Loading

Achille Martinoni, 45 anni, ex operaio frontaliero, padre. Spara alla moglie e si suicida vicino a lei

Montespluga (Sondrio), 14 Novembre 2006


Titoli & Articoli

Tutti gli indizi di un delitto senza cadaveri (il Giornale – 29 novembre 2006)
Il sangue, il foro di un proiettile, il messaggio del marito ricercato: quello di Como è un rompicapo
Quindici giorni dopo è tutto come prima. Per un giallo dalle tinte color sangue ma dove manca ciò che servirebbe perlomeno a cominciare. Ovvero la prova dell’omicidio: non c’è un cadavere (o meglio non lo si trova); non c’è l’arma del delitto (ipotizzato) né tantomeno l’unico sospettabile che potrebbe averla impugnata.
Tutti eclissati, come vaporizzati nell’aria umida di questo fino novembre sulle sponde del lago di Como.
Da martedì 14 novembre Adalgisa Montini, operaia alla Falk di Dongo e il suo quasi ex marito risultano «missing». Lei era uscita all’alba per andare al lavoro, ma in fabbrica non la vide nessuno e a casa dei genitori, dove abitava da circa un anno – da quando cioè si era separata- non ha fatto più ritorno. Anche di lui, quarantacinquenne dai modi burberi, uomo dai mille mestieri purché non lo rinchiudessero in fabbrica o in ufficio, a Garzeno si è persa ogni traccia. I carabinieri sono convinti che abbia eliminato quella moglie che di ricominciare non voleva più saperne. L’avrebbe ammazzata sparandole con la sua calibro 7.65. Dall’abitazione la semiautomatica è sparita. Come lui.
Omicidio-suicidio? Così si ipotizzò all’inizio, quando venne ritrovata la Fiat «Seicento» della donna. Era nel garage di Martinoni. E all’interno indizi più che inquietanti: macchie di sangue, residui di materiale organico e soprattutto il foro di un proiettile.
I sub scandagliano il lago, guardie forestali, volontari e militari, battono palmo a palmo i boschi della zona alla ricerca del cadavere. Anzi dei cadaveri. Nulla.
Lìultimo a vedere l’ex alpino alle 5.30 di quel giorno, fu il cognato. Usciva di casa. Achille Martinoni, capace di indossare i panni del giardiniere, boscaiolo, vaccaro, alpigiano, al suo ultimo datore di lavoro, recentemente, l’aveva confidato. A denti stretti, cupo in volto: «Un giorno di questi la farò grossa».
In quindici giorni di ricerche vane ora cambia solo lo scenario delle ipotesi. Gli inquirenti ipotizzano che dopo aver ammazzato Adalgisa e averne occultato il corpo potrebbe aver voluto depistare le indagini. Niente suicidio, insomma. Lui sarebbe vivo, forse fuggito all’estero. Lo cercano un po’ dappertutto, a comiciare da quel Cantone dei Grigioni dove da bambino faceva il pastore. E si va fino alla Romania oltreché in tutti quei luoghi dell’Italia familiari al «fuggiasco».
Il biglietto indirizzato alla figlia quindicenne, lasciato nella sua auto abbandonata a Montespluga, al confine con la Svizzera, lascia aperto ogni interrogativo. «Ho dovuto farlo, tua madre mi ha rovinato la vita. Se un giorno ti sposassi non fare i suoi stessi errori – scrive Martinoni -. Me ne vado, ma tornerò». Poi la contraddizione: «Non ti disperare perché a te ci penserà lo zio Giacomo. E tua madre sta bene». E infine, a quanto pare una minaccia, stavolta nei confronti di un cognato e di un cugino con il quale Adalgisa aveva stretto particolare amicizia. Aurora, la sorella di Adalgisa Montini, ha paura: Fino a quando non lo trovano vivrò nel terrore»..
Achille, insomma, davvero, pronto a tornare. Per uccidere ancora.
Il cerchio, comunque, non quadra. Come le parole di un paio di testimoni. Uno sostiene di di aver visto l’ex alpino dalle parti di Bormio. «Un tipo strano che faceva strane domande». E a ingarbugliare ulteriormente la situazione, c’è una donna, una collega di lavoro di Adalgisa. Lei è convinta di averla incontrata, alla guida della sua Seicento, il pomeriggio del 14 novembre mentre percorreva la stradina che porta verso l’abitazione dei genitori: «Credevo che stesse tornando a casa dal lavoro», ha spiegato ai carabinieri. Ma a quell’ora non doveva essere già stata uccisa?
Ora i militari stanno frugando in un canneto nella zona di Sorico, tra le province di Lecco e Sondrio. Il cadavere potrebbe essere lì. Ma contemporaneamente i sub si immergono nelle acque della diga Edipower, a Montespluga. Freddo, buio e zero tracce, non aiutano. Così come la scoperta dei progetti del presunto assassino. Cinque giorni prima di volatilizzarsi si trovava a Bellinzona (Ticino) con la documentazione necessaria per chiedere un aumento dell’assegno di invalidità. Strano che un aspirante killer pensi a simili dettagli.

