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Angela Costantino, 25 anni, mamma. Uccisa per aver tradito il marito. Il corpo non è mai stato ritrovato

Reggio Calabria, 16 Marzo 1994

 

 


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Tre arrestati per l’omicidio della donna,fra loro anche Vincenzo Lo Giudice – Angela Costantino, la verità dopo 18 anni
Reggio Calabria, svolta nell’inchiesta sulla scomparsa della donna: uccisa perchè tradiva il marito – boss
Sarebbe stata giustizia per onore, strangolata in casa per aver avuto una relazione extraconiugale mentre il marito, il boss Pietro Lo Giudice, era detenuto nel carcere di Palmi negli anni Novanta. Per aver tradito la famiglia si paga con la vita. Con la violenza ci si assicura il rispetto dove comanda la Ndrangheta. Tutto diventa più spietato e brutale, come nelle peggiori degenerazioni di antichi retaggi, quando a farlo è una donna.
E’ la storia di Angela Costantino, madre di quattro figli, scomparsa all’età di 25 anni, il 16 marzo del 1994. La sua auto, una panda, fu ritrovata a Villa San Giovanni due giorni dopo la scomparsa ma a non essere mai trovato fu il suo cadavere. La verità su questa drammatica vicenda ha cominciato a fare capolino già qualche anno fa, quando Maurizio Lo Giudice, fratello di Nino, collaborando con la giustizia, aveva chiaramente parlato di omicidio. E adesso un passo in avanti nelle attività di accertamento di una verità scomoda e perciò sepolta da 18 anni.
Una verità dolorosa. La squadra mobile reggina sabato ha, infatti, notificato, tra le dodici, anche tre ordinanze di custodia cautelare in carcere ai tre presunti responsabili dell’omicidio della donna: Vincenzo Lo Giudice, 51 anni (fratello di Nino e zio del marito della giovane), mandante ed arrestato sabato, il cognato Bruno Stilo (51) e il nipote Fortunato Pennestrì (38), rispettivamente esecutore ed altro mandante già in carcere.
Angela Costantino era la moglie del pregiudicato Pietro Lo Giudice, 46 anni, figlio del boss Giuseppe e fratello di Vincenzo e considerato uno dei principali protagonisti della guerra di mafia registratasi a Reggio Calabria tra la metà degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90. Giuseppe Lo Giudice era stato a sua volta ucciso in un agguato nel 1990 ed il figlio era detenuto a Palmi dove la giovane si stava recando il giorno in cui è scomparsa. Il giorno per il quale era stato stabilito, era stato deciso che quella presunta offesa avrebbe dovuto essere pagata con il sangue.
La storia purtroppo ci consegna un altro dramma analogo per troppi aspetti: quello di Barbara Corvi, sposata con Roberto Lo Giudice, fratello di Pietro e dunque cognata di Angela, con due figli Salvatore e Giuseppe di 19 e 15 anni, scomparsa dopo una lite in famiglia il 26 ottobre 2009 ad Amelia, frazione di Terni, in Umbria. La famiglia non ha sue notizie da allora.
Uno squarcio si era aperto quando una cartolina era stata ricevuta da Firenze alcuni giorni dopo la scomparsa. Nessuna traccia in più fino allo scorso novembre quando si ipotizzò che delle ossa ritrovate in uno bosco. Monte Morello, nella capitale toscana potessero essere le sue. Un’ipotesi smentita nello stesso dicembre dall’esame del DNA. Dunque nessuna traccia del suo corpo, nessuna indicazione da parte dei pentiti a Reggio Calabra che hanno parlato solo della cognata Angela. Il destino di Barbara è ancora avvolto nel mistero. Un altro volto drammatico della Ndrangheta, che vede vittima una donna e carnefice il clan reggino dei Lo Giudice, nell’applicazione di un codice perverso che si arroga il termine di onore laddove di onorevole non v’è proprio nulla.

 

