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Lia Pipitone, 24 anni, mamma. Uccisa per aver disonorato la famiglia

lia pipitonePalermo, 23 settembre 1983

Lia era una donna libera, che diceva sì o no come voleva lei, non come voleva suo padre, non come voleva la mafia. Durante una finta rapina, viene uccisa, come voleva suo padre, come voleva la mafia. Ma il figlio le è sopravvissuto …

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Il Fatto

Uccisa perché libera, storia di Lia Pipitone: dopo 30 anni un libro riapre il caso

“Se muoio sopravvivimi” ricostruisce la vicenda di una 24enne ammazzata a Palermo nel 1983 non a causa di una rapina, ma per decisione del padre Antonino, boss mafioso che non sopportava il suo animo libero.

Autore, insieme al giornalista Salvo Palazzolo, anche il figlio, Alessio, che all’epoca dei fatti aveva solo 6 anni

Dicono che le strade di Palermo siano lastricate di sangue. Dicono che molto di quel sangue aspetti ancora giustizia. Perché per decenni a Palermo la gente moriva per strada e nessuno si era mai curato di capire perché. Non solo omicidi di mafia, carneficine tra boss di cosche avverse e assassinii di uomini che rappresentavano lo Stato dove lo Stato non voleva essere rappresentato.

A Palermo la gente moriva anche perché si trovava semplicemente nel posto sbagliato al momento sbagliato: una sparatoria, uno scippo, una rapina. Dicevano che Lia Pipitone fosse morta così. Una rapina in un negozio di sanitari, cinque colpi di pistola esplosi dai rapinatori poco prima di fuggire e la vita di quella ragazza spezzata sotto il bancone della cassa in cambio di un bottino di 250mila lire.

Era il 23 settembre del 1983 e una Palermo in bianco e nero registrava i morti del giorno accanto alla colonna degli incidenti d’auto: troppi assassinii per potersi fermare un attimo su quello di Lia, giovane madre di 24 anni, che entrando in quel negozio di sanitari cambiò per sempre la vita del suo piccolo Alessio, 4 anni e una madre persa senza un perché.

L’omicidio di Lia Pipitone però non è solo una storia di ordinaria violenza in una città infernale. È qualcosa di molto peggiore, di più perverso di una semplice rapina finita male. Perché il padre di Lia si chiama Antonino Pipitone ed è un importante boss mafioso, una vera autorità nel rione dell’Acquasanta, una delle ultimi feudi inviolabili di Cosa Nostra a Palermo.

Pipitone è un uomo rispettato, uno dei primi a capire che bisognava abbandonare i palermitani di Stefano Bontade e passare con i corleonesi vincenti di Riina e Provenzano. Lia invece è una ragazza libera, un’artista che vuole prendere in mano la sua vita, decidendo chi sposare e quando, ribellandosi a quel padre mafioso e autoritario. Una libertà negata prima da quei cinque colpi di pistola in un negozio di sanitari, e poi da un oblio lungo oltre vent’anni.

Ed è per far luce su quell’oblio che suo figlio, Alessio Cordaro, decide, ormai trent’enne, di ripercorrere la vita di sua madre, di capire se davvero si trattò soltanto di una normale rapina, o di qualcosa di peggio, come ogni tanto sussurrava qualcuno.

“Per anni – racconta Alessio – ho custodito con gelosia la storia di mia madre, i miei trascorsi tra quei silenzi imbarazzanti e le scuse che mi venivano fornite ogni volta che chiedevo come fosse morta mamma”.

Poi però Alessio viene contattato da Salvo Palazzolo, giornalista di Repubblica, che si è imbattuto per caso nella storia di Lia Pipitone e vuole approfondirla da cronista. I due cominciano quindi un’inchiesta postuma di trent’anni, una ricerca e una riorganizzazione analitica di tutti gli elementi che girano intorno alla vita di Lia Pipitone, cominciando proprio da quella rapina al rallentatore, quando i due rapinatori, dopo essere fuggiti con il bottino, tornarono dentro al negozio soltanto per assassinare la giovane madre a due passi dalla cassa.

Nasce così “Se muoio, sopravvivimi” (Melampo, 174 pp, 15 euro), il libro che Cordaro e Palazzolo ricavano dalla loro ricerca tra atti giudiziari, vecchi articoli di giornale e interviste ad amici e conoscenti di Lia. Il risultato è un saggio double face, a metà tra l’inchiesta giornalistica sulla mafia dell’Acquasanta degli anni ’80 e ’90 e la ricostruzione della vita di quella donna che morì ribellandosi al padre mafioso.

L’ombra del vecchio zù Nino Pipitone fa capolino su ogni pagina del libro: dal ruolo dispotico di padre padrone, alla maschera di saggio boss di quartiere indossata ogni giorno, fino all’atroce elemento finale. Quella rapina al rallentatore, infatti, fu probabilmente soltanto un escamotage per assassinare Lia, colpevole di aver rivendicato una libertà che avrebbe offeso il padre e tutta Cosa Nostra.

