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Roberta Neri, 29 anni, imprenditrice. Uccisa a colpi di pistola in testa dal fidanzato

Orosei (Nuoro), 18 Ottobre 1997


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L’eco di quei tre colpi gli è rimbombato nella testa per quindici anni. Quando Salvatore Saba, 51 anni, ex metronotte e di nuovo uomo libero (da pochi giorni) l’altra sera ha deciso di attaccare la sua vita a una corda appesa a un ramo e lasciarla penzolare nel vuoto, nella sua testa ha chiuso il suo “Delitto e castigo” iniziato il 18 ottobre 1997. Il giorno in cui con tre spari in testa aveva ucciso la sua ragazza, Roberta Neri, 29 anni, di Noli. Roberta che aveva i capelli neri ricci, un sorriso aperto e il sogno di vivere in Sardegna.
Oggi l’eco della morte di Saba è arrivato sino a Noli, ma non resta più nessuno, di quella famiglia tormentata dalla malasorte, a rallegrarsene o a rammaricarsi di un perdono che non c’è mai stato. Dina Ramponi, la madre della ragazza, è morta l’anno scorso in una casa di riposo, dopo un ictus. Il telefono squilla a vuoto nel palazzo divia Monastero dove anche Roberta era cresciuta. Il padre, Dante, se n’è andato nel 2001 per infarto, il cuore scoppiato dalla perdita di due figlie: prima di Roberta, la sorella maggioreSandra era morta tragicamente in un incidente stradale nel 1993 a Bergeggi.
«Credo che abbiano dei parenti in Emilia, erano originari di quelle parti». A riannodare i fili della memoria ci prova il dottor Giuseppe Niccoli, all’epoca dell’omicidio sindaco del paese della Riviera ma soprattutto per una vita medico di famiglia dei Neri. «Certo che me li ricordo, una famiglia sfortunata, non c’è che dire: il padre gestiva una sala giochi e vendeva giochi elettronici per i bar, era una persona molto attiva e conosciuta in paese. Ma dopo la morte della seconda figlia era rimasto sconvolto dal dolore: ricordo che era andato in Sardegna per capire. Il cadavere l’aveva trovato lui stesso. Avevano sempre sospettato del fidanzato. Non credo che l’abbiano mai perdonato».
I rapporti erano già tesi allora, tra il padre della ragazza e quell’uomo che aveva iniziato a frequentare Roberta dopo che la ragazza si era stabilita in Sardegna. Lei donna dinamica e che faceva la spola con la Liguria, lo stesso lavoro del padre, noleggio videogiochi. Lui un bell’uomo, un matrimonio fallito alle spalle e un lavoro come guardia giurata lasciato da poco. I due si conoscono e si piacciono e prendono casa insieme, in affitto, aOrosei. Ma alla famiglia di lei Saba non andrà mai giù. «L’avevo fermato per strada dicendogli sei un vagabondo, non devi stare dietro a una brava ragazza come Roberta per farti mantenere», raccontava nei giorni successivi al delitto il signor Neri al SecoloXIX. «Arrogante, prepotente, era nei bar dalla mattina alla sera e si comportava da padrone in casa, non faceva per lei», le parole della madre Dina.
Per quell’esecuzione brutale, nel bagno di casa, tre colpi a bruciapelo in testa, i giornali all’epoca avevano evidenziato le analogie con i delitti diDonato Bilancia. Ma la storia era quella di un male più banale, quello di un uomo violento e geloso che non riesce ad accettare la fine di una storia.
Arrestato e mandato a processo, Saba aveva confessato durante un udienza, «Lei voleva lasciarmi perché bevevo troppo – spiegò in una lettera di autoaccusa consegnata al presidente della Corte d’Assise di Nuoro – Io non ci ho visto più e ho premuto il grilletto. Ma ora sono sinceramente pentito. Ai genitori di Roberta chiedo di perdonarmi, se possono». Condannato a 21 anni, omicidio aggravato da futili motivi ma non premeditato. Il Pm ne aveva chiesti 25. Ne sconterà effettivamente quattordici. Prima di appendersi a un ramo davanti al lago di Ortisei, ha lasciato un’altra lettera, per la sua, di famiglia. Poi ha riascoltato ancora una volta quei tre colpi. L’ultima.

 

 


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