Tradì il marito boss mentre era detenuto. Così madre di 4 figli fu uccisa dai parenti (la Repubblica – 14 aprile 2012)
Fu uccisa perchè tradì il marito boss mentre lui era detenuto. A distanza di 18 anni esce fuori la verita su Angela Costantino, madre di 4 figli, assassinata nel 1994 a Reggio Calabria. La squadra mobile reggina, grazie alle rivelazioni di alcuni pentiti tra cui Maurizio Lo Giudice, fratello del boss Nino, anch’egli pentito, ha scoperto i tre presunti responsabili dell’omicidio della donna, arrestati nell’ambito dell’operazione che ha portato stamattina all’esecuzione di 12 ordinanze di custodia cautelare nell’ambito di due distinte operazioni e di un’indagine coordinata dalla procura distrettuale antimafia del capoluogo reggino. Le accuse che hanno portato alle ordinanze di custodia cautelare in carcere sono associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni, omicidio e occultamento di cadavere. L’operazione ha portato anche al sequestro di beni per cinque milioni di euro.
Nella retata sono finiti dunque anche i presunti responsabili dell’omicidio di Angela Costantino, il cui cadavere non è mai stato trovato. Accusati dell’omicidio sono Vincenzo Lo Giudice, 51 anni, fratello di Nino e considerato uno dei capi della cosca; il cognato Bruno Stilo (51) e il nipote Fortunato Pennestrì (38). Angela Costantino era la moglie del pregiudicato Pietro Lo Giudice, 46 anni, figlio del boss Giuseppe e fratello di Vincenzo e considerato uno dei principali protagonisti della guerra di mafia registratasi a Reggio Calabria tra la metà degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Giuseppe Lo Giudice e’ stato a sua volta ucciso in un agguato nel 1990.
Secondo quanto è emerso dalle indagini, la donna, scomparsa mentre si stava recando a trovare il marito detenuto nel carcere di Palmi, fu uccisa perchè avrebbe avuto una relazione extraconiugale mentre il marito era detenuto. Comportamento che avrebbe indotto i capi della cosca Lo Giudice a ordinarne l’uccisione. Due giorni dopo la scomparsa della donna, a Villa San Giovanni (Reggio Calabria), fu trovata l’automobile (una Fiat Panda) alla guida della quale la donna si stava recando da Reggio Calabria a Palmi.

 

Le dichiarazioni dei pentiti smantellano i Lo Giudice: ”Angela Costantino fu uccisa” (Strill – 9 dicembre 2023)
Ci sono voluti 18 anni ma, alla fine, uno spiraglio di luce è stato gettato su uno dei tanti misteri della città di Reggio Calabria: la scomparsa di Angela Costantino.
Nel marzo del 1994 la donna, moglie del boss Pietro Lo Giudice, all’epoca  detenuto nel carcere di Palmi, scompare improvvisamente dalla circolazione proprio mentre va a trovare il marito. Ma fin da subito gli investigatori, allertati dalla denuncia del fratello della vittima, scoprono che qualcosa non torna: il suicidio non sembra un’ipotesi praticabile, dato che Angela aveva concordato un appuntamento con la sorella per i giorni successivi, era madre di quattro figli e, addirittura, aveva lasciato le pentole sul fuoco. Ma ci sono altri elementi che, 18 anni fa, fanno arricciare il naso degli inquirenti: la fiat Panda di Angela Costantino viene ritrovata parcheggiata in un sottopassaggio a Villa San Giovanni con il sedile del lato conducente notevolmente spostato verso il retro della machina. Angela non era così alta, qualcuno deve aver condotto la macchina fin lì.
A distanza di 18 anni, sono i pentiti di ndrangheta a indirizzare gli inquirenti verso quella che ritengono la soluzione del caso: Angela Costantino è stata uccisa dagli uomini mandati dai suoi stessi familiari per punire la sua infedeltà nei confronti del marito detenuto. Già nel 1998 però, il Gip di Reggio Calabria aveva cristallizzato i sospetti sorti nel corso delle indagini scrivendo che “l’ipotesi omicidiaria in danno della Costantino” fosse “certamente da ritenersi altamente verosimile, alla luce delle modalità della “scomparsa” della stessa e dell’assenza di una plausibile ragione giustificativa di un allontanamento volontario”. Secondo i collaboratori di giustizia Paolo Iannò, Domenico Cera e, soprattutto, il fratello del boss Pietro, Maurizio Lo Giudice, infatti, sarebbe stato Fortunato Pennestrì assieme ad altri soggetti al momento ignoti, uno dei soggetti tratti oggi in arresto dalla Squadra Mobile sotto il coordinamento del pm Beatrice Ronchi, a strangolare Angela Costantino mentre ancora si trovava in casa propria, simulando poi la scomparsa e facendo scomparire il cadavere della giovane madre.
E’ un ‘’accordo di famiglia’’, come lo definiscono gli stessi pentiti, per punire, come si conviene alle efferate regole di ndrangheta, il tradimento della famiglia, la macchia sull’onore della famiglia che la giovane Angela Costantino (convolata a nozze a soli 16 anni) aveva causato con la sua infedeltà al potente marito.
E’ un quadro agghiacciante quello dipinto dagli investigatori con l’aiuto decisivo dei pentiti che, se dovesse essere confermato dall’esame processuale, getterebbe finalmente luce sulla scomparsa della giovane, una scomparsa che, come ha detto nella conferenza stampa di stamane il procuratore capo Ottavio Sferlazza ‘’è lo specchio di quei disvalori su cui è fondata la ndrangheta e sui quali le sue famiglie si reggono’’.
Ma l’operazione odierna non riguarda soltanto la scomparsa di Angela Costantino: il secondo ‘’filone’’ delle dichiarazioni dei pentiti ha portato all’arresto di nove persone con le accuse di associazione a delinquere di stampo mafioso e intestazione fittizia di beni: avrebbero, con metodo mafioso, rilevato e gestito quote societarie di diverse attività economiche, inserendosi a pieno titolo nell’economia lecita ma, come più volte ribadito dagli investigatori nel corso della conferenza stampa di stamane in Questura, gestendo le attività con il metodo estorsivo e la forza intimidatoria propria del vincolo associativo. Forniture non pagate agli imprenditori, imposizione di servizi alle aziende perlopiù nel campo alimentare: di questo sono accusati i soggetti ritenuti intranei alla cosca Lo Giudice ai quali, peraltro, sono stati sequestrati beni per un valore di circa 5 milioni di euro in ditte, quote societarie, automobili e immobili. ‘’Abbiamo disarticolato la cosca – ha annunciato il capo della Squadra Mobile Gennaro Semeraro – tuttavia non c’è da abbassare la guardia poiché le attività criminose, con tutta probabilità, seguiteranno’’.

Di seguito l’elenco dei fermati per l’omicidio Costantino:
1)    STILO Bruno, nato a Reggio Calabria il g. 11/5/1962;
2)    PENNESTRI’ Fortunato, nato a Reggio Calabria il 17/7/1975;
3)    LO GIUDICE Vincenzo, nato a Reggio Calabria il 20/9/1962;

(di Francesco Creazzo)

 

Reggio, il 16 marzo 1994 la scomparsa di Angela Costantino e la verità 18 anni dopo (il Reggino – 16 marzo 2023)
La giovane donna fu uccisa per avere cercato l’amore fuori dal matrimonio con Pietro Lo Giudice, detenuto a Palmi. La sua violenta uccisione fu rivelata soltanto nel 2012 dai fratelli Maurizio e Nino Lo Giudice
Per una giovane donna finita nelle maglie asfissianti di una famiglia di ‘ndrangheta non c’è spazio per il desiderio di amore e libertà, per il sogno di una vita nuova. Nessuno sconto anche quando in quelle maglie la donna resta intrappolata all’età di 16 anni. Troppo giovane per potere anche solo immaginare certe soglie estreme del male. Soglie che la famiglia Lo Giudice di Reggio Calabria non ha esitato a oltrepassare al momento di uccidereAngela Costantino, quando di anni ne aveva 25.
La ragione di quella condanna a morte, senza possibilità di appello, era stata il tradimento. Un atto necessario per scorgere una possibilità di vita e di felicità oltre quel matrimonio per lei precoce. Oltre quell’unione con Pietro, vent’anni più grande e con un cognome pesante come un macigno.
Mentre Pietro Lo Giudice era carcere, lei si era concessa di innamorarsi di un altro uomo. “Aveva osato” scegliere un altro uomo dal quale essere finalmente amata. Ma ad essere tradito era un Lo Giudice per questo ciò non le era permesso e infatti non le fu consentito.
Prima le imposizioni, i controlli e le violenze, poi il trasferimento da Arangea al pian terreno di via XXV luglio, dove circondata da altri Lo Giudice, Angela sarebbe stata tenuta d’occhio. Fino a quel 16 marzo 1944 quando è stata fatta sparire, inscenando un allontanamento volontario e una condizione depressiva che l’avrebbe resa capace di togliersi la vita e di lasciare quattro figli piccoli.
Suo suocero era stato Giuseppe Lo Giudice capo dell’omonima cosca mafiosa, attiva nel rione Santa Caterina di Reggio Calabria e protagonista, negli anni 1986 – 1988, della cruenta faida contro i Rosmini per il controllo delle attività illecite nella zona, ucciso nel 1990. Quell’onore andava riscattato da quella terribile onta. Soprattutto in assenza del marito impossibilitato a ristabilirlo da sé. Così quell’offesa fu lavata con il sangue. Una vendetta tenuta nascosta per 18 anni e rivelata soltanto nel 2012 dai fratelli Nino e Maurizio Lo Giudice.
A seguito della loro collaborazione e delle rivelazioni, la procura antimafia di Reggio Calabria coordina una complessa indagine che conduce all’arresto di dodici persone. Tra loro anche i responsabili della morte di Angela, uccisa per avere tradito e per evitare che rivelasse cose di cui era venuta a conoscenza sulla famiglia Lo Giudice. Vincenzo Lo Giudice, uno dei capi della ‘ndrina e zio di Pietro, Bruno Stilo e Fortunato Pennestrì, rispettivamente cognato e nipote, i responsabili indicati dai fratelli Lo Giudice. In particolare fu Fortunato Pennestrì a strangolarla in casa per poi fare sparire il corpo, mai ritrovato. Angela era infatti anche una giovane madre di quattro bambini avuti da Pietro Lo Giudice prima che fosse arrestato e tradotto nel carcere di Palmi. Lì stava andando prima di scomparire. A trovare il marito detenuto, lei giovane vedova bianca. Una macchina abbandonata a Villa San Giovanni, la delegittimazione con la trasformazione del suo malessere in casa in una pazzia più comoda e funzionale a quell’allontanamento volontario vicino al suicidio in cui tutti avrebbero creduto. E poi un corpo mai trovatoAngela, così, scompare nel nulla. Sparisce avvolta nel silenzio e nella solitudine nei quali per anni era stata costretta a vivere. Si era permessa di tradire l’onore del marito Pietro e della famiglia.


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