 

“Chi l’ha visto” ritrova i corpi dei coniugi scomparsi (Ticino Online – 30 novembre 2006)
I cadaveri di Achille Martinoni e Adalgisa Montini sono stati rinvenuti dalla troupe di ‘Chi l’ha visto’ a due chilometri dal luogo dove era stata abbandonata la macchina di lui
MONTE SPLUGA  – Ritrovati i corpi di Achille Martinoni e di Adalgisa Montini, i due coniugi scomparsi il 14 novembre scorso da Garzeno, un piccolo centro sulle rive del lago di Como. I cadaveri sono stati rinvenuti dalla troupe del programma ‘Chi l’ha visto?’ di Raitre mentre stava effettuando delle ricerche insieme al fratello di Martinoni, Giacomo, e ad altri parenti. L’uomo giaceva su un letto di un vecchio ristorante abbandonato, nella zona di Monte Spluga, poco distante dal confine svizzero, a circa due chilometri dal luogo dove era stata ritrovata, il 21 novembre scorso, la sua macchina. All’interno dell’auto, un’Alfa 146 bordeaux, era stato rinvenuto un biglietto scritto da Martinoni in cui chiedeva perdono alla figlia quindicenne della coppia.
Poco distante dal corpo, che mostrerebbe segni evidenti di sucidio, è stato ritrovato anche il cadavere della moglie.
Sul luogo del ritrovamento il sostituto procuratore Giulia Pantano, della Procura di Como, e il medico patologo che eseguirà i primi riscontri sulle vittime. Sarà lui a stabilire con esattezza a quando risale la morte dei coniugi, separati ormai da tempo.
Tra le ipotesi al vaglio degli inquirenti quella che Adalgisa Montini sia stata uccisa a colpi d’arma da fuoco dall’ex marito nella sua auto, una Fiat Seicento, in cui sono state riscontrate macchie di sangue e materiale organico. La donna sarebbe poi stata trasportata in località Montespluga, a quota 2 mila metri. L’uomo avrebbe poi rivolto l’arma, una pistola calibro 7.65 regolarmente detenuta, contro se stesso. A far luce su quello che sembrerebbe a tutti gli effetti, quindi, un omicidio-suicidio legato a motivi passionali ci sono i carabinieri del reparto operativo di Como e della compagnia di Menaggio, che hanno seguito le ricerche subito dopo la scomparsa della coppia.
”La gente è incredula e sconvolta – dice all’ADNKRONOS don Alfredo, parroco della piccola comunità Catasco di Garzeno -. In un paese in cui si conoscono tutti l’evento ha una risonanza ancora più forte. E’ un episodio doloroso che non avremmo voluto vivere”.
Si ritrova così senza i genitori la figlia quindicenne della coppia. ”Sperava che non fosse successo il peggio – sottolinea il parroco che le è stato accanto in questi giorni -. Soffriva moltissimo e non voleva ammettere a se stessa che suo padre fosse in grado di compiere un gesto simile”. Il parroco ora rassicura ”starò accanto alla ragazza e ai parenti, andrò presto a farle visita e a darle forza”.
La minorenne, affidata ai nonni materni e seguita dai servizi sociali, ha trascorso le sue serate, dopo la scomparsa dei genitori ”spesso chiusa nella sua camera. Non aveva voglia di parlare – conclude padre Alfredo – né di incontrare nessuno. Soffre molto ed è molto provata”.

