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Anna Rosa Fontana, 38 anni, mamma. Nel 2005 viene aggredita dall’ex convivente, che la massacra con 15 coltellate nell’androne del palazzo, davanti al figlio di 7 anni. Lei si salva, lui viene condannato a 12 anni e 6 mesi, ridotti a 8 anni e 4 mesi con rito abbreviato, ma dopo appena 4 mesi ottiene i domiciliari (a 300metri da casa di lei). In appello la pena viene ridotta a 6 anni e nel 2009 torna definitivamente libero grazie all’indulto. Così, 5 anni dopo il primo tentativo, 5 anni di altri tentativi e inutili denunce, la uccide con altre coltellate nello stesso androne, davanti al figlio 17enne

Matera, 8 Dicembre 2010


Titoli & Articoli

Storia di Anna Rosa uccisa due volte in cinque anni (La Stampa – 11 dicembre 2010)
Ieri i funerali della donna che sopravvisse a 15 coltellatenel 2005. L’ex convivente, a casa dopo soli 2 anni, lasciato libero di ucciderla
Ieri nella piccola e stracolma chiesa di San Rocco a Matera è stato celebrato un funerale annunciato cinque anni fa. Anna Rosa Fontana, 38 anni, è morta martedì sera, colpita dal suo ex convivente Paolo Chieco, 53 anni, con sei coltellate. Ma aveva cominciato a morire il 13 luglio del 2005, quando lo stesso Chieco, nello stesso punto – l’ingresso di casa di lei – aveva cercato di ammazzarla con quindici coltellate, non riuscendovi solo perché i soccorsi erano stati rapidi e l’ospedale a un passo. Tra le quindici coltellate di allora e le sei di martedì sono trascorsi cinque anni di benevola giustizia per il carnefice e di indicibile incubo per la vittima. Cinque anni di molestie, minacce, vane denunce.
Molto – forse troppo – spesso noi giornalisti usiamo l’espressione «cronaca di una morte annunciata», ma se c’è una volta in cui queste parole non sono né retoriche né esagerate è proprio questa. Quel che è successo a Matera in questi giorni, anzi in questi cinque anni, ha dell’incredibile, così come è incredibile che la vicenda sia scivolata via, quasi del tutto ignorata, da un media system tanto avido di storiacce di sangue e, a parole, tanto attento ai diritti delle donne.
Forse perché è successo a Matera, e non in una grande città? Chissà. Eppure, anche se non è stata ritenuta degna di un paio di colonne sui giornali, questa è una storia che purtroppo non riguarda solo la povera donna che ieri è stata accompagnata al camposanto da una città incredula. Quante Anna Rosa Fontana ci sono in Italia? Quante donne vivono nel terrore di veder apparire l’uomo che non si è rassegnato all’abbandono? L’uomo che in modo tanto perverso intende la promessa «per sempre»? L’uomo che cede «alla tentazione tanto diffusa – ha detto ieri don Angelo alla messa funebre – di risolvere un problema con la violenza?».
Anna Rosa Fontana non aveva avuto una vita fortunata. Il primo matrimonio era finito con una separazione. Le erano rimasti due figli maschi, che oggi hanno 17 e 12 anni. Poi aveva conosciuto Paolo Chieco, un manovale, ex macellaio. Avevano avuto una bambina, che oggi ha sei anni e probabilmente ancora non sa quanto malvagio sia stato il destino con lei. Anna Rosa e Paolo si erano lasciati. O meglio lei aveva messo fine al rapporto, e lui non si era rassegnato.
Il 13 luglio del 2005, in via Lucana 333, lui l’aveva aspettata e colpita con quindici coltellate al collo, al torace, alla pancia. L’aveva colpita alla presenza del figlio maschio più piccolo di lei, che allora aveva sette anni. Era rimasta una striscia di sangue dal portone fino all’ingresso dell’appartamento di Anna Rosa, al primo piano. Lui aveva chiamato il 113: «Ho ammazzato la mia convivente, vi aspetto». Ma Anna Rosa si salvò e visto com’era ridotta verrebbe da dire «per miracolo»: e se davvero si trattò di un intervento della bontà divina, era destinato a essere vanificato cinque anni più tardi dalla malvagità umana.
Il 15 luglio 2005, interrogato dal giudice, Paolo Chieco fa mettere a verbale la sua concezione dell’indissolubilità dell’amore: «In quel momento sono andato un’altra volta in macchina perché mi era venuta una furia di sangue, ho visto un coltello che si è trovato quando mi sono sloggiato di casa, l’ho visto, l’ho preso, sono andato un’altra volta e le ho dato con il coltello, però il portone era aperto, non ho forzato nessun portone. Ho cominciato a dare il primo colpo alla pancia, qua, affianca qua, però lei gridava sempre “Ti amo, ti amo, non mi colpire”… Io dicevo: “Non ci credo, come hai fatto le altre volte che hai detto tutte le bugie e sei ricorsa subito in Questura…” Lei disse: “No, questa volta…”, però io non la voleva ammazzare».
Il giudice gli chiede se si ricorda quanti colpi le ha dato e lui risponde: «Non mi ricordo, in quel momento non pensavo più a niente… Il bambino gridava soltanto, diceva “Non lo fare, non lo fare”, però il bambino dopo non l’ho visto più». Il giudice domanda se si rende conto che con quel coltello – 33 centimentri di lama – la poteva uccidere. Chieco risponde: «In quel momento, adesso mi sto rendendo conto dello sbaglio che ho fatto». Il giudice gli chiede anche se non ha pensato alla loro bambina. Lui: «Sì che mi rendo conto. Io avevo detto a lei: “Vedi che io voglio vedere la bambina perché la bambina mi è entrata dentro al…”». A quel punto la deposizione si interrompe, il verbalizzante annota che l’indagato sta piangendo.
