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Maria Concetta Pitasi, 49 anni, ginecologa, mamma. Uccisa con due coltellate dal marito, davanti alla figlia sedicenne

Palermo, 24 Ottobre 2003


Titoli & Articoli

Scarcerato l’uomo che ha accoltellato la moglie (l’Unià – 29 ottobre 2003)

Palermo, uccise la moglie e confessò: potrebbe cavarsela con soli due giorni di prigione (PapaeMammeSeparati – 24 settembre 2007 da Il Messaggero)
PALERMO (24 settembre) – Quattro anni fa uccise la moglie esasperato per le continue vessazioni che avrebbe subìto, e oggi è stato condannato a sei anni di carcere per omicidio volontario: nonostante questo, potrebbe cavarsela con soli due giorni di reclusione. E’ accaduto a Palermo, dove Renato Di Felice, 57 anni, la mattina del 24 ottobre 2003 uccise con due coltellate la moglie, una ginecologa, Maria Concetta Pitasi, 49 anni, al culmine dell’ennesima lite all’interno della propria abitazione e alla presenza della figlia. Dopo soli due giorni di carcere l’uxoricida, che era incensurato e descritto da tutti come una persona mite, fu rimesso in libertà.
Il delitto si consumò tra le pareti domestiche di un appartamento nella zona residenziale di Palermo, sconvolgendo l’esistenza di una famiglia piccolo borghese: lui, contabile di una nota ditta di argenteria, descritto da tutti come una persona «mite e garbata»; lei, Maria Concetta Pitasi, 49 anni, medico ginecologo all’ospedale Civico di Palermo. Testimone dell’omicidio, la figlia di 16 anni, studentessa. La furia omicida del tranquillo padre di famiglia, come è stato descritto in passato dai giudici che hanno esaminato la sua posizione, esplose durante l’ennesima lite coniugale. La moglie, descritta unanimemente come una persona «scontrosa e difficile», nella tarda mattinata si era avventata sulla figlia, aggredendola con alcuni morsi, tanto da rendere necessario l’intervento degli agenti di una pattuglia della polizia chiamata da alcuni vicini di casa. All’arrivo dei poliziotti, però, la controversia sembrava essersi conclusa. Nel pomeriggio, invece, la donna ricominciò ad inveire contro la figlia. A questo punto il marito, in preda all’esasperazione, impugnò un coltello a serramanico e sferrò due colpi all’impazzata, colpendola al fianco e al torace. Il contabile e la figlia rimasero attoniti. La ragazza, in un gesto irrazionale compiuto sicuramente per proteggere il padre, lanciò l’arma del delitto da una finestra; gli investigatori recuperarono poi il coltello nel pozzo luce del palazzo. Di Felice si consegnò subito agli agenti, ammettendo di avere commesso il delitto. Agli investigatori disse con un filo di voce: «È stata una liberazione».
Il pm Francesco Bettini aveva chiesto la condanna a 14 anni di reclusione. Il Gup, anche sulla base della testimonianza della figlia della coppia, ha invece inflitto all’imputato sei anni. Ma i suoi difensori, gli avvocati Ugo Castagna e Tiziana Monterosso, fanno notare che tre anni possono essere già detratti per l’indulto, oltre a diverse attenuanti concesse dal gup per la provocazione subita. Inoltre, un’ulteriore decurtazione della pena è dovuta al rito abbreviato scelto dall’uomo che, fin dal primo momento, ha ammesso di aver ucciso la moglie. L’uomo è stato in carcere solo due giorni: per lui potrebbero restare gli unici di reclusione della sua vita.

Palermo, uccise la moglie che lo umiliava. Forse se la caverà con due giorni di carcere (la Repubblica – 24 settembre 2007)
Quattro anni fa un impiegato aveva accoltellato la consorte durante una lite. Grazie a una serie di benefici di legge potrebbe evitare la prigione
Quattro anni fa, aveva ucciso la moglie con due colpi di coltello, al culmine dell’ennesima lite familiare. Ora, dopo la condanna a sei anni di reclusione per omicidio volontario, forse riuscirà a cavarsela con due soli giorni di carcere, grazie a una serie di benefici di legge.
I fatti. Il protagonista della vicenda è Renato Di Felice, un impiegato palermitano che oggi ha 57 anni. Il 24 ottobre del 2003 assassinò la moglie, Maria Concetta Pitasi, 49 anni, ginecologa, durante un litigio nella loro abitazione di Palermo, in via Generale Streva. Il delitto avvenne sotto gli occhi della figlia, all’epoca sedicenne, che difese il padre sostenendo che la madre lo umiliava continuamente. Secondo quanto ricostruito dalla polizia, la ginecologa aveva un carattere particolarmente duro e avrebbe sottoposto marito e figlia a una serie di vessazioni, ricorrendo anche, in qualche caso, alla violenza fisica.
Durante l’ennesima lite della donna con la ragazza, Di Felice, esasperato, impugnò un coltello a serramanico e sferrò due colpi alla cieca, colpendo la moglie al fianco e al torace. La figlia per proteggere il padre, lanciò l’arma del delitto da una finestra; gli investigatori recuperarono poi il coltello nel pozzo luce del palazzo.
Di Felice si consegnò subito agli agenti, ammettendo l’omicidio. Alle forze dell’ordine disse con un filo di voce: “E’ stata una liberazione”. Dopo due giorni di carcere il giudice Vincenzina Massa lo rimise in libertà in quanto “non socialmente pericoloso”.
La sentenza. Questa mattina il gup Marco Mazzeo ha condannato Di Felice a sei anni di reclusione, tre dei quali risultano coperti dall’indulto, e gli ha concesso sia le attenuanti generiche sia quelle per la provocazione subita e per il risarcimento danni (circa 20 mila euro più i beni mobili della casa coniugale versati dall’imputato alla sorella della vittima). In più la diminuzione prevista dal rito abbreviato. Il Gup riconoscendo tutte le possibili attenuanti, ha affermato implicitamente la fondatezza della tesi difensiva, secondo cui l’uomo era oggetto di vessazioni da parte della moglie. Così come lo era la figlia. Mentre il pm Francesco Bettini, pur riconoscendo le attenuanti generiche, aveva chiesto la condanna a 14 anni di reclusione. L’ uxoricida ha scontato finora soltanto due giorni di detenzione. Ora, fanno notare i suoi difensori, Di Felice potrebbe godere anche delle misure alternative, essendo il residuo di pena (dimezzato dalla copertura dell’indulto) inferiore ai tre anni, proprio per i due giorni di carcere già scontati. E in base a questi benefici potrebbe dunque evitare il carcere.

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