«La figlia è disperata, un pianto senza fine» (Corriere della Sera – 30 novembre 2006)
«La speranza di trovarli vivi c’era, ma eravamo pronti al peggio»
Il parroco di Garzeno, don Alfredo, all’uscita dalla casa della famiglia: «La nostra comunità farà tutto il possibile per lei»
CATASCO DI GARZENO (Como)  «La figlia era disperata, è chiaro. È scoppiata in un pianto senza fine. Ma è stata in qualche modo la fine di un incubo. Ora, almeno, ha qualcuno su cui poter piangere». Don Alfredo, il parroco di Garzeno, è appena uscito dalla casa dei genitori di Adalgisa Montini. Dietro alla porta chiusa ai cronisti e ai pochi curiosi, stretta nell’abbraccio dei nonni materni e della zia, c’è anche quella ragazzina di 15 anni alla quale il padre, in un biglietto, aveva promesso: «Un giorno tornerò». Un’ultima bugia, prima di togliersi la vita. Forse per proteggere la figlia dal dolore di un gesto disperato.
A Garzeno, in questi mesi d’inverno, il sole non sorge praticamente mai. Ma quando la notizia del ritrovamento dei corpi dei due coniugi scomparsi da più di due settimane raggiunge le poche case di Catasco, strette tra le montagne, anche quel filo di luce che si incunea nella valle è ormai solo un ricordo. «La figlia — prosegue don Alfredo — è circondata dall’abbraccio e dal calore dei nonni e della zia. L’ho trovata tranquilla, pur nel dramma di quanto accaduto. Da un certo punto di vista ora lei e tutte le persone sconvolte da questa tragedia potranno dar libero sfogo al proprio dolore».
Da quando mamma Adalgisa e papà Achille sono scomparsi, il 14 novembre scorso, la ragazza è stata affidata alle cure dei genitori della madre. E ogni giorno gli assistenti sociali, gli psicologi e il parroco l’hanno seguita, le sono stati vicini, hanno parlato con lei. «La speranza che i due coniugi fossero ancora in vita, è chiaro, c’era. Ma da alcuni giorni tutti, anche la figlia, si stavano preparando al peggio». La vera vittima dell’omicidio- suicidio svelato ieri, nessuno lo nasconde, è proprio quella ragazza di 15 anni. A cui tutti, a Garzeno, si sono stretti attorno: «Io, come parroco — afferma ancora don Alfredo — cerco di essere presente e vicino a lei e a tutti i familiari nel dolore. Nel futuro tutto ciò che la nostra comunità potrà fare, è chiaro che lo faremo: sia dal punto di vista spirituale che materiale. Ma è indubbiamente il primo aspetto quello più importante».
Che qualcosa di grave fosse accaduto, tutti a Catasco di Garzeno lo hanno capito. Quando, ieri pomeriggio, le ambulanze sono arrivate a sirene spiegate. E si sono fermate all’esterno della casa dei familiari di Achille Martinoni. La madre del 45enne pastore, il cui corpo è stato trovato dal fratello steso nel letto di una baita di montagna abbracciato ad Adalgisa, si è sentita male ed è stata portata in ospedale. Quando i lampeggianti dell’ambulanza si sono allontanati, su Catasco di Garzeno è sceso nuovamente il buio. E il silenzio.
La scoperta del fratello e del cognato: «L’ha amata fino all’ultimo»
Trovati in una mansarda dai parenti i corpi di Achille Martignoni e della moglie, i coniugi scomparsi due settimane fa nel Comasco
Il corpo senza vita di Achile Martinoni. Sotto di lui la moglie Adalgisa (Cavicchi/Newpress)
Il corpo senza vita di Achile Martinoni. Sotto di lui la moglie Adalgisa (Cavicchi/Newpress)

