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Abdelhadi Lahmar, 40enne, disoccupato, padre. Dopo essere stato ammonito dai Carabinieri, uccide la moglie a colpi di accetta e sgozza la figlia di 7 anni. Condannato all’ergastolo con rito abbreviato, confermato in appello, si impicca in carcere

Pordenone, 14 Aprile 2015

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Titoli & Articoli

Uccide moglie e sgozza figlia,non accettava separazione (Ansa – 15 aprile 2015)
Famiglia del Marocco. Donna impaurita, era stata da Carabinieri
Non hanno dubbi le amiche di Touria Errebaibi, la cameriera di 30 anni, cittadina marocchina, uccisa a colpi di accetta la notte scorsa nella camera da letto dal marito Abdelhadi Lahmar, 40enne disoccupato, che ha scatenato la furia omicida anche contro la figlia Hiba, di nemmeno 7 anni, sgozzandola nel sonno con un coltello.
Dal 2010 quell’uomo la perseguitava – ricordano le amiche – e lei aveva provato in ogni modo a troncare la relazione. Negli ultimi mesi la situazione si era sopita solo perché lui era in Marocco e riceveva ogni mese gran parte dello stipendio di Touria. I soldi non gli bastavano mai: la chiamava e chiedeva denaro, minacciandola che, diversamente, una volta in Italia, gliela avrebbe fatta pagare”.
Ma non è questo il movente dell’uxoricidio, quanto un fatto passionale: l’immigrato non accettava la fine della relazione, il fatto che la moglie stesse per lasciarlo. Abdelhadi era rientrato all’inizio di aprile dal Marocco, dove era rimasto cinque mesi. Qualche giorno prima del ritorno, Touria aveva chiesto di entrare in un programma di protezione grazie ad un’associazione che si occupa di tutelare le donne vittime di violenza domestica. Una settimana fa doveva entrare in una struttura protetta, giusto prima che l’uomo, che la perseguitava da anni, tornasse in Friuli. All’ultimo momento l’appuntamento era però saltato, ma la donna non aveva rinunciato al desiderio di indipendenza. Solo 48 ore fa era stata dai Carabinieri per una sorta di segnalazione informale e per chiedere un consiglio: temeva che il marito, qualora lei avesse avviato le pratiche per la separazione, scappasse in Africa con la sua adorata Hiba.
I militari dell’Arma lo avevano allora convocato in caserma ammonendolo verbalmente; Abdelhadi aveva ridimensionato il problema, garantito che la vicenda era stata ingigantita e si era congedato ricordando che la bimba era la propria ragione di vita. Poi aveva lasciato la caserma, anche perché la moglie, nonostante le violenze e gli abusi subiti in tanti anni, non aveva mai presentato denuncia ufficiale alle forze dell’ordine.
Nessuna denuncia ma una ferma determinazione. Alle amiche Touria aveva confidato che oggi avrebbe lasciato la casa di via San Vito; era dunque l’ultima notte nella casa coniugale e lo é stata in tutti i sensi. Ieri Touria sarebbe anche andata a ritirare i risparmi in banca perché stamani doveva incontrare l’avvocato e le assistenti sociali, per poi affidarsi ai volontari dell’associazione “Voce donna”. Un programma macabramente non rispettato: ieri sera è sorta l’ennesima discussione, ne è seguita una colluttazione. A quel punto l’uomo ha impugnato l’accetta e l’ha colpita, più volte. “E’ stata una mattanza”, hanno detto i soccorritori. Furioso, Abdelhadi dopo aver massacrato la moglie è entrato nella cameretta dove Hiba dormiva: con un coltello da cucina l’ha sgozzata. La piccola dal sonno è passata alla morte. Prima di tornare in salotto l’uomo ha chiamato il 113 per consegnarsi alla Polizia, infine nell’ attesa ha avuto un sussulto di pietà: ha preso il lenzuolo e ha coperto il visino sfigurato della piccina.

