andare a letto“. Dopo lo sparo si è seduto accanto a lei. I legali stanno valutando tre Rsa dove trasferire l’uomo di 80 anni. Pronta la richiesta di arresti domiciliari.
“Volevo solo spaventarla”. Alessandro Sacchi ieri, davanti al Pm Marco Dioni e al giudice Stefano Cascone, ha raccontato ancora una volta la sua verità. Quella che già nell’immediatezza dell’omicidio di sua moglie aveva detto con un filo di voce a polizia e magistrato. Ieri però, in fase di interrogatorio in carcere, ha aggiunto un particolare. Il fatto, appunto, che il suo intento non fosse quello di uccidere la moglie, Serenella, di 74 anni, ma solo di spaventarla, nell’intento di persuaderla ad andare a letto. Nell’interrogatorio l’uomo, 80 anni, pur con dei comprensibili vuoti di memoria, ricorda con una certa lucidità che la moglie non voleva andare a dormire. “Era mezzanotte, io ero sfinito” ha detto davanti al pubblico ministero, come riportano i suoi avvocati: Stefano Sacchi, il nipote, e Piero Melani Graverini.
Un banale diverbio tra marito e moglie, forse l’ennesimo, in una vita diventata difficilissima a seguito della malattia, una forma grave di Alzheimer che da anni si era impossessata dell’amata moglie Serenella Mugnai. Quella sera di fronte al rifiuto della donna che la malattia negli ultimi tempi aveva reso particolarmente irascibile, Sacchi ha preso una vecchia pistola di proprietà del padre che conservava nel cassetto di una scrivania, l’ha impugnata, è tornato in cucina e ha sparato. Un solo colpo, fatale per la donna. “Poi si è seduto su una sedia, voleva chiamare i soccorsi ma era confuso e non ricordava i numeri” racconta l’avvocato Piero Melani Graverini.
Così è sceso al piano di sotto e ha bussato ai vicini, amici di Serenella, e ha chiesto loro aiuto. All’arrivo degli agenti della Squadra mobile, Sacchi era abbracciato alla moglie ormai senza vita, era rimasto seduto accanto a lei dopo averla uccisa. “Non ce la facevo più” avrebbe ripetuto più volte. Per lui, da quella sera, si sono aperte le porte del carcere di San Benedetto: è accusato di omicidio volontario aggravato dal rapporto coniugale.
La tragedia nella notte tra giovedì 21 giugno e il 22, in un appartamento in viale Giotto, quartiere residenziale della città, dove i due avevano trascorso una vita insieme, solo loro, senza figli. “Una coppia da sempre molto unita”, lo dicono tutte le persone che li hanno conosciuti. Poi la malattia che da anni attanagliava Serenella e con lei il marito che, da solo, ha dovuto affrontare il peso di una male che trasformava la moglie. Malattia degenerativa, secondo il codice sanitario. Un fardello enorme da sopportare, soprattutto alla sua età. Sacchi a febbraio aveva assunto una donna che lo aiutava nella gestione della moglie. Ma forse la sua disperazione e la sua stanchezza avevano ormai preso il sopravento. Adesso, “stiamo valutando alcune Rsa, tra cui una a Monte San Savino, dove Sacchi possa essere accolto e dove scontare i domiciliari, la sua casa continua ad essere sotto sequestro. Una struttura dove possa trascorrere i suoi ultimi anni in serenità, ma sotto un occhio attento per scongiurare l’eventualità di un gesto estremo – continua l’avvocato Melani Graverini. Solo qualche giorno, dopodiché faremo richiesta al Gip per la scarcerazione. Poi spetterà al Pm accettare o meno la nostra istanza”.