MONTESPLUGA (Sondrio) — Giacomo non riesce a smettere di piangere, urla si dispera. Ha appena trovato il corpo del fratello, avvolto in una trapunta in quella casetta abbandonata, accanto al cadavere della moglie. Lo abbraccia, sussurra «Achille, Achille». Poi si allontana, scende dalla mansarda e tra le lacrime dice: «Sono morti abbracciati. Sembrano Romeo e Giulietta. Lui l’ha amata tanto ed è stato così sino alla fine».

Giacomo non voleva arrendersi, sapeva che suo fratello non era scappato, che era rimasto quassù, vivo o morto, tra le sue montagne. Uno strano presentimento lo guidava. E così ieri aveva organizzato una battuta sullo Spluga. Con il cognato Camillo e altri tre parenti, eravamo partiti anche noi del Corriere alle dieci di mattina da Montespluga. Tutti conoscono molto bene la zona. Per cinque ore, divisi in due gruppi camminiamo sulla montagna ispezionando ogni anfratto.
Adalgisa Montini, 37 anni (Ansa)
Adalgisa Montini, 37 anni (Ansa)

All’ora di pranzo, mentre torniamo verso il paese per una sosta, Giacomo vede un ruscello, ferma la macchina e scende a dare un’occhiata. «Qui è pieno di anfratti — commenta — li chiamano buchi neri. Dobbiamo setacciarli. Achille l’anno scorso aveva raccontato che da queste parti c’è un buco così profondo che se ci cadi dentro non ti trovano più». In macchina Camillo confessa di aver paura di trovarsi davanti all’improvviso il cadavere del cognato, ma non immagina certo che fra tutti toccherà poi a lui scoprire il tragico epilogo di questa storia.

Achille Martinoni, 45 anni (Newpress)
Achille Martinoni, 45 anni (Newpress)

Dopo pranzo torniamo a battere le montagne, ma a un certo punto Giacomo e Camillo scendono verso valle. Più tardi squilla un cellulare, è Giacomo, agitato: «Presto venite giù. Qui, vicino allo skilift abbandonato, c’è uno strano odore». Quando lo raggiungiamo, alla periferia di Montespluga, è già chiaro che si tratta dei resti di un animale. «Forse Achille si è cibato di questo». Giacomo decide di ispezionare di nuovo una casetta di legno pericolante lì vicino, che una volta era un ristorante. Poche ora prima c’è stato un altro del gruppo, Marino, ma non ha trovato niente. «Riproviamo, guardiamo bene».

Con l’aiuto di una torcia entriamo, la prima impressione è che in questo posto abbandonato ci sia uno strano calore. Qualche vecchio mobile abbandonato, uno specchio, un bagno sulla sinistra. «Sopra, dobbiamo guardare sopra!». Giacomo all’improvviso diventa agitato, pare sentire che suo fratello è la dentro. Spinge suo cognato, titubante ad arrampicarsi verso la botola che porta sulla mansarda usando come scala un mobile. Lui con la torcia da un’occhiata nel locale, tutto di legno con il soffitto spiovente: «Non c’è niente qui, solo un divanetto». Giacomo è sempre più nervoso: «Vai avanti, vai avanti! Voglio sentirti camminare». Nel silenzio e nel buio risuonano i passi sul pavimento di legno, poi un grido: «Oddio! È qui, è qui! L’ho trovato, è morto!». Corre su anche Giacomo. Poi scoppia la rabbia: urla, imprecazioni contro i carabinieri, mobili che vanno in pezzi. Achille Martinoni, piegato su un fianco, coperto con una trapunta azzurra come dormisse, ha ancora in mano la pistola con cui si è sparato, chissà quando, un colpo alla testa. Accanto a lui, nascosto sotto un plaid, c’è il corpo della moglie. Sopra, il sangue rappreso di lui. È l’ultima scena del «giallo del lago».