Il 7 novembre 2006 il giudice determina la pena in 12 anni e 6 mesi, ma per effetto del rito abbreviato c’è subito una riduzione: 8 anni e 4 mesi. In carcere però Chieco resta poco. Gli vengono presto concessi gli arresti domiciliari. Sapete che cosa vuol dire? Che un condannato sta a casa sua invece che in galera. E sapete dov’è la casa di Chieco? A trecento metri da quella di Anna Rosa Fontana. La giustizia italiana ha deciso che poteva stare lì. Dal 2007 solo trecento metri separano accoltellatore da accoltellata. Comincia, per Anna Rosa, un tormento che la uccide lentamente, giorno dopo giorno, ora dopo ora.
Il 28 settembre 2008 c’è il processo d’appello. All’imputato vengono concesse quelle attenuanti che si chiamano «generiche» e la pena viene ridotta a sei anni. Comunque troppi, per una giustizia così sollecita nel non deludere i garantisti. Anche per l’effetto dell’indulto del 2006, Chieco torna definitivamente libero nel 2009. In totale le quindici coltellate a una mamma in compagnia del suo bambino gli sono costate un paio d’anni di cella e uno abbondante di arresti domiciliari.
Libero, definitivamente libero. Libero anche di andare a suonare il campanello all’uscio di Anna Rosa, e non solo di spiarla con il binocolo come faceva quando pativa la terribile punizione degli arresti domiciliari. Lei si era accorta, di essere spiata. Aveva avvisato la polizia, che era andata in casa di Chieco e aveva sequestrato il binocolo. Su questo tipo di indiscreta «osservazione» hanno costruito dei film dell’orrore. Ecco, Anna Rosa Fontana ha interpretato un film dell’orrore per almeno tre anni, da quando il suo ex convivente è uscito di galera.
Lei accumula denunce su denunce, alla fine ha quasi timore di essere scambiata per pazza. Il 21 settembre va dal giudice e supplica: mi molesta continuamente, non ce la faccio più. Il 1˚ ottobre lui finge di invitarla a cena a Montescaglioso. La porta in una stradina sperduta, le stringe una corda al collo e la porta sul ciglio di un burrone. All’1,18 – ormai è il 2 ottobre, notte – Anna Rosa cerca di mandare un sms alla mamma. Non riesce neppure a concluderlo: «Mamma mi sta uccidendo, ora mi porta nel». All’1,40 riesce a mandare un sms al figlio Antonio: «Mi sta uccidendo corda al collo mi ha portato di forza nella tavernetta per paura che chiamo i carabinieri mi stava but nel burrone come devo fare».
Il 7 ottobre Anna Rosa va dai carabinieri che verbalizzano così la sua denuncia: «Con aria minacciosa e sotto la pioggia, mi intimava di dargli il cellulare, poi prendeva la mia borsetta e la buttava lontano da me. Poi apriva il bauletto dello scooter e vi prendeva un paio di guanti neri, o comunque di colore scuro, ed una corda bianca. Mentre si infilava i guanti mi diceva: “Comincia a pregare perché per te oggi è finita”. Io ero tremendamente impaurita e lo scongiuravo di non farmi del male perché vedevo il suo sguardo perso nel nulla. Era lo stesso che aveva quando nel 2005 mi aveva inferto ben 15 coltellate dopo avermi appostato nel portone di casa di mia madre». Anna Rosa riferisce ai carabinieri che Paolo le diceva: «Niente a me e niente a nessuno. Ti farò morire lentamente. Questa sera per te è finita. Allora, sei pronta vuoi dire le ultime preghiere? Stai diventando nera, stai morendo».
Così si conclude la denuncia della donna di quel 7 ottobre scorso: «La sottoscritta Anna Rosa Fontana è costretta a tutelare la sua incolumità e chiede che si voglia accertare la responsabilità del sig. Chieco Paolo, ravvisabili nei fatti narrati, individuandolo come autore del tentativo di omicidio, del sequestro di persona e dei numerosi appostamenti sotto la mia abitazione che evidenziano il reato di stalking». Precisa che dopo quel 1˚ ottobre è stata minacciata anche i giorni 4, 5 e 6 ottobre: pure pubblicamente, con urla in mezzo alla strada.
I carabinieri trasmettono la querela alla magistratura ma il giudice, di tutti i reati indicati, si sofferma sul più lieve: stalking. Lieve, per non dire altro, è anche la punizione: il 3 novembre Paolo Chieco riceve l’ordine di non avvicinarsi all’abitazione di Anna Rosa Fontana. Lunedì 6 dicembre lei telefona alla mamma: «Ho paura. Mi chiudo nel portone per nascondermi». Il giorno dopo Paolo Chieco uccide Anna Rosa Fontana proprio su quel portone, esattamente dove aveva cercato di ammazzarla cinque anni fa. Anche questa volta la donna è con uno dei suoi figli: è il più grande, quello di 17 anni. Le prime due coltellate Chieco le vibra sul collo, dicono che l’ha quasi decapitata. Le altre quattro alla schiena e sul fianco.
Ora Paolo Chieco è in carcere: il pm e il giudice sono due donne, le stesse che gli avevano ordinato di stare alla larga da Anna Rosa Fontana.
(di Michele Brambilla)