Intanto Sacchi rimane in carcere, dove, fin dalle prime ore, ha sempre detto di aver trovato conforto e umanità. “Non mi sarei mai immaginato di trovare un ambiente così” ha detto ai suoi avvocati. “Da una vita, diventata durissima, a un ambiente in cui detenuti e agenti della penitenziaria non perdono mai occasione di fargli sentire la loro vicinanza. Tutti hanno un occhio di riguardo nei suoi confronti” spiega Melani Graverini. E c’è anche chi ricorda quel mazzo di rose rosse che Sacchi ha inviato dal carcere alla sua Serenella, nel giorno dei funerali. (di Gaia Papi)
Uccise la moglie malata di Alzheimer, era esasperato e per la perizia non del tutto capace di intendere e volere (Corriere di Arezzo – 17 novembre 2024)
Quando Alessandro Sacchi puntò verso la moglie Serenella la canna della vecchia pistola del tempo di guerra ereditata dal padre e fece fuoco, non era pienamente capace di intendere e di volere, era esasperato dall’Alzheimer di cui soffriva la moglie, al punto che le sue facoltà di autodeterminazione erano diminuite. A questa conclusione sarebbe pervenuta la perizia psichiatrica dopo l’attento studio clinico condotto da uno specialista sull’ottantenne omicida che si trova agli arresti alla Casa Pia.
Si tratta ancora di indiscrezioni, alla vigilia dell’udienza in programma domani dinanzi al gip che ha disposto l’esame come incidente probatorio sul triste fatto di sangue del 21 giugno scorso: l’uccisione di Serenella Mugnai, 73 anni, ad opera del marito, nel loro appartamento di via Giotto ad Arezzo. Una vita insieme, in simbiosi, non coronata da figli ma connotata da grande armonia, affiatamento, viaggi, condivisione. Fino alla malattia neurologica degenerativa che ultimamente aveva stravolto la relazione. Serenella era totalmente cambiata e Alessandro non riusciva a stare dietro allo sfacelo galoppante causato dall’Alzheimer sulla moglie.
L’udienza di domani assume un valore importantissimo nel procedimento diretto dal pm Marco Dioni sul delitto che suscitò grande impressione in una città in clima di Giostra. Il vizio di mente, benché parziale, può influire nella valutazione dell’uomo che sarà processato in corte d’assise, perché l’aggravante del rapporto coniugale tra omicida e vittima non consente il rito abbreviato con i suoi benefici (la riduzione di un terzo della pena). Questa, è evidente, è una vicenda particolare, non assimilabile ai femminicidi che la cronaca propone a raffica. E l’età avanzata dell’uomo non si concilia con la detenzione in carcere. La gravità del reato dovrà essere messa in correlazione con tutto ciò che emerge: incensuratezza dell’ottantenne e, appunto, vizio parziale di mente. Aspetti che potranno orientare i giudici togati e popolari nella gradazione della pena.
Quella notte fu un banale bisticcio a precedere l’uccisione della donna. “Non ce la facevo più” disse Sacchi alla polizia dopo essere sceso dal vicino di casa riferendo di aver sparato alla sua adorata Serenella. Alla polizia disse subito che non riusciva a gestire la situazione, non aveva trovato ancora supporto e aiuto nella rete assistenziale. Le ultime incomprensioni furono sul fatto che era giunta l’ora di andare a letto ma lei non ci voleva andare, e poi c’era stato un dissidio sul bucato in lavatrice. Sempre più difficile intendersi, comunicare, ragionare.
Ospite della Rsa Fossombroni di Arezzo, con misura cautelare, è difeso dagli avvocati Stefano Sacchi, suo nipote, e Piero Melani Graverini. All’esperto dottor Massimo Marchi il gip ha posto i classici quesiti: se l’imputato è in grado di partecipare al processo, se era capace di intendere e di volere quando sparò. La difesa dell’imputato ha nominato la dottoressa Guendalina Rossi come consulente di parte sugli aspetti psichiatrici. Al di là dell’iter della giustizia penale, tutto da decifrare, per il signor Alessandro, alle spalle una vita inappuntabile con la sua inseparabile Serena, con la quale aveva condiviso anche il lavoro di agente di commercio, tutti i giorni c’è la condanna alla nostalgia e al rimorso per la donna che amava e che non c’è più. (di Luca Serafini)