Montespluga: tre anni fa la tragedia nella baracca (la Provincia di Sondrio – 15 novembre 2009)
Era il 14 novembre 2006 quando a Garzeno spariva una giovane coppia del posto. Iniziò così la tragica vicenda dei coniugi Martinoni, conclusasi 15 giorni più tardi, il 29 novembre a Montespluga, con il ritrovamento dei loro corpi privi di vita
In Valchiavenna in questi giorni cade il triste anniversario di un tragico fatto di cronaca. Era il 14 novembre 2006, esattamente tre anni fa, quando a Garzeno spariva una giovane coppia del posto. Iniziò così la tragica vicenda dei coniugi Martinoni, conclusasi 15 giorni più tardi, il 29 novembre a Montespluga, con il ritrovamento dei loro corpi privi di vita.
Morti tutti e due: Achille Martinoni, il marito assassino morto suicida, e Adalgisa Montini, la vittima di quel raptus assurdo e violento, furono trovati in un pomeriggio freddo di novembre, alle 16.30, nel giaciglio preparato alla buona, unendo tre materassi nel soppalco in una baracca di Montespluga, un tempo utilizzata come rifugio per i turisti quando ancora funzionavano gli impianti di risalita della frazione nel comune di Madesimo.
Un dramma che qualcuno ricondusse alle trame incomprensibili della gelosia, delle angosce di un rapporto logorato al quale lei, Adalgisa, aveva deciso di mettere la parola fine nonostante una figlia giovanissima e nonostante le due famiglie si conoscessero da sempre. A prevalere furono le differenze: lei, aperta socievole con il fermo proposito di rifarsi una vita; lui più introverso, innamorato e mai rassegnato alla separazione che l’avrebbe portato lontano dalla moglie e dalla figlia. Martinoni era disperatamente legato ad Adalgisa e l’idea di perderla per sempre, di non poter vedere ogni giorno sua bambina, ha finito con il fargli commettere il più orrendo dei delitti. Dopo i primi giorni dalla loro scomparsa, le forze dell’ordine batterono palmo a palmo la zona di Garzeno e del lago di Como, fino a quando non fu segnalata la macchina di Martinoni a Montespluga, in provincia di Sondrio, a poca distanza dal confine con la Svizzera.
A bordo un biglietto rivolto alla figlia, nel quale l’uomo cercava di depistare le autorità annunciando di essersi trasferito all’estero, lontano, insieme alla moglie per tentare una nuova riappacificazione. La piana di Montespluga si trasformò per giorni nel terreno di ricerca di sommozzatori, squadre cinofile, elicotteri e sensitivi. Il tutto senza alcun esito, fino a quando i parenti della coppia – spinti dalla disperazione – non decisero di entrare nella baracca abbandonata nel fondovalle, la stessa che era stata perlustrata già altre volte dalle forze dell’ordine. Seguendo forse l’istinto, decisero di salire al primo piano.
Lassù, dietro una porta chiusa con cura, in un angolo della soffitta c’erano i due corpi senza vita. Si scoprirà poi che Martinoni aveva ucciso la moglie il 14 novembre con un colpo sparato a bruciapelo. Dopo aver trasportato il corpo in auto fino alla baracca di Montespluga, aveva lasciato l’auto vicino al passo ed era tornato nella baita, dove si era tolto la vita.


Link