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In memoria di

Ingiurie di Chieco al processo Fontana, lettera di Camilla Schiuma alla Procura della Repubblica (Sassari Live – 5 febbraio 2012)
Riceviamo e pubblichiamo la lettera inviata dalla signora Camilla Schiuma, mamma di Anna Rosa Fontana, la donna uccisa dal suo ex convivente Paolo Chieco il 7 dicembre 201o, al Procuratore della Repubblica del Tribunale di Matera per esporre una serie di fatti registrati in occasione dell’udienza del 18 gennaio 2012 in cui l’imputato Paolo Chieco proferiva in Triubunale  gravi offese e calunnie, sia nei confronti della signora, sia  nei confronti di Fontana Anna Rosa, con diffamazioni inaudite.

PROCURATORE DELLA  REPUBBLICA – MATERA
Oggetto: Chieco Paolo – Imputato 
Proc . n. 4041/05 NR
Giudice dott.ssa DI LENA – prossima udienza 08/02/2012

La sottoscritta Camilla Schiuma, genitrice della vittima FONTANA Anna  Rosa, parte offesa anche nel procedimento indicato in oggetto, si pregia esporre  Quanto segue.
Alla udienza del 18/01/2012, rinviata all08/02/2012 per la decisione, veniva sentito quale imputato il CHIECO Paolo, omicida della figlia Anna Rosa, per cui è fissato il procedimento relativamente all’omicidio dinanzi al GUP di Matera per la udienza del 28/02/2012.
In occasione della audizione del citato CHIECO in data 18/01/2012, lo  stesso proferiva delle gravi offese e calunnie, sia nei confronti della sottoscritta, sia  nei confronti di Fontana Anna Rosa, con diffamazioni inaudite. Il tutto risulta  verbalizzato nel procedimento celebratosi il 18/01/2012.
Dal verbale della detta udienza, è facile rilevare che lo stesso, nonostante egli sia l’omicida di mia figlia, ha profferito ingiurie e diffamazioni di inaudita gravità.
Infatti, il CHIECO ha dichiarato che mia figlia fosse affetta da alcolismo, laddove da anni non lo era più, avendo contratto tale vizio proprio durante la  convivenza con il citato CHIECO Paolo che era cessato con la cessazione della convivenza ed interruzione di ogni rapporto con lo stesso.
Il CHIECO, inoltre, contro ogni verità, assumeva che Fontana Anna Rosa avesse abortito, laddove era ben chiaro che la stessa aveva concepito con il  medesimo solo la piccola Francesca.
E’ di palese evidenza che tale comportamento diffamatorio, oltre ad investire
La sottoscritta come persona e come madre, costituisce, altresì, mezzo difensivo spregiudicato, in previsione della prossima udienza dinanzi al GUP del  28/02/2012, al solo fine di rivendicare attenuanti al suo omicidio spietato e crudele.
Infatti, lo stesso ha già beneficiato del medesimo rito abbreviato nel precedente tentato omicidio del 2005, rito alternativo richiesto anche nella causa di omicidio volontario operato il 07/12/2010.
Si rappresenta quanto sopra, non solo ai fini della responsabilità penale che dovesse risultare dal verbale 18/01/2012 dinanzi al Giudice dott.ssa DI LENA, per cui la presente deve considerarsi querela ad ogni effetto di legge ai fini della punizione per i fatti ivi esposti, – ma si intende segnalare la subdola operazione difensiva al fine di beneficiare delle attenuanti ingiuste e contro legge, avendo lo stesso sperimentato positivamente tale comportamento nel precedente tentato omicidio della medesima Fontana Anna Rosa nell’anno 2005.Peraltro, il suddetto comportamento, bieco e privo di ogni umanità, non ha mai avuto alcun momento di cedimento o pentimento, anzi non ha tralasciato occasione di esprimere la sua malvagità anche in occasione dell’udienza GUP del 15/11/2011. Anche in tale occasione, infatti, uscendo dall’aula ed alla presenza degli agenti della Polizia Penitenziaria, rivolgeva alla scrivente ed a tutti i familiari presenti un manifesto atto di ingiuria le “corna” a loro indirizzo.
A conferma di tale atteggiamento ingiurioso, si allega fotocopia di una delle pubblicazioni giornalistiche ritraente l’immagine di spregio sopra indicata.
Tanto codesta Procura vorrà considerare ai fini propri della tutela delle azioni penali in corso. Con ossequi
Camilla Schiuma.