Pordenone, massacra la moglie con un’accetta poi uccide la figlia di 7 anni (la Repubblica – 15 aprile 2015)
La città scossa da una nuova tragedia dopo l’omicidio della coppia. L’immigrato marocchino rifiutava la separazione che la moglie stava per chiedere dopo anni di violenze domestiche. Dopo le uccisioni, l’uomo ha chiamato la polizia per farsi arrestare
Un uomo ha ucciso la moglie e la figlia di 7 anni con un’accetta, poi ha chiamato la polizia per farsi arrestare. Il fatto è accaduto attorno alle 3 della notte in un’abitazione di via San Vito a Pordenone. Touria Errebaibi, 30 anni, cameriera, mentre l’uomo, Abdelhadi Lahmar, ha 40 anni, come lei è originario del Marocco ed è in Italia con un regolare visto, malgrado sia al momento disoccupato. Secondo il racconto fatto agli inquirenti, Lahmar avrebbe prima ucciso la moglie e poi la piccola. La donna sarebbe stata afferrata e spinta sul letto nella camera da letto matrimoniale, poi colpita con un’accetta per una decina di volte. Subito dopo l’uomo è andato nella cameretta dove dormiva la bimba e l’ha sgozzata nel sonno utilizzando un coltello. Come gesto di pietà, le ha coperto il volto con un lenzuolo bianco.
Il movente dell’uxoricidio sarebbe legato al fatto che l’immigrato aveva scoperto che la moglie stava per lasciarlo. Abdelhadi era rientrato all’inizio di aprile dal Marocco, dove era rimasto cinque mesi. Qualche giorno prima del ritorno, Touria aveva chiesto di entrare in un programma di protezione grazie a un’associazione che si occupa di tutelare le donne vittime di violenza domestica. Di abusi e violenze frequenti aveva parlato con le amiche, malgrado non avesse mai presentato una denuncia alle autorità. Una settimana fa doveva entrare in una struttura protetta, giusto prima che l’uomo tornasse in Friuli. All’ultimo momento, però, l’appuntamento era saltato, ma la donna non aveva rinunciato al desiderio di indipendenza.
Solo 48 ore fa era stata dai Carabinieri per una sorta di segnalazione informale e per chiedere un consiglio: temeva che il marito, qualora lei avesse avviato le pratiche per la separazione, scappasse in Africa con la sua adorata Hiba.
I militari dell’Arma lo avevano allora convocato in caserma ammonendolo verbalmente; Abdelhadi aveva ridimensionato il problema, garantito che la vicenda era stata ingigantita e si era congedato ricordando che la bimba era la propria ragione di vita. Poi aveva lasciato la caserma, anche perché la moglie, nonostante le violenze e gli abusi subiti in tanti anni, non aveva mai presentato denuncia ufficiale alle forze dell’ordine.
Nessuna denuncia, ma alle amiche Touria aveva confidato che oggi avrebbe lasciato la casa di via San Vito; era dunque l’ultima notte nella casa coniugale e lo é stata in tutti i sensi. Touria sarebbe anche andata a ritirare i risparmi in banca perché stamani doveva incontrare l’avvocato e le assistenti sociali, per poi affidarsi ai volontari dell’associazione “Voce donna”. Il marito ha capito le sue intenzioni e la lite conseguente si è trasformata in tragedia: l’uomo ha impugnato l’accetta e ha colpito più volte la moglie. “E’ stata una mattanza”, hanno detto i soccorritori. Poi Abdelhadi è entrato nella cameretta dove Hiba dormiva e con un coltello da cucina l’ha sgozzata. La piccola dal sonno è passata alla morte. Prima di tornare in salotto l’uomo ha chiamato il 113 per consegnarsi alla Polizia. Tutte le testimonianze concordano nell’affermare che tra il padre e la bambina c’era un legame d’affetto fortissimo.