“All’inizio io questo libro non volevo scriverlo – confida Alessio – perché la morte di mia madre è un vero e proprio nodo nella mia vita, un nodo dolorosissimo. E sapevo che se l’avessi approfondito, tutto quello che avremmo scoperto con Salvo non sarebbe stato per nulla piacevole, è infatti non lo è stato”.

Per alcuni collaboratori di giustizia, infatti, è proprio Antonino Pipitone il mandante di quella falsa rapina che doveva servire soltanto ad ammazzare sua figlia Lia. Accusato già in passato di quell’atroce crimine, Pipitone è stato assolto poi dalle accuse.

Adesso il libro di Cordaro e Palazzolo ha però fornito elementi nuovi che hanno portato la procura di Palermo ad aprire, il 3 ottobre scorso, un’altra indagine sull’omicidio di Lia Pipitone, una ragazza ammazzata da Cosa Nostra perché voleva semplicemente vivere lontano dal padre mafioso.

“Credo – continua Alessio – che alla fine questo libro abbia sciolto certi miei nodi interiori. Il mio obiettivo era comunque garantire che a mia madre venisse riconosciuta la giusta memoria di vittima della mafia: l’apertura della nuova indagine è un buon segno”.

Sicilia News 24

Mafia: Procura Palermo riapre inchiesta omicidio Lia Pipitone figlia capomafia

Dopo 29 anni, e’ ancora uno dei misteri di Palermo: l’assassinio di Lia Pipitone, la figlia venticinquenne di un capomafia molto vicino a Toto’ Riina e Bernardo Provenzano, che fu assassinata nel corso di una strana rapina, il 23 settembre 1983. Anni fa, alcuni pentiti dissero che la giovane era stata uccisa addirittura su ordine del padre, Antonino Pipitone, che cosi’ avrebbe voluto punirla per una presunta relazione extraconiugale.

Ma il padre, boss del clan Acquasanta, e’ stato assolto in tutti e tre i gradi di giudizio. E il mistero e’ tornato fitto. Adesso, il figlio di Lia Pipitone, Alessio Cordaro, e il giornalista di “Repubblica” Salvo Palazzolo hanno deciso di tornare a indagare su questo giallo.

Per un anno e mezzo hanno raccolto nuove testimonianze, hanno riesaminato gli atti del processo gia’ celebrato e anche le risultanze di altre inchieste di mafia: ne e’ nato un libro, “Se muoio, sopravvivimi – la storia di mia madre, che non voleva essere piu’ la figlia di un mafioso”, edito da Melampo.

Dal racconto-inchiesta emerge l’inedita storia di ribellione di una giovane nei confronti del padre capomafia, un padre-padrone che avrebbe voluto rinchiudere in casa la figlia. E invece, lei riusci’ prima a fuggire da Palermo con il fidanzato, che poi sposo’: padrini autorevoli si mobilitarono per ritrovare i due ragazzi, e il compagno di Lia fu anche portato davanti a un tribunale di mafia. Ma lei non si arrese, continuo’ a contestare il padre e a vivere la sua vita in liberta’. Anche quando una voce insistente nel quartiere inizio’ a dire che stava dando scandalo per la sua amicizia con un uomo.

Il libro ha gia’ fatto riaprire l’indagine sull’assassinio di Lia Pipitone: la nuova inchiesta e’ coordinata dal procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e dal sostituto procuratore Francesco Del Bene. Durante la preparazione del libro, e’ emerso anche il racconto di un pentito, che gia’ anni fa aveva fatto i nomi dei due assassini della giovane, ma all’epoca non era scattata alcuna verifica ulteriore.

Angelo Fontana, il pentito dimenticato, conferma che l’omicidio di Lia Pipitone fu voluto da Cosa nostra ed eseguito da due sicari della cosca dell’Acquasanta, che misero in atto una messinscena: il pomeriggio del 23 settembre 1983, la giovane fu uccisa nel corso di una finta rapina a una sanitaria di via Papa Sergio. Fontana svela anche un altro particolare inedito: il giorno dopo l’assassinio di Lia, i due sicari uccisero il migliore amico della giovane, Simone Di Trapani. E pure in questo caso, inscenarono una terribile messinscena, che e’ durata fino ad oggi: simularono un suicidio, scaraventando Di Trapani dal quarto piano del palazzo in cui abitava, in piazza Generale Cascino. Prima, pero’, lo obbligarono a scrivere un messaggio: “Mi uccido per amore”.

Il libro verra’ presentato domani pomeriggio, alle 18.30, alla Feltrinelli di Palermo. Con gli autori saranno presenti il pm Antonio Ingroia e l’avvocato Nino Caleca, legale di parte civile della famiglia Cordaro. Dice Alessio Cordaro, in un’intervista che uscira’ domani sul settimanale “Oggi”: “Mia madre voleva essere libera di vivere la sua vita, ma evidentemente anche questo dava fastidio a Cosa nostra”. Adesso la battaglia del giovane e’ quella di far riconoscere ufficialmente la madre vittima della mafia.

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