 

“Mia madre, perseguitata e uccisa dall’ex, nel silenzio dello Stato” (le Iene – 7 febbraio 2018)
L’ha perseguitata per tanti anni. Se avessero fatto qualcosa, a quest’ora un abbraccio di nostra madre lo potevamo ancora avere”. Antonio, a 24 anni, per la prima volta ha trovato la forza di raccontare la storia di sua madre, Anna Rosa, che è stata uccisa sotto i suoi occhi quando aveva 17 anni. Una storia che è anche di cecità e assenza delle istituzioni. “Spero che venga fatta giustizia, se esiste la giustizia”, insiste non a caso il ragazzo nel video qui sopra che anticipa un servizio della nostra Iena Nina Palmieri e che vedrete da quando torneremo in onda domenica 11 febbraio.
Anna Rosa è stata uccisa da un uomo perché non lo amava più. Il 7 dicembre 2010 Paolo Chieco, 53 anni, l’ha accoltellata per sei volte davanti al portone di casa, di fronte al figlio Antonio. Era la seconda volta che provava ad ammazzarla, ce l’ha fatta.
Nel luglio 2005 l’uomo aveva già accoltellato Anna Rosa, per 15 volte, dentro casa. Lei sopravvive per miracolo. Se allora il destino sembrava averla voluta salvare, questa volta è stata anche la giustizia a condannarla. Nonostante, nel 2006, la condanna per tentato omicidio fosse di 12 anni e 6 mesi, tra sconti di pena e indulto, Paolo Chieco sta solo 4 mesi in carcere e 19 mesi ai domiciliari. Così, per aver tentato di uccidere la sua ex convivente, Chieco è condannato a stare a casa, che però si trova a soli trecento metri dall’abitazione di lei. Dal 2008, quando torna in libertà, non bastano le numerose denunce fatte da Anna Rosa alla polizia, non basta il fatto che la donna sapesse che lui la spiava, e non è bastato nemmeno che una volta l’abbia portata in una stradina, minacciandola e mettendole una corda al collo, per farla difendere dalle istituzioni. Così, dopo tanti avvertimenti e segnali dell’ossessione che l’uomo aveva per l’ex compagna, Paolo Chieco percorre quei 300 metri che lo dividono dalla casa di lei e uccide Anna Rosa Fontana.
Si tratta di un problema e di un dramma che purtroppo non è nuovo per la giustizia italiana quando si parla di violenza di genere. Emerge chiaramente anche dalla relazione finale, presentata al Senato, della Commissione d’inchiesta sui femminicidi, presieduta da Francesca Puglisi. Vagliando i dati di procure e tribunali di tutta Italia, saltano agli occhi carenze di ogni tipo. A partire dal sistema informatico di monitoraggio, obsoleto: procure e tribunali non riescono a raccogliere e incrociare i dati in maniera efficace. C’è poi la mancanza di comunicazione tra Tribunale dei Minori, giustizia civile e penale. Quando, spesso, uno stesso caso procede da un lato come divorzio, dall’altro come violenza e da un altro ancora come affidamento di minore. Ci sono anche questioni normative da risolvere. Come il poco tempo a disposizione, 6 mesi, per denunciare una violenza. C’è molto da lavorare insomma, troppo spesso le violenze vengono ritenute “conflitti familiari”. Un dato lo racconta chiaramente: una denuncia su quattro per violenze di genere viene archiviata.