Gli ultimi istanti dell’inferno di Touria – L’AUDIO DELLA TELEFONATA AL 112 (il Piccolo – 17 aprile 2015)
La donna ha tentato di difendersi. Al rientro dal Marocco il marito aveva comprato ascia e coltello
Sette euro e novanta centesimi: è il prezzo che ha pagato Abdelhadi Lahmar per acquistare, al suo rientro dal Marocco, l’accetta e il coltello con i quali si è accanito ripetutamente contro la moglie Touria Errebaibi, nella notte fra martedì e mercoledì. Nella sua follia omicida, il trentanovenne marocchino ha risparmiato alla figlioletta Hiba il cruento trattamento riservato invece alla madre. È scivolato al suo capezzale. Forse l’ha contemplata per un istante nel suo placido sonno di bimba. Prima di affondarle il coltello con la lama di 28 centimetri nella gola. Un unico colpo, inferto con una perizia definita «stupefacente» che l’ha quasi decapitata, risucchiando i suoi sogni nel buio per sempre.
Alle 2.30 di mercoledì il massacro è compiuto. Ma l’assassino telefonerà al 112 solamente alle 2.55. In quei 25 minuti trova il tempo di coprire con la coperta il volto della bimba in una sorta di gesto di pietà. Si toglie il pigiama sporco di sangue e indossa abiti puliti. È durata sei ore l’autopsia di Touria e Hiba all’ospedale di Pordenone. Ieri pomeriggio, dalle 14 alle 20, l’anatomopatologo Lucio Bomben, assistito da Ornella Del Piero e dal tecnico di sala settoria Vincenzo Lelleri, si è addentrato nella dinamica del duplice omicidio. Anche se rimangono alcuni punti ancora oscuri. Come la precisa sequenza dei colpi e la cronologia dei due omicidi. Ancora non si può dire, al momento, con certezza se Abdelhadi abbia ucciso prima la madre e poi la figlia. Lo potrà stabilire solamente una ricostruzione congiunta effettuata con l’ausilio della documentazione fotografica scattata dalla polizia scientifica. Nei prossimi giorni il medico legale ritornerà sulla scena del crimine per un nuovo sopralluogo. Dalle traiettorie degli schizzi di sangue sulle pareti e dalle scie sul pavimento si potrà capire chi è stata scelta come prima vittima.
Se Hiba è passata dal sonno alla morte senza accorgersene, Touria in quell’ultima notte ha patito l’inferno. I cui segni premonitori – contusioni e segni di percosse recenti – le costellavano già il corpo, come ha confermato dall’esame autoptico. Con l’accetta l’uomo le ha inferto sei fendenti in testa, due sulla mandibola destra. Con il coltello le ha tagliato il collo e quindi le ha conficcato per due volte la lama in gola, scannandola.
Fra le dita e sulle falangi, la donna ha riportato escoriazioni e lesioni che suggeriscono un tentativo di difesa. Non c’erano, invece, segni di una violenza sessuale. Nelle prossime ore Bomben consegnerà i verbali in Procura. Un delitto che Abdelhadi covava dal suo rientro in Italia, come confermato dall’acquisto dei due strumenti di tortura. Un video, registrato dalle telecamere del residence Italia in piazzetta Costantini mostra Touria e Abdelhadi che litigano furiosamente per quattro ore lunedì pomeriggio, dalle 15 alle 19. L’indomani si sarebbero coricati insieme per l’ultima sera. «Siamo rimasti impressionati – racconta il direttore Giacomo Sartor – hanno gridato a lungo».

 

«Uccise moglie e figlia, è sano di mente» (Messaggero Veneto – 18 dicembre 2015)
Il perito della Procura: Lahmar finge di essere psicopatico ma non lo è. Ora si fa concreto il rischio dell’ergastolo
Ergastolo. É lo spettro che si profila all’orizzonte per Abdelhadi Lahmar, il 39enne marocchino che ha massacrato la moglie Touria e la figlioletta Hiba, 7 anni, la notte del 15 aprile scorso in via San Vito. Un duplice omicidio che ha sconvolto i pordenonesi ma che è stato il frutto della violenza di un uomo lucido, che quella notte era pienamente capace di intendere e di volere. Non una tragedia della follia, ma un delitto tanto efferato quanto premeditato. Abdelhadi Lahmar, da otto mesi nel carcere di Pordenone, potrà essere processato. Lo stabilisce l’esito della perizia psichiatrica che è stato reso noto ieri mattina nell’ambito dell’udienza per l’incidente probatorio che aveva per oggetto proprio l’esame del lavoro peritale. L’udienza si è tenuta davanti al gip Alberto Rossi. Presenti il sostituto procuratore Federico Facchin, l’avvocato difensore Gianluca Liut e i due psichiatri nominati dal tribunale: Francesco Piani, direttore del dipartimento dipendenze di Udine, e Giovanni Gaiatto, direttore del centro di salute mentale di Pordenone. L’avvocato difensore chiederà il rito abbreviato, per lo sconto di un terzo della pena.
Completate le trascrizioni, il pm Facchin potrebbe chiedere già entro la fine della prossima settimana il giudizio immediato per duplice omicidio premeditato pluriaggravato. Tra le aggravanti il fatto di aver inferto i propri colpi mortali a un congiunto minorenne. A fronte di un’imputazione del genere Lahmar rischia, come massimo della pena, l’ergastolo. Eventualità che non sarebbe esclusa anche in caso di abbreviato. Nel 2010 El Kataoui Dafani, che il 15 settembre 2009 uccise la figlia 18enne Sanaa ad Azzano Decimo, era stato condannato con rito abbreviato all’ergastolo. La condanna era stata poi ridotta in appello a 30 anni (confermati anche dalla Cassazione).
Lahmar – secondo quanto riferito dall’avvocato che anche ieri lo ha incontrato in carcere – appare in condizioni psichiche peggiorate, in stato confusionale e non ricorda di aver ucciso. Ricorda solo la chiamata che lui stesso fece al 112 quella notte, poco prima delle 3. Afferma di credere che moglie e figlia prima o poi verranno a trovarlo e ha incubi ricorrenti, dei quali ha parlato ai periti. Secondo i due specialisti, che lo hanno sottoposto a diversi test, Lahmar non è però affetto da patologie psichiatriche gravi. I sintomi di malessere da lui mostrati sarebbero frutto di una forma di simulazione. Secondo l’ipotesi difensiva, le sue azioni erano state fortemente condizionate dall’assunzione di potenti psicofarmaci, prescritti in Marocco. «Massima stima nei confronti dei due periti. Accettiamo l’esito» ha commentato ieri Liut.

 

Uccise moglie e figlia, ergastolo a Lahmar: «Il mio è il male più grande che un padre può fare» (Messaggero Veneto – 28 ottobre 2016)
Il marocchino di 40 anni che massacrò la famiglia a Pordenone nel 2015 è stato processato con rito abbreviato. Prima della sentenza ha rilasciato dichiarazioni spontanee: «Un padre deve dare la vita, non toglierla. Ma la mia testa non era la mia testa e le mie mani non erano le mie mani»
Ergastolo, senza isolamento diurno:
è la pena che il Gup di Pordenone Roberta Bolzoni ha stabilito per Abdelhadi Lahmar, il cittadino marocchino di 40 anni che il 15 aprile 2015 massacrò con accetta e coltello la moglie Touria Errabaibi, di 30 anni, e sgozzò la figlioletta Hiba, di 6, mentre dormiva nella sua cameretta.
Il processo si è svolto con il rito abbreviato, che ha consentito all’imputato – reo confesso – di ottenere lo sconto di pena sotto forma della non applicazione dell’isolamento diurno. La Procura aveva contestato le aggravanti della crudeltà e della premeditazione – escluse dal giudice – per l’omicidio della moglie e della discendenza e della minore età per la figlia. L’avvocato  difensore Giancluca Liut aveva sollecitato il riconoscimento delle attenuanti generiche, da ritenersi prevalenti sulle aggravanti. È stato anche riconosciuto il risarcimento simbolico di un euro all’associazione «Voce donna» che si era costituita parte civile.
«La mia colpa è grande. Ho fatto il male più grande che un padre può fare. Un padre deve dare la vita, non toglierla. Ma la mia testa non era la mia testa e le mie mani non erano le mie mani»: sono le dichiarazioni spontanee
rese da Lahmar. Subito dopo, il Gup Roberta Bolzoni si è ritirata per elaborare la sentenza. «La punizione della legge non sarà mai grande come la punizione che mi danno il mio dolore e la disperazione di aver fatto questo. Anche se mi dicessero che devo morire -ha aggiunto – Perché io sono morto con Touria e Hiba».
«Di fronte a una tragedia – ha dichiarato Liut  – la domanda è se poteva essere evitata. Questo è il tempo della riflessione, non delle facili speculazioni. Bene ha fatto il Comune di Pordenone a non costituirsi parte civile nel processo, è stato un atto di responsabilità.
Una presa d’atto – ha concluso – della necessità di comprendere che le istituzioni devono fare in modo che in futuro non si debbano più piangere un’altra Touria, un’altra Hiba. Lahmar è consapevole di andare incontro al proprio destino. Ma nessuna pena, seppur pesante, potrà mai essere tanto grave quanto la disperazione per aver perpetrato il peggior crimine che un padre possa commettere: togliere la vita alla propria figlia».

Uccise la moglie e sgozzò la figlia. Ergastolo confermato per ​Lahmar (il Gazzettino – 19 maggio 2017)

Detenuto trovato impiccato in cella Il gesto durante l’ora d’aria. I sindacati: «Emergenza